Hush

Hush-458579584-large Regia – Mike Flanagan (2016)

Jason Blum tiene prigioniero Mike Flanagan. Dopo il successo di Oculos, deve averlo rapito, incatenato al set e costretto sotto minaccia costante di morte per lui e la sua famiglia, a girare a ciclo continuo, ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette. Altrimenti non si spiega la bellezza di tre film in un anno, roba che neanche Corman quando usava le stesse scenografie e gli stessi attori. O forse è solo uno stacanovista e il sistema produttivo Blumhouse si presta molto a questo genere di cose.
Hush è, in ordine di tempo, il primo della tripletta. Arriva in Italia grazie a Netflix, con il titolo Il Terrore del Silenzio, su cui è buona cosa stendere un velo pietoso e procedere oltre, come se nulla fosse accaduto. Hush è anche la prima prova di Flanagan in un contesto non soprannaturale. Si tratta infatti di un home invasion piuttosto classico, con fanciulla in abitazione isolata perseguitata da losco figuro decisamente malintenzionato.
Solo che, quando si tratta di Flanagan, è sempre lecito attendersi un guizzo di originalità, persino in una struttura così obsoleta.
Prima di tutto, la protagonista, la quasi esordiente Kate Siegel, che ha scritto la sceneggiatura insieme allo stesso Flanagan, è sordomuta. E, quando un assassino si introduce in casa tua, non poterlo sentire ti mette subito in una condizione di inferiorità assoluta.

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Il personaggio intepretato dalla Siegel, Maddie, è una scrittrice che sta portando a termine il suo secondo romanzo. Vive in una grande casa, per ovvi motivi sperduta in mezzo al nulla, con una vicina di casa che la va spesso a trovare e in contatto costante su Skype con sua sorella. Pare ci sia un ex fidanzato, da qualche parte, e che forse sia proprio lui il motivo per cui Maddie ha scelto di isolarsi, ma Flanagan ci spiega poco e niente.
Neanche il tempo di conoscere un pochino Maddie e le sue abitudini e di raccogliere quel paio di informazioni utili agli sviluppi della trama (per esempio, la sua tecnica di scrittura che avrà un ruolo importante in seguito) che la povera vicina viene fatta fuori e il nostro assassino entra in scena per non uscirne più.
Anche qui, Flanagan non dà spiegazioni di sorta, come dovrebbe essere sempre buona abitudine in ogni home invasion. L’incontro tra Maddie e il suo aguzzino è perfettamente casuale, non predeterminato. Lui, a cui non sarà mai attribuito alcun nome per tutto il corso del film, insegue la vicina che cerca aiuto da Maddie, ma lei non è in grado di sentirla bussare al vetro della finestra e così non si accorge di nulla. L’assassino vede in Maddie un’altra facile preda, proprio in virtù della sua condizione.
Però, ed è ovvio, altrimenti non avremmo un film di un’ora e venti, ma un cortometraggio, Maddie ha delle risorse che l’uomo non conosce e sbarazzarsene non sarà poi così semplice come appare.

Una storia così esile, apparentemente poco ambiziosa, è il territorio perfetto per la catena di montaggio Blumhouse: quattro attori, di cui due in campo per una manciata di minuti, una sola location, durata breve, e un regista che porta a casa il film senza rompere troppo le scatole, ma imprimendogli comunque una certa personalità, quell’anima che spesso manca del tutto ai film prodotti da Blum.
Dovendo agire su un canovaccio con dei codici e delle regole ben precisi, Flanagan non ha troppa libertà di movimento, eppure ci mette del suo, nella caratterizzazione dei due protagonisti, soprattutto. La prima cosa che si nota, è la sterzata brusca che la sceneggiatura compie dopo neanche un terzo di film, quando il classico assassino mascherato che abbiamo visto in centinaia di slasher, survival e home invasion, si toglie la maschera e, da ombra minacciosa e priva di connotazioni umane, si mostra per ciò che è: soltanto una persona. È un’inversione di tendenza che riesce a essere, allo stesso tempo, ironica e spiazzante. E di ironia, in Hush, ce n’è a pacchi. Non perché sia un horror comico, tutt’altro. Hush è un film tesissimo e che, in alcuni momenti, inchioda letteralmente allo schermo. Ma è anche un horror consapevole e procede con un certo distacco dalla materia narrata che ha come cifra principale un’ironia benevola, non sciocca, tantomeno superiore al genere con cui Flanagan si sporca le mani.

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Entra persino nel campo metacinematografico, anzi, perdonatemi, metaletterario, Hush, con l’impiego di diversi finali alternativi che si svolgono nella mente di Maddie, quando la ragazza si ritrova a dover elaborare una strategia di fuga o contrattacco. La superiorità del suo persecutore, lo abbiamo detto, è schiacciante. Tutto il film si gioca sul come o per quanto tempo, Maddie sarà in grado di tenerlo fuori dalla sua abitazione. La ragazza è quindi obbligata ad avere quasi sempre un contatto visivo con lui. Non appena lo perde di vista, infatti, non le sarà possibile individuarlo. E lo perderà di vista tante volte, nel corso del film, essendo lei barricata dentro casa e avendo, al contrario, il killer maggiore libertà di movimento.
Diciamo che è una situazione simile, anche se ribaltata, a quella del classicone Gli Occhi della Notte, con una vittima designata che parte sconfitta in partenza, causa handicap fisico, e poi tira fuori una forza di carattere sorprendente e finisce per sfruttare le sue apparenti debolezze a suo vantaggio. Per Audrey Hepburn era l’oscurità, per Maddie è invece l’uso del rumore assordante.
Come tutti i buoni film, Hush ha uno sviluppo molto coerente. Maddie agisce sempre con un’idea precisa in testa, anche quando sbaglia. E sarebbe anche il caso di sfatare quel mito del film dell’orrore con i personaggi che si comportano da scemi. In una situazione come quella proposta in Hush (ma in una vagonata di altri film) non so se tutti avremmo la prontezza di spirito di non commettere neanche un errore e di non fare cazzate. Maddie di cazzate ne fa (ma soprattutto ne immagina) parecchie, eppure sono tutte perfettamente plausibili, date le circostanze.
Mi ha impressionato, per esempio, il fatto che riesca ad appropriarsi della balestra dell’assassino, ma che poi non sia in grado né di caricarla né di usarla. Sono piccoli tocchi di classe che evidenziano la presenza di un regista (e di due sceneggiatori) che non scivolano nei soliti stereotipi, ma che anzi, sanno prendere il meglio da uno scheletro narrativo di per sé stereotipato, ed evitano di cadere nelle trappole più consuete.

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Perché, a parte eccezioni d’autore, l’horror campa sulla riproposizione di schemi consolidati. E la differenza tra un buon horror e un horror mediocre sta tutta nel come questi schemi si adattano, spesso arrivando a forzarli, alle proprie esigenze.
Prendere la tipica situazione del personaggio indifeso e “debole” contro psicopatico con l’unico obiettivo di spargere sangue, e farne comunque un prodotto, non solo dignitoso, ma fresco, originale, che non ti annoia un secondo e, in alcuni momenti, arriva addirittura a sorprenderti, non è da tutti e non capita spesso.
E poi c’è sempre da tenere in considerazione il come una storia, per quanto lineare e classica, viene messa in scena. Di Flanagan regista ho sempre apprezzato molto la gestione degli spazi. Lui ama girare in interni e fa compiere dei veri e propri tour de force alla macchina da presa. In questo caso, abbiamo anche il bonus di un film che è tutto ambientato di notte e, per più della metà, senza luci artificiali. E così, le grandi vetrate della casa di Maddie diventano la sola fonte di illuminazione e Flanagan e il suo direttore della fotografia (prima collaborazione tra i due) James Kniest tirano fuori il meglio da un punto di partenza che rischia di essere limitante.
Di Flanagan montatore (lui monta tutti i suoi film) invece mi piace la capacità di inserire sempre un qualche elemento straniante che va a spezzare la linearità del racconto. Sia esso un flashback che flasback non è, perché lo si fa quasi avvenire in simultanea, come accadeva in Oculos, oppure una proiezione mentale della protagonista, come accade in Hush, giunge sempre inaspettato e sempre al momento giusto, quasi un meccanismo a orologeria.
Insomma, Hush è di sicuro un minore di Flanagan, ma resta comunque un film che vale la pena di vedere, un film dove si possono cogliere tanti dettagli e dove la personalità di chi sta dietro la MdP emerge con prepotenza, anche in un contesto a forte rischio banalità.

24 commenti

  1. sembra molto interessante lo recupererò su netflix…

    1. Netflix riserva sempre tante gioie.

  2. valeria · ·

    visionato ieri sera. al termine ho pensato “qua ci vuole una bella recensione”, e cosa mi trovo stamattina? telepatia 🙂 mi trovo perfettamente d’accordo con quanto hai scritto, specialmente per quanto riguarda il particolare della balestra: un tocco che aggiunge veramente quel qualcosa in più di realistico. pazzesco come basti una cosa all’apparenza così insignificante per fare la differenza tra questo e centinaia di altri film simili. molto brava la siegel (che all’inizio pensavo fosse parente di liv tyler, la somiglianza è notevole xD); prevedo altri progetti in comune con flanagan visto che sono sposati 🙂 attendiamo fiduciosi.

    1. Infatti sarà la protagonista anche di Oujia II che vabbè, il solo progetto è ridicolo, ma con Flanagan alle spalle, hai visto mai…
      Il particolare della balestra è il piccolo tocco di classe, davvero.

  3. a me il film ha annoiato sempre più dal momento in cui il killer si toglie la maschera e si rivela per il coglioncello che è. Non so spiegare esattamente il perchè e il percome, mi rendo conto che c’erano tutti gli ingredienti per tenermi col fiato sospeso.. ma alla fine il soufflè non è venuto.. L’ho trovato un filmino ben fatto, con potenzialità forse inespressa, ma niente più.

    1. Diciamo che la “normalità” del killer, a mio avviso, ha aggiunto qualcosa al film. Però capisco che, forse, per alcuni potrebbe essere un difetto.

  4. Laccenno alla tecnica di scrittura – oltre all’idea della protagonista sordomuta – mi ha fatto venire voglia di vederlo. E poi il riferimento a Gli Occhi della Notte! Grazie per la recensione.

    1. Il riferimento a Gli Occhi della Notte a me è parso palese. E l’idea che lei utilizzi la scrittura come metodo per tentare di portare a casa la pelle è molto interessante. Poi il film è una scheggia.

  5. Blissard · ·

    Molto carino, non c’è che dire.
    La protagonista è molto brava, mi ha convinto poco il “cattivo”, quando si toglie la maschera sembra uscito da un video dei Blink 182; probabilmente, come fai notare tu, è un effetto voluto dal regista 🙂
    Oculus mi aveva convinto a metà (aveva spunti interessantissimi ma ad un certo punto iniziava a girare a vuoto), questo Hush tutto sommato mi è sembrato più compatto.

    1. Secondo me, al contrario, Oculus è su un altro livello. Almeno, io l’ho adorato. Questo si difende e c’è comunque la classe di un buon regista/autore alle spalle.

      1. Giuseppe · ·

        Oculus è un horror di gran classe, e se Hush (pur spostandosi da territori soprannaturali a quelli più “materiali” dell’home invasion) contenesse anche solo metà di quella classe sarebbe già più che sufficiente per non perderselo… ma vedo che comunque Flanagan riesce a volare alto anche qui, con un killer e una vittima molto più umani e realistici di quanto non capiti di incontrare in altri film del genere.

        1. Il film di Flanagan che aspetto con più ansia, in questo 2016, è Somia, o Before I Wake che dir si voglia.
          E su questo non ci avevo scommesso tantissimo. Eppure, che bella sorpresa

          1. Giuseppe · ·

            E con Before I Wake credo proprio che ne arriverà un’altra (visto quanto ci sa fare con il soprannaturale: Absentia e Oculus, appunto, stanno lì a dimostrarlo) 😉

          2. Blissard · ·

            Before I wake è una grande incognita.
            Oculus – che molti hanno apprezzato molto, quindi il mio è un parere minoritario – propone una variante horror molto interessante e poco battuta (la casa che cambia le percezioni di chi la abita), ma da metà in poi perde le fila del discorso e si ingarbuglia scriteriatamente. L’inettitudine dei due attori (adulti, non bambini) protagonisti poi inficia ulteriormente il risultato finale.
            Absentia, al contrario, è un film fatto di niente ma a suo modo geniale; fino ad oggi è probabilmente il film che preferisco di Flanagan, nonostante la povertà di budget.
            Hush lo trovo poco inferiore; per molti versi è una marchetta fatta per piacere a più gente possibile, ma è realizzato con indubbia professionalità e – come fa notare Lucia – con la personalità che serve per aggirare gli usurati clichè dello slasher (la scena citata con la balestra è l’esempio più calzante).
            Ancora non mi sono fatto un’idea precisa su Flanagan, che comunque senza dubbio è, tra le nuove leve horror, uno dei più promettenti.

          3. Io, in Oculus, ho trovato un po’ monoespressivo il ragazzo, ma la sorella è una brava attrice.
            E non ho neanche notato l’ingarbugliamento, nel senso che è proprio la gestione dei flashback e il modo in cui si incastrano nel presente (falsi flashback compresi) che me lo ha fatto amare molto. A oggi, è quello il film di Flanagan che preferisco, anche più di Absentia, perché è più ricco e quindo ha dato modo a Flanagan di sbizzarrirsi di più.
            Il finale poi, l’ho trovato assolutamente perfetto e mi è rimasto impresso.

  6. Bellino, sì, l’ho trovato più che altro un compitino svolto molto, molto bene ma poco, poco altro. Però l’ho visto con piacere e le modalità con cui lei reagisce e sopravvive sono anche per me la parte migliore e più accattivante.
    Peccato alla fine sia così banale, con tutti i clichè rispettati con zero inventiva, e che, come dice qualcuno più in su, il villain non sia così ben inquadrato e pecchi un po’ di una certa idiozia nonostante fosse un accenno voluto. 🙂

    1. Sì, è un compitino. D’altronde, fai tre film in un anno con la Blumhouse, due saranno compitini e magari il terzo sarà un po’ più personale. Ma è un gran bel compitino, avercene di registi che ti fanno i compitini così 🙂

  7. La recensione comunque è stupenda. Sei di una bravura mostruosa Lucia.

    1. Grazie, sei troppo buona 🙂

  8. Netflix lo mette nel suo catalogo.
    Lo noto.
    Wow, film recente.
    Però sembra sempre il solito horror ambientato in un casa.
    Lo vedo o non lo vedo?
    Leggo la tua recensione.
    Lo vedo.
    Anzi lo vedrò.
    Grazie!

  9. Cercherò di vederlo, sono da poco reduce da “Home invasion” quello con Jason Patric, mi ha ricordato i tempi gloriosi dei call center. Questo tipo di thriller però mi cattura sempre, anche perchè è un genere piuttosto verosimile, cioè a tutti può capitare di avere ladri in casa. E’ una minaccia molto reale, insomma. Ieri invece ho visto “Small Town Murder Songs”, sono sicura che ti piacerebbe. Se ne parli, avvisami 🙂

  10. Lorenzo · ·

    Un buon film! Non perfetto, la trama é un po’ scheletrica ma tira fuori degli ottimi spunti durante il film, che lo rendono interessante come hai scritto. Gli home invasion mi mettono sempre a disagio

  11. archiviohorror · ·

    Recensione magistrale: è evidente produzione di chi di cinema se ne intende ( oltre che se ne nutre). Efficacissimo l’inserimento del film nella recente ( e frenetica ) produzione di Flanagan. Grazie per avermi illustrato i meriti e il sottotesto di un film che avevo in programma di guardare il prima possibile. Quando puoi passa a dare un’occhiata alle mie recensioni ( e sii clemente, ho cominciato oggi). Complimenti ancora

    1. Grazie!
      Vedilo, il film, perché è un esercizio divertente e ottimamente realizzato.
      E ci passo molto volentieri, dalle tue parti 🙂

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