You Are Not My Mother

Regia – Kate Dolan (2021)

Torniamo nuovamente a parlare di ordinario squallore d’oltremanica e, soprattutto, di Irish Film Board, che è sempre garanzia di qualità, o se non altro di impegno a realizzare opere con budget non proprio faraonici, ma che danno spazio a esordienti e a indipendenti, e a tanti, tantissimi film dell’orrore. Con tutto questo sostegno da parte di Screen Ireland, non stupisce affatto che alcuni tra gli horror migliori degli ultimi anni siano stati girati e prodotti in Irlanda, come A Dark Song o The Hole in the Ground, tanto per citare i più famosi. 
Ora arriva (un po’ in sordina, ma credo sia destinato a crescere) il primo lungometraggio di Kate Dolan, autrice, qualche anno fa, del delizioso corto Catcalls, sempre prodotto dall’Irish Film Board, e ora alle prese con un dramma famigliare che si impasta col folclore irlandese, e con una figura che abbiamo già incontrato diverse volte da queste parti, il changeling, quella creatura fatata che ruba i bambini e si sostituisce a loro, assumendone l’aspetto. 

Nel caso di Your Are Not My Mother, tuttavia, i dubbi sull’identità non sono relativi a un bambino, o meglio, non solo, ma a una persona adulta, ovvero la madre della protagonista Char, che un bel giorno sparisce lasciando la macchina aperta in mezzo a un prato, e si ripresenta la sera dopo, come se niente fosse successo, ma in qualche modo diversa. Una situazione simile, anche se con la prospettiva ribaltata, a quella di The Hole in the Ground, con una differenza, a mio avviso, di sostanziale importanza: l’ambientazione, lì rurale e qui cittadina. Siamo infatti in qualche zona periferica di Dublino e al limitar del bosco dove, si sa, si annidano le fate. Nella vita di Char, di sua madre, della nonna e delle ragazze che frequentano la sua stessa scuola, non c’è proprio nulla di magico o di misterioso; è quindi più difficile credere che qualcosa di soprannaturale, e tra l’altro così legato a un determinato, e ben impresso nell’immaginario collettivo, tipo di scenario possa accadere.
Come se non bastasse Angela (questo il nome della donna) è anche soggetta a violente crisi depressive, assume psicofarmaci, e insomma, mancando l’elemento scenografico che subito ci immette in una dimensione folk, attribuire il tutto alla malattia mentale è quasi automatico.

Però You Are Not My Mother gioca proprio sul concetto di persistenza della magia lì dove è stata eradicata, sull’idea che i “luoghi sottili” rimangono tali anche se sono stati soffocati dalla costruzione di agglomerati urbani e cemento. La storia della famiglia di Char è infatti impregnata di magia, e non è la prima volta che un changeling si intromette nella vita di queste persone, come vedremo nel corso del film, che fa dell’inaffidabilità della percezione dei personaggi uno dei suoi punti di forza maggiore, almeno fino agli ultimi venti minuti o giù di lì.
Ora, il poster è abbastanza ingannevole perché la componente horror del film non è poi così spiccata come l’immagine scelta potrebbe far credere. You Are Not My Mother procede a piccoli dettagli agghiaccianti, ma sempre narrati in maniera non oggettiva; potrebbero essere incubi dettati dalla preoccupazione, dalla paura che discende dal non riconoscere chi ci sta più vicino, non perché sostituito da un suo doppio malvagio, ma perché le medicine e la malattia lo hanno reso un’altra persona. E credetemi, da chi ci è passata, molto spesso l’impressione è proprio quella di essere di fronte a una sostituzione avvenuta nel cuore della notte.

L’orrore risiede nel familiare che diventa ostile ed estraneo, filtrato poi attraverso lo sguardo di un’adolescente problematica che già si tiene a galla a stento tra i bulli a scuola e una situazione a casa che, pure senza interventi fatati, non è poi una valanga di risate, e ora è persino obbligata a prendere una decisione terribile sul destino di sua madre. Perché il changeling, se esposto alle fiamme, si rivela e lo scambio viene annullato, ma provateci voi a dare fuoco a vostra madre perché vi hanno messo in testa che al suo posto c’è una specie di folletto.
Per oltre la metà dei suoi 90 minuti (titoli di coda compresi) di durata, il film si va a posizionare in una zona grigia che sta diventando la vera costante dell’horror contemporaneo: l’impossibilità di ascrivere un film a una categoria precisa. Horror è ormai una sorta di termine ombrello per definire tutta una serie di opere che non corrispondono, non in senso stretto, ai codici del cinema di genere tradizionale, così come sono stati concepiti fino a pochi anni fa. Prima, questi film erano le eccezioni, ora sono diventati la regola. È difficile identificare l’horror perché si nasconde nelle pieghe della narrazione, perché aggredisce lo sguardo per pochi attimi, e quasi a un livello subliminale, e poi se ne torna buono in un angolo, in agguato.

Anche la nozione stessa di soprannaturale ha subito degli smottamenti nel corso degli anni: non si tratta più di intrusione o invasione del campo del reale; come nel caso del film di oggi, il soprannaturale è un substrato persistente, vive tra le crepe e ogni tanto si fa visibile, ma mai chiaramente riconoscibile. Questo non accade perché il linguaggio del cinema d’autore o, senza arrivare a parlare di autori, ha infettato l’horror; accade per il motivo uguale e contrario: l’horror è dappertutto, si è dissolto negli altri generi ed è ancora più imprevedibile di prima.
You Are Not My Mother è un ottimo esempio di dramma contemporaneo che si è lasciato contaminare dall’horror: è un film che potrebbe mantenere invariata la propria struttura anche se privato del fiabesco, ma che dal fiabesco trae tuttavia la sua forza maggiore e, grazie al fiabesco, acquisisce valenza metaforica e identità originale. Insomma, è l’idea del changeling a fare in modo che You Are Not My Mother si distingua da altri drammi piccolo-borghesi camera e cucina, è l’idea del changeling che dona al film un’apertura oltre le quattro pareti dell’appartamento in cui è girato.

In altre parole, è il ricorso all’immaginifico al posto dello stringente realismo a far spiccare il volo all’opera di prima di Kate Dolan, considerando che il realismo permea il contesto, la recitazione, i rapporti tra i personaggi, e che il linguaggio adottato dalla regista è quello del realismo, ma solo perché così, quando il soprannaturale arriva, lo fa con una violenza amplificata, il contrasto con l’ordinario squallore d’oltremanica è stridente e la parte finale, dopo che il ritmo è stato vicino alla catalessi per gran parte del minutaggio, finalmente si mette a correre con l’acceleratore a tavoletta.
Si tratta di un buon film, con un cuore emotivo, non solo per il rapporto madre-figlia, ma anche per quello che si viene a creare tra Char e una sua compagna di scuola, che mi è parso appassionato e sincero; oltretutto è recitato divinamente e quindi quello che sto per dire non è diretto in particolare contro You Are Not My Mother, e tuttavia sto cominciando a domandarmi se anche questo nuovo modo di intendere l’horror (elevated, post, chiamatelo come vi pare) non stia diventando una formula destinata a esaurirsi nel giro dei prossimi mesi. Che cominci a mostrare la corda è evidente. Vedremo come reagiranno le produzioni.

2 commenti

  1. Blissard · ·

    “sto cominciando a domandarmi se anche questo nuovo modo di intendere l’horror (elevated, post, chiamatelo come vi pare) non stia diventando una formula destinata a esaurirsi nel giro dei prossimi mesi. Che cominci a mostrare la corda è evidente”
    Ho avuto la medesima impressione vedendo il film, per carità ben fatto ma un pò ripetitivo e involuto e soprattutto mancante di quell’impatto che, trattando le medesime tematiche, hanno avuto Relic o The Dark and the Wicked, quasi che il parallelismo orrore della spersonalizzazione-malattie neurodegenerative sia invecchiato dopo appena un paio di anni.
    Personalmente la cosa che ho apprezzato di più di YANMM è la prestazione di Carolyn Bracken che, nei panni della madre di Char, è spesso assolutamente terrificante. Mi hanno coinvolto molto meno i continui soprusi da parte delle compagne cui è assoggettata Char, mentre è risolta troppo sbrigativamente l’evoluzione del rapporto di quest’ultima con la coetanea robusta.

    1. Diciamo che non è un anno particolarmente fruttuoso, fino a questo momento, e ho sempre meno voglia di recuperare le nuove uscite. Spero che le cose cambino, anzi, ne sono certa perché si prevede una primavera/estate abbastanza dinamica, ma fino a questo momento è tutto molto stanco e ripetitivo, appunto.

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