
Regia – Everardo Gout (2021)
La saga di The Purge ha uno strano effetto su di me: più va avanti e più mi piace. A posteriori, e rivedendoli (sono tutti su Prime) ho anche rivalutato i film precedenti di questo strambo franchise di serie B che da un lato semplifica a uso exploitation problemi e temi molto complessi, dall’altro riesce nell’impresa di fornire, forse proprio in virtù della sua faccia tosta, uno dei più lucidi e impietosi ritratti degli Stati Uniti contemporanei del cinema recente.
Per quanto riguarda The Forever Purge, per capirne in un certo senso la portata, ci servono un paio di date: il film è stato girato nel 2019 ed era prevista la sua uscita per il luglio dello scorso anno. Poi tutti sappiamo com’è andata. La parte interessante è però un’altra: The Forever Purge anticipa, e anche con una certa precisione iconografica, i fatti del 6 gennaio 2021. Se fosse uscito secondo la sua reale tabella di marcia, ora credo che molti starebbero qui a dire che ha dato a un sacco di gente delle pessime idee.
The Forever Purge è ambientato in Texas, alla vigilia del ripristino della Notte del Giudizio dopo che la simpatica ricorrenza è stata cancellata per qualche anno (ricordate Election Year?). Le cose, tuttavia, sono precipitate in fretta e i Nuovi Padri Fondatori hanno ripreso in mano le redini della situazione e reintrodotto lo Sfogo nazionale. La decisione, tuttavia, si ritorce loro contro in un lampo: gruppi di suprematisti, neo-nazisti e bifolchi vari di ogni risma si sono organizzati sui social e hanno istituito la “Forever Purge”, ovvero hanno stabilito che, passate le dodici ore all’insegna del liberi tutti, non si fermeranno e continueranno a purificare l’America secondo la loro concezione del mondo, che non è propriamente un qualcosa di cui andare fieri.
Seguiamo quindi le vicissitudini di una coppia di migranti messicani e dei loro datori di lavoro (proprietari di un ranch) che devono salvare la pelle e raggiungere in fretta il confine: Messico da una parte e Canada dall’altra hanno infatti aperto le frontiere per un periodo limitato di tempo, così da dare modo ai loro vicini di rifugiarsi in territori sicuri.
The Purge è sempre stata una faccenda relativa a classe e razza: è evidente sin dal primo film, in cui una famiglia benestante si affida al suo sofisticato e costoso sistema di allarme, ma basta che il figlio minore abbia un sussulto di coscienza per mandare tutto all’aria. La Notte del Giudizio è sì un metodo per sfogare l’odio represso per 364 giorni, ma è anche il modo in cui la classe dirigente statunitense si libera degli elementi indesiderati, quelli che non hanno soldi per pagarsi una qualche forma di protezione, e sono quindi costretti ad affrontare la nottataccia indifesi. Di solito le varie minoranze e le fasce più povere della popolazione si sovrappongono, mentre chi esce nelle strade a dare la caccia ai suoi simili, armato fino ai denti, fa di solito parte di classi sociali più agiate ed è bianco come il latte. Indicativo il fatto che, nel prequel, The Purge venga inaugurata come esperimento in un quartiere povero e a maggioranza afroamericana, ma per scatenare la violenza sia necessario mandare degli infiltrati, altrimenti gli abitanti della zona si limitavano a rapinare qualche bancomat e a fare festa.
Non saprei, magari tendo a interpretare in maniera troppo sofisticata qualcosa che non lo è, ma me sembra che il discorso iniziato da James DeMonaco nel 2013 sia stato sempre molto coerente e sia qui giunto alle sue estreme e inevitabili conseguenze: se permetti di percepire l’odio come un diritto, sia pure da esercitare una sola volta l’anno, se (fuor di metafora) la politica giustifica e incoraggia la popolazione a tirare fuori la sua parte peggiore, prima o poi resterà soltanto quella. Ed è un discorso, per quanto rozzo e tagliato con l’accetta, che ha certo delle radici profonde nella specificità degli Stati Uniti e della loro storia, ma si può applicare bene o male ovunque.
Insomma, io ce li vedo tanti “patrioti” italiani a partecipare con entusiasmo a una Notte del Giudizio a caso, ce li vedo anche a portarla avanti a oltranza fino a quando non avranno spazzato via chiunque non abbia la pelle del loro stesso colore o chiunque non condivida il loro discutibile sistema di valori.
La differenza è che qui c’è ancora la speranza di mettere questa gente fuori combattimento nel giro di un paio d’ore: in uno scenario come quello presentato dalla saga di The Purge, i bifolchi se ne vanno in giro con armi d’assalto e carri armati e quindi, alla fine, vincono loro.
Questa parte è ancora nel campo della pura distopia, persino per quanto riguarda gli USA. Ma qui la parola chiave, come del resto in ogni distopia che si rispetti, è “ancora”.
Perché, se fate un paragone con il precedente Election Day, che comunque era rassicurante nel suo affermare la capacità della democrazia di arginare con il suo strumento principale (il voto) anche le peggiori minacce alla sua tenuta, qui la visione è diventata estremamente più pessimista: il meccanismo democratico salta per aria, in senso sia letterale che metaforico, e gli Stati Uniti cessano di esistere.
Non è più una saga horror, The Purge: quello che era iniziato come un contenutissimo home invasion tra le quattro mura di una dimora signorile, si è tramutato in un vero e proprio film di guerra, o di guerriglia, se preferite. È anche girato con lo stile tipico del cinema di guerra contemporaneo, una guerra civile combattuta sul suolo americano, in cui l’esercito le prende di santa ragione e abbandona, insieme alle istituzioni, i cittadini al loro destino: chi è tanto fortunato da trovarsi nei pressi di un confine, e da fare in tempo ad attraversarlo, si salva la pelle, chi invece rimane, o combatte o soccombe ai purificatori.
Poi sì, tutto si riduce, per i personaggi di cui seguiamo le gesta, a chi ha il fucile più grosso e sa sparare meglio, rimane vivo e inalterato un fastidioso feticismo per le armi da fuoco, insieme all’idea bislacca che siano esse la soluzione di ogni problema. Ma parliamo pur sempre di un B movie co-prodotto dalla Platinum Dunes di Michael Bay e dalla Blumhouse che non ha alcuna intenzione di cambiare una formula di successo come questa.
Ma rimane, soprattutto se si ha la voglia di vedersi tutta la saga dal primo film a questo in rapida successione, uno sguardo da brividi di puro orrore sulla società statunitense contemporanea e su quella che verrà. Correggetemi se sbaglio, ma tra il recente The Hunt e questo, a me pare che la Blumhouse sia l’unica produzione con il coraggio di affrontare la questione di petto, pur con tutte le semplificazioni del caso.
Sarà interessante, arrivati sin qui, vedere dove andrà a parare il prossimo e, pare, ultimo film della saga, già in preproduzione. Salverà il sistema democratico, The Purge, o ne certificherà il collasso? Lo sapremo l’anno prossimo.
Ho più o meno lo stesso rapporto con la saga di The Parte: so benissimo che sarà un filmaccio ma altresì che ci saranno spunti interessanti x un dibattito.
Questo almeno prova a risolvere quello che era un cortocircuito logico che, ad esempio, mi ha rovinato il finale del secondo film: l’idea che allo scoccare delle 7 di mattina, proprio allo scoccare, tutti quelli che fino a un secondo prima stavano massacrando il massacrabile si fermino all’istante e tornino buonini buonini al loro tran tran quotidiano. I personaggi sono anche delineati discretamente, sono le scene action piuttosto sottotono stavolta.
Non pensavo fosse stato scritto e concepito prima del mezzo colpo di stato di gennaio, pensavo anzi traesse ispirazione proprio da quell evento, cosa che conferma l’idea che, come dici tu stessa, The Purge sarà studiato a mo di documentario dagli storici del futuro
Guarda, ne ero convinta anche io, che fosse stato scritto e girato in fretta e furia per cavalcare l’onda dei fatti di gennaio.
E invece lo hanno girato nel 2019. In pratica è una profezia.
Mi fa salire un brivido sulla schiena il pensare come The Purge sia uno specchio – esagerato ma non troppo – di come aver alzato l’asticella dell’odio sui social a colpi di fake news e “complotti” – abbia portato gli USA a rischiare ad inizio davvero una seconda guerra civile