Regia – Craig Zobel (2020)
Questa settimana, sempre grazie alla Universal, Jason Blum fa doppietta qui sul blog e si aggiudica subito il premio di benefattore dell’umanità. O almeno della minuscola umanità rappresentata dalla sottoscritta e da chi viene qui a leggermi un giorno sì e un giorno no, perché senza i due film Blumhouse fortunosamente reperiti, non avrei saputo come diavolo riempirle, queste righe, perché avevo un po’ perso la voglia di vedere film e di parlarne, e poi è arrivato Blum e per circa le tre ore e mezza di durata di The Invisible Man e The Hunt, non ho pensato a nessuna delle tragedie che scandiscano la vita di ognuno di noi in questi giorni, e mi sono immersa nelle storie che scorrevano sul mio monitor. A dimostrazione del fatto che, anche in tempi di crisi, soprattutto in tempi di crisi, il cinema continua ad avere un potere enorme. Non su tutti, magari, ma su di me di sicuro. E sia lodata qualunque divinità in cui credete per questo.
Lotta di classe e cinema horror: pare che ormai le due cose vadano a braccetto. Poi si può affrontare il tema in maniera sofisticatissima come ha fatto Jordan Peele, o caciarona come i Radio Silence di Ready or Not. Non importa quale sia l’approccio migliore, non in questa sede; ciò che veramente conta è che ormai il cinema horror ha recuperato a titolo (speriamo) definitivo la valenza sociale che aveva negli anni ’70 ed è forse l’unico genere a essere abbastanza spudorato da non usarci alcuna delicatezza nello sbatterci in faccia le nostre miserie collettive.
The Hunt appartiene, di sicuro, alla categoria di film meno raffinati nel presentare certe dinamiche, in particolare lo scontro, sempre più serrato, tra le cosiddette elite e il cosiddetto popolo che qui si trasferisce dal piano virtuale dei social a quello, molto più concreto, dello spararsi allegramente in faccia.
Solo che, tanto per cambiare, ci viene offerto un cambio di prospettiva e, a giocare il ruolo di villain della situazione è un gruppo di ricchi intellettuali a caccia di zotici e bifolchi. Un survival classico al contrario, insomma, dove il redneck ignorante funge da preda, al fine di mondare l’umanità da un po’ di sozzura. Un’idea che, ammettiamolo, molti di noi troverebbero attraente: cosa succederebbe se l’esercito di blastatori professionisti dell’internet potesse imbracciare un fucile e fare strage di laureati all’università della vita?
The Hunt prova a dare una risposta a questo quesito, e lo fa adottando la forma di una commedia violentissima, piena di sangue e gente che muore malissimo, dove si ride di continuo, dove soltanto nei primi venti minuti si assiste a un continuo spostamento di fuoco da un personaggio all’altro, tanto che è impossibile individuare il protagonista vero e proprio e ci sono almeno tre o quattro capovolgimenti di campo e abbastanza uccisioni inaspettate e traumatiche da bastare per almeno sei film.
Dopo un inizio così fulminante, il ritmo cala per forza, ma a sostenere la baracca entra in scena lei a illuminare ogni inquadratura, Betty Gilpin, creatura divina dalla faccia di gomma, irriconoscibile rispetto al personaggio di Glow (guardate Glow, stolti!) che l’ha resa famosa, trasfigurata in questa macchina da guerra con l’accento del Mississippi e il grilletto facile che attraversa tutto il resto del film dispensando morte come l’ira di Dio che è.
C’è da dire un’altra cosa su come si è evoluto e sviluppato il cinema horror negli ultimi dieci anni: se un tempo (e mi riferisco in particolare agli anni ’80-’90) la recitazione, con le dovute eccezioni, non era di certo la punta di diamante del genere, e spesso ci si prendeva giustamente gioco della legnosità degli interpreti di film anche buoni, oggi l’horror è diventato terreno fertile per attori straordinari. Soprattutto attrici, cui viene data la possibilità di esprimersi in ruoli che sono l’esatto opposto del type casting. E non parlo di giovani attrici emergenti, ma di donne di ogni età, caratteriste da sempre relegate sullo sfondo, o dal colore della pelle “sbagliato” per assurgere al ruolo di protagoniste in produzioni mainstream, o dalla carriera considerata da più parti terminata e riesumate proprio dall’horror, che è una grande famiglia accogliente e benevola e ti dà sempre una seconda occasione. The Hunt è l’esempio perfetto per rendersi conto di come l’horror regali alle attrici delle possibilità altrove inesistenti, e non soltanto per Betty Gilpin. Ma qui mi devo tacere e lasciare che scopriate da soli chi hanno tirato fuori dalla naftalina per interpretare il capo dei cacciatori.
Ora, al di là del fatto che mi sono divertita come una povera scema, e che non ricordo di aver riso così tanto guardando un film da non so quanto tempo, The Hunt non è affatto una commedia sciocca o decerebrata. Al contrario, rientra pienamente nel campo della satira, e se quella sul conflitto di classe, sull’idiozia dei bifolchi di destra e la prosopopea messianica degli assassini di sinistra, è abbastanza di grana grossa, ma non per questo non efficace, la satira su un altro aspetto, poco considerato quando di The Hunt si discute, è al contrario molto più sottile. Mi riferisco a tutto il discorso, sotto traccia, sulla post-verità e sulla circolazione di notizie false tramite social. Andando a stringere, The Hunt racconta di una fake news che diventa realtà. Senza approfondire troppo per non incorrere in perniciosi spoiler, uno degli argomenti più forti messi in campo da Zobel, Cuse e Lindelof è proprio la percezione distorta del reale in seguito alla circolazione di informazioni quantomeno opinabili e il suo tragico impatto sulla vita delle persone.
Per cui credo che The Hunt sia il classico caso di un film capace di scatenare discussioni anche più interessanti del film stesso, e che funziona egregiamente come meccanismo di puro e semplice intrattenimento, ma sempre al servizio di un nobile scopo.
A chi pensa di assistere a un clone de La Pericolosa Partita, dico che se lo spunto iniziale è lo stesso, come lo è di centinaia di film dal 1932 in poi, gli sviluppi narrativi vanno in direzioni inattese e di rado si avverte una sensazione di già visto.
È un film schierato, The Hunt?
Sì, lo è, apertamente e senza nascondersi dietro ironia e distacco. Ma rifugge, nonostante questo, la dicotomia tra buoni e cattivi e rimane in una zona morale ambigua, grigia, perché è consapevole del fatto che si possano commettere azioni turpi e ignobili pur essendo dalla parte della ragione, e che questa ragione è troppo spesso uno scudo dietro cui ci si protegge per poter dare sfogo alla parte peggiore di noi.
E ora propongo un monumento equestre a Jason Blum in ogni condominio.
Che spasso The Hunt, ne avevo sentito parlare malissimo e invece mi ritrovo questa bombetta che, a mio parere, è il meglio che il genere manhunt ci abbia proposto da molto tempo a questa parte.
Le uccisioni rapide, spietate e senza plot-armour che tenga sono una goduria per chi, come me, si è stancato di questo genere di convenzioni, alcune svolte della trama sono geniali (il treno…) e lo scontro finale fa impallidire tutti i John Wick del mondo.
Interessantissimo quello che dici relativamente al sottotesto politico secondario, ma io spezzo una lancia anche a favore di quello primario, se non altro perchè mi sembra che il regista non si schieri con nessuno dei due fronti, anzi il fatto che abbia fatto incazzare tanti sia a destra che a sinistra mi sembra garanzia che abbia colpito nel segno. E se è vero che sembra che tutto venga ridotto ad uno stereotipo, non sarà mica dovuto al fatto che nell’era social, soprattutto in una società basata sulla diseguaglianza come quella statunitense, stiamo diventando tutti stereotipi, costretti a vivere da meme di noi stessi?
No, ma infatti non sottovaluto il sottotesto politico primario, dico solo che è più facile da individuare rispetto al secondario che se ne sta un po’ più nascosto e mi sembra trattato, forse proprio perché meno evidente, con una sottigliezza maggiore.
Che poi sono davvero questioni minime, perché il film è una bomba.
E non prende le parti di una delle due fazioni in campo nella caccia, ma a me pare molto schierato politicamente.
Un film molto interessante con una tematica altrettanto affascinante e moderna. Quello delle fake news è un argomento tremendamente delicato soprattutto se pensiamo come la gente percepisce queste bugie. Quindi ho ancor più voglia di vedere il film.
[…] cosa succederebbe se l’esercito di blastatori professionisti dell’internet potesse imbracciare un fucile e fare strage di laureati all’università della vita?
Non me lo chiedere, che mi fai venir voglia.
Come sempre grazie per la lucidità con cui racconti (non spieghi, racconti) la bellezza dell’horror, e tutte le cose belle che ci permette e le cose brutte da cui ci libera (l’horror è l’unico genere che sa davvero uccidere la paura, non solo generarla).
E tu hai appena dato al mondo la più bella definizione di cinema horror che la storia ricordi
Ma <3!
E infatti di primo acchito è stata proprio La Pericolosa Partita a venirmi in mente, incluso il suo remake anni ’90 Senza tregua… comunque, visti i risultati, mi unisco senz’altro alla proposta di monumento equestre condominiale a Jason Blum. Solo, non chiedermelo anche per Lindelof 😉
No, quello non mi permetterei mai e poi mai di chiederlo! 😀
Avevo adocchiato anche questo ovviamente. Ma quando citi Glow, intendi la serie? Dobbiamo affrettarci a recuperarla?
Molto divertente, è un film per così dire “al contrario”. In genere questo tipo di prodotti svaccano verso la fine, questo ha una svaccata iniziale strepitosa, poi migliora. Girato da dio e la protagonista è fighissima in tutti i sensi.
Molto bello anche questo. Anche se ci son rimasto malissimo perché speravo finalmente di vedere un bel film con Emma Roberts e invece… (non spoilero ma hai capito xD)
Ci speravo anche io, lo sai?
😀
E invece niente. In pratica fa un cammeo, che peccato!
Miracolo, ne ho trovati due, oltre a questo anche Invisible man. Comunque The hunt mi è piaciuto, bello sanguinoso e creativo, anche se non sono riuscito a prendere molto sul serio il sottotesto politico, che mi è parso un po’, come dire, forfettario e funzionale solo al divertimento. (parentesi: Glow è splendido, una serie di donne con donne per donne che piace anche ai veri uomini) 🙂
Ma il sottotesto politico resta comunque interessante, proprio perché funzionale ai toni del film, altrimenti sarebbe stato come appiccicato sopra.
E sì, Glow è ,magnifica e non vedo l’ora che arrivi la prossima (e purtroppo ultima) stagione.
90 minuti di follia, morti e risate, devo ammettere che all’inizio pensavo che la tipa bionda che vediamo all’inizio fosse stata la protagonista del film, ma invece.. sorpresa, arriva Betty Gilpin, che giuro io non conoscevo, mea culpa, faccio ammenda e ricupero GLOW.
Il maialino mi ha riportato agli anni ’90 a quando giocavo a quella perla di Redneck Rampage.
Voto: 10
Come sempre ci hanno messo le mani per rientrare nei ridicoli e idioti standard capitalisti, la durata era inizialmente di 115 minuti, chissà perchè la versione cinematografica AMERICANA ovviamente arrivata anche qui ne dura solo 90, che scene si saranno mangiati quei porci schifosi di merda della Universal ?