Ne abbiamo parlato venerdì scorso nella nostra lista settimanale, di questo agghiacciante thriller olandese. L’ho rivisto per l’occasione e anche per capire se, a distanza di tanti anni e sapendo come andava a finire, avrebbe avuto su di me lo stesso effetto. Perché ci sono dei film che perdono gran parte della loro efficacia una volta scopertone il meccanismo narrativo. Un esempio che mi viene in mente è Il Sesto Senso che, a una seconda e anche terza visione, a mio parere non ci guadagna neanche un po’.
È un esperimento interessante, perché aiuta a distinguere i film che vivono in virtù del loro twist e quelli dove, al contrario, il colpo di scena è soltanto un accessorio in più, un tocco finale che amplifica il significato ultimo del racconto, ma non ne è l’unico pilastro.
The Vanishing appartiene alla seconda categoria e, anche se si sa in anticipo cosa è accaduto alla ragazza scomparsa, questo non inficia in nessun modo quella piacevolissima sensazione di essere appena passati dentro a un tritacarne.
Credo che il punto di forza di un film come questo non risieda nella rivelazione del destino orribile della povera Saskia, ma nella struttura del racconto, ovvero nel montaggio, ovvero nella scelta, molto coraggiosa, di affidarsi a una narrazione non lineare che dà in pasto al pubblico l’identità dell’assassino sin dai primi minuti: dopo una breve introduzione, in cui ci viene presentata la giovane coppia in viaggio, conosciamo subito il tranquillo e un po’ pacioccone Raymond Lemorne (Bernard-Pierre Donnadieu), mentre si appresta a infilarsi al braccio un gesso finto e ad appostarsi alla ricerca di una vittima.
Quando Saskia sparisce alla stazione di servizio, non abbiamo alcun dubbio su chi sia stato e, nel caso lo avessimo, ecco il primo dei numerosi flashback sulla vita di Lemorne, insegnante e padre di famiglia, che prepara meticolosamente il rapimento di una donna, facendo esperimenti col cloroformio.
Il film salta avanti e indietro nel tempo di frequente, comincia il giorno del rapimento di Saskia, poi torna ad anni prima, e alla sua ideazione, compie un balzo a tre anni dopo, ritorna di nuovo indietro e, infine, chiude il cerchio con il racconto dettagliato di quanto avvenuto quando la ragazza di è allontanata per andare a prendere delle bibite e non è più riapparsa. Non so quanto si tratti di una leggenda metropolitana, ma pare che Kubrick considerasse The Vanishing il film più spaventoso che avesse mai visto, e che abbia voluto contattare di persona Sluizer per discutere con lui di un montaggio così sofisticato. E del modo in cui questo montaggio contribuisce a costruire la tensione mettendo dal principio tutti i pezzi utili sulla scacchiera e lasciando come unico, enorme, non detto il mistero legato alla fine di Saskia.
Da un lato abbiamo un’ossessione, quella di Rex che diventa anche la nostra, di sapere cosa sia accaduto; dall’altro ci vengono fornite più informazioni di quante non ne abbia lui. In mezzo, il gioco sadico del mostro, del perfetto e puro sociopatico ritratto con un’interpretazione fenomenale da Donnadieu, che su questa ossessione fa leva per compiere il gesto malvagio definitivo, atroce e insensato nel suo essere del tutto fine a se stesso, messo in atto con un’indifferenza e un compiacimento che rendono Lemorne uno degli antagonisti più ripugnanti mai apparsi sullo schermo. Un contabile del male di cui siamo forzati a condividere il punto di vista per circa metà film.
Questo procedere su due binari in rotta di collisione è il segreto di un film come The Vanishing; non c’è solo la mazzata finale a costituire una svolta inattesa (ma neanche troppo): ogni cambio scena, in base alla struttura scelta per portare avanti il racconto, è un twist, perché non sappiamo, a stacco avvenuto, non dove siamo, ma quando siamo e con chi siamo.
Anche sapendolo in anticipo, rimane lo stesso spiazzante, ti disorienta, ti priva di certezze e punti di riferimento. Inoltre, conoscendo già la fine del film, il tutto assume un’aria ineluttabile, come se non fosse un thriller-horror, ma un noir in piena regola, con personaggi dal destino già scritto. E tu te ne stai lì, impotente, paralizzato, ad assistere a questa calamità che si abbatte su due persone a cui avevi appena cominciato ad affezionarti.
In maniera del tutto inconsapevole, l’altra sera ho cominciato addirittura a mormorare verso lo schermo: “non andare a comprare quelle cazzo di bibite, stronza, risali in macchina”. E ho sperato addirittura che lo facesse, che tornasse indietro e il film finisse lì, proprio perché sapevo.
Viene quasi da dire che The Vanishing sia più efficace alla seconda visione rispetto alla prima.
Anche al di là dei fattori puramente emotivi: ti godi di più il modo in cui il racconto si sviluppa e si evolve, la graduale costruzione della trappola narrativa in cui cadono Saskia prima e Rex poi, la concatenazione di coincidenze e scherzi del caso messi in scena con la perfezione di un meccanismo a orologeria che portano al rapimento di Saskia.
Persino il momento stesso della sparizione della ragazza è gestito in maniera tale da sfidare ogni aspettativa: ci sono tre circostanze in cui il fatto potrebbe avvenire. La prima, quando Rex lascia sola Saskia in galleria per andare a prendere la benzina, la seconda quando Saskia scende dalla macchina e va alla toilette, e la terza, quella delle dannate bibite.
È tutto così ben condotto, ogni singolo movimento del racconto, le brusche sterzate, i cambi di genere, i momenti onirici (persino quelli!), i rallentamenti del ritmo verso la fine, con il lungo viaggio in auto dei due uomini, che è più efficace di un manuale di scrittura cinematografica.
Sì, perché il montaggio di un film è una forma di scrittura, che spesso si sovrappone alla sceneggiatura, quando non la sostituisce direttamente.
Ecco, se volete imparare come si monta un film, vedete The Vanishing e poi vedetelo una seconda volta. È una lezione di classe assoluta.
Io l’ho visto due volte, a distanza di oltre vent’anni. È come dici tu, alla prima visione lo shock prevale sul resto (e no, non avevo subodorato nulla); alla seconda ti chiedi come sia possibile che tutto accada nello stesso agghiacciante modo. Potenza del cinema, bravura di Sluizer, chissà. Per completezza, non è male nemmeno il romanzo di Tim Krabbe, Scomparsa, che se non altro alla fine ti lascia dormire. 🙂
Infatti lo sto cercando, il romanzo. perché non l’ho mai letto.
IN questi giorni di quarantena mi ci vuole proprio una lettura rilassante 😀
Mi sta incuriosendo non poco con questo film, mi frena solo una cosa, da cosa ho capito è bello tosto, è così?
Sì, è tostissimo, ma non perché ci sono scene di violenza esplicite, non lo è da un punto di vista del gore. È tostissimo per motivi che non posso rivelare 😀
Ok, come sospettavo, immagino che sia uno di quei film che una volta visto non mi toglierei di dosso per parecchio…
Ma sono troppo curioso, provvederò al recupero. Dopotutto si muore una volta sola…
l’ho scoperto per la prima volta proprio grazie alla tua lista e non vedo l’ora di fiondarmici a capofitto. ora la curiosità è proprio a mille 😀 stasera so cosa guardare: ti saprò dire 😀
Non lo so se mi ringrazierai, dopo… 😀
Buona visione!
Il Sesto senso affascina molto ad una prima visione, sì, ma rivedendolo successivamente è ovvio che ormai si giochi a carte scoperte: conoscendo già il twist finale, è praticamente impossibile vederci altre inedite sfaccettature capaci di sorprenderti 😉 Qui invece è proprio tutt’altra storia, anche rispetto al remake americano da me visto ma che, leggendo questa tua rece, alla fine sembra rimanere fin troppo lineare e troppo poco incisivo per poter reggere il confronto (oltre a ad avere una sorta di happy ending che credo proprio non fosse minimamente incluso nella versione olandese, di cui urge il recupero)…
Eh sì, il finale del remake americano è diverso e molto meno efficace.
P.S.
Come va da quelle parti? State tutti bene?
Eh, per il momento direi che ce la caviamo (speriamo continui)… E tu come te la stai passando? Ti sono virtualmente vicino, sappilo ❤
Io murata viva come tutti, ma me la cavo anche io. Speriamo non duri a lungo.
Vicinanza ricambiata 😘