Driver, l’Imprendibile

TheDriver_US_MPOTW Regia – Walter Hill (1978)

Secondo film dietro la macchina da presa ed è subito leggenda. Che poi non è andata proprio così e la patina leggendaria di cui The Driver è ammantato è stata aggiunta in seguito. Già, perché nel 1978, l’opera seconda di Walter Hill venne stroncata dalla critica e snobbata dal pubblico, almeno negli Stati Uniti. Poi arrivarono le rivalutazioni e, molto, molto dopo, è arrivato anche Refn. Nel mezzo, troviamo il solito Tarantino che cita The Driver a più riprese e lo definisce uno dei film più fighi mai realizzati.
Ma, quando il film uscì nelle sale e ricevette le varie stroncature, ci fu una specie di corsa a prenderne le distanze. Con Isabelle Adjani che accusava The Driver di aver stroncato la sua nascente carriera hollywoodiana (era il primo ruolo americano importante per l’attrice) e il produttore Lawrence Gordon (che abbiamo già incontrato e incontreremo di nuovo) che rimpiangeva la scelta Ryan O’Neal come protagonista, evidentemente non adatto al ruolo, dicendo che se ci fosse stato Steve McQueen nessuno si sarebbe accanito nei confronti di The Driver, trattato alla stregua di film d’autore, mentre si trattava di un “semplice” film d’azione.
E ora, in tutto questo ginepraio, bisogna mettere un po’ di ordine, altrimenti non ci capiamo più niente.

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Temo ci sia un equivoco di fondo, quando si va a parlare di un regista come Walter Hill: la troppa facilità con cui lo si definisce regista di genere. Non che non lo sia, intendiamoci. Quasi tutti i suoi film sono ascrivibili al genere. Ma si tende anche a dimenticare che, anagraficamente e culturalmente, Hill fa parte della generazione di cineasti che, negli anni ’70, cambiarono Hollywood nel profondo e la cui ispirazione non risiedeva soltanto nei generi classici del cinema americano, ma guardava da altre parti, all’Europa, alla Francia in particolare.
Ed è in questo contesto che va inserito il lavoro di Hill, soprattutto The Driver, che prende spunto proprio da un noir francese (anzi, italo-francese) Le Samouraï, di Jean-Pierre Melville.
Comprensibile, quindi, l’imbarazzo generale quando il film è uscito nelle sale e ci si aspettava un normale action, mentre ci si trovò di fronte a un film dall’impostazione minimalista, diretto con uno stile privo di fronzoli, persino nelle spettacolari sequenze di inseguimento con le macchine.
Un film dove i personaggi non sono neanche tali, ma vengono ridotti a mere funzioni narrative, non hanno neanche un nome, ma sono “The Driver” (eh sì, come Goslin), “The Detective”, “The Player”; la trama è lineare e scarna, tutto mira all’essenziale, a scavare fino a dare corpo a un’essenza pura e astratta di cinema.

Forse sì, Ryan O’Neal non era proprio adattissimo al ruolo taciturno (poco più di 300 parole in tutto il film) e molto fisico del pilota e l’Adjani è sicuramente sacrificata, mentre Dern è quello che ne esce meglio. Ma non ha poi un’importanza eccessiva. The Driver non si poggia sulle interpretazioni degli attori, ma sulla regia di Hill. E, anche qui, va aperta una parentesti, perché sembra quasi che ci stiamo occupando di un’opera barocca e infarcita di virtuosismi, cosa che Hill non si è mai sognato di realizzare in tutta la sua carriera. La bellezza dello stile di Hill sta proprio nel modo quasi invisibile con cui riesce a costruire la sua epica antienfatica.

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Guardate la sequenza, famosissima, del “Driver” che sfascia un’auto con metodo quasi scientifico, perché il gruppo di rapinatori che vuole assoldarlo gli ha chiesto di dimostrare che è in grado di guidare: la macchina da presa quasi non si muove, ma cattura il movimento e il dinamismo della scena, che basta a se stesso. Questo è il modo di girare di Hill, e resterà sostanzialmente invariato fino alla fine della sua carriera. La messa in scena è coreografata nei dettagli e la macchina da presa è piazzata in maniera da tale da restituire all’occhio dello spettatore l’azione, come se fosse la cosa più semplice e naturale del mondo.

Rimane un film niente affatto facile, The Driver. Prima di tutto perché è quasi muto. L’unico personaggio con delle linee di dialogo corpose è il detective di Dern, che è anche, se proprio vogliamo chiamarlo così, il villain della situazione. Ma non c’è una distinzione tra buoni e cattivi: si tratta di due personaggi che sanno fare bene il loro mestiere e, per questo motivo, finiscono per scontrarsi. Poco importa che uno sia un agente di polizia e l’altro un pilota di rapine, il migliore in tutta Los Angeles. La contrapposizione tra i due è di natura puramente professionale. Il “Driver” non è mai stato catturato e il “Detective” vuole essere quello che, finalmente, ci riesce, a qualunque costo, mettendo a repentaglio la sua stessa carriera e muovendosi ai limiti della legalità. Superandoli, addirittura.
Nel mezzo, c’è una testimone e giocatrice d’azzardo che ha assistito a una rapina in un casinò e ha visto in faccia il pilota. Eppure, non dice niente alla polizia per ragioni di carattere economico. Ha bisogno di soldi e vuole essere pagata per il proprio silenzio.

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Siamo in piena zona noir, con personaggi moralmente ambigui e mancanza di distinzione tra bene e male. E sì, è vero che il “Driver” ha un suo codice etico che attira le simpatie del pubblico, ma lo infrange alla bisogna, perché non è un cretino. Ci si muove solo per tornaconto personale, per ambizione, per soldi o per dimostrare di essere migliori e più furbi.
E, come spesso accade nel cinema di Walter Hill, dopo tanto inseguire, rincorrersi, fregarsi a vicenda, si arriva a un nulla di fatto, alla situazione di partenza spostata di poco e ognuno torna a recitare il proprio ruolo. Un girare in tondo che sarà semplificato alla grande in quel capolavoro de I Guerrieri della Notte, tanto per capire di cosa stiamo parlando. Archetipi stanchi, silenziosi, quasi apatici e, tuttavia, comunque combattivi, ché combattere o sfrecciare a tutta velocità per le strade di una Los Angeles quasi sempre ripresa di notte, è una forma di vitalismo individualista che ascrive pienamente The Driver al grande romanzo epico americano, di cui Hill è una delle punte di diamante.

 

6 commenti

  1. È Hill, poche balle! E la scena della demolizione dell’auto la ricordo ancora adesso sebbene siano passati decenni dall’ultima volta che ho visto il film

    1. Quella è storia del cinema 🙂

  2. Bellissimo film rivisto di recente infatti Drive ne è quasi la copia, bellissimi inseguimenti quello iniziale e finale da cardiopalmo (Need fo Speed mi ha fatto addormentare perchè non c’era tensione).
    Comunque quel cinema muscolare e sparito c’è solo quasi spazio per i cinecomics(finchè il pubblico non si stufa).
    Comunque per me grandi Carpenter,Hill,Milius,e Mctiernan.
    Un saluto Lucia.

    1. Drive sì, è praticamente un remake, con delle cose in più e un’idea di cinema molto differente, che è quella personalissima di Refn.
      Un filmone, comunque, molto sottovalutato

  3. Giuseppe · ·

    E’ vero, all’inizio non venne metabolizzato subito, ma il tempo gli ha reso parzialmente giustizia (anche se non ancora del tutto, credo). Un action/noir di altissimo livello, comunque, e riguardo agli interpreti devo dire che non mi sono mai dispiaciuti nei rispettivi ruoli nemmeno O’Neal e la Adjani (pure se il suo personaggio, alla fine, rimane quello più “compresso” e meno sfruttato)…

  4. Bruno · ·

    Il film e i “mutismi” degli interpreti principali mi hanno sempre affascinato! Senza parlare degli inseguimenti . Tant’è che ogni tanto lo rivedo!

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