
Regia – Douglas Hickox (1973)
Ci vuole una certa faccia come il deretano per intitolare un film ambientato nel mondo del teatro Oscar Insanguinato, ma i nostri titolisti malvagi non si smentiscono mai, e di conseguenza, vi toccherà cercare su Prime Theatre of Blood con questo bislacco nome. Di Oscar non c’è nemmeno l’ombra (ma c’è comunque un premio non consegnato che rappresenta, di fatto, il motivo scatenante della trama), ma di sangue ce n’è in abbondanza: Theatre of Blood arriva in un momento abbastanza complicato per l’horror britannico, quello della fase calante della Hammer, di cui abbiamo parlato parecchie volte e che non sto qui a rivangare, altrimenti mi scambiate per un’anziana che racconta sempre le stesse cose.
Se la risposta della Hammer alle novità giunte da oltreoceano è rappresentata da una serie di tentativi, spesso andati a vuoto, di svecchiare il gotico mantenendo inalterata la formula, ecco che arriva questo aiuto regista e regista di seconda unità fresco di promozione e si mette a sparigliare tutte le carte, seguendo un modello inaugurato da Robert Fuest appena un paio d’anni prima, quello della commedia horror alla Dottor Phibes, sempre con il nostro Vincent Price.
Doveva infatti essere proprio Fuest a dirigere Theatre of Blood, ma il regista rifiuta perché non vuole essere etichettato come “quello che dirige i film con Vincent Price che uccide la gente”. La struttura di Theatre of Blood ha parecchi tratti in comune con quella del Dottor Phibes: si tratta sempre di una vendetta e sempre di un personaggio sopra le righe che attua i suoi piani in maniera rocambolesca, minuziosa e bizantina. Qui abbiamo in più la componente meta del teatro nel teatro, perché il nostro Vincent interpreta un attore shakespeariano che comincia a uccidere tutti i critici che, nel corso della sua carriera, lo hanno maltrattato (e gli hanno negato un premio che a suo parere meritava), basandosi sulla morte dei personaggi in alcune tragedie del Bardo. Price era entusiasta del ruolo: non aveva mai avuto l’occasione di recitare Shakespeare e qui è semplicemente sublime nel dare vita a Edward Lionheart, attore gigione e istrionico, e alle sue elaborate messe in scena di omicidi fin troppo reali e violenti. Price sfoggia trucco e costumi sempre diversi, dalle protesi sul volto per impersonare un deforme Riccardo III, a una parrucca riccia per camuffarsi da parrucchiere alla moda e uccidere l’unica donna nel gruppo di critici colpevoli di non aver compreso appieno il suo genio.
Ad affiancarlo, sua figlia Edwina, una Diana Rigg particolarmente divertita e, ma non vi sto dicendo certo una cosa nuova, divina. Il resto del cast è composto dalla classica parata di attoroni britannici che si dispongono con un elevato grado di autoironia a fare da carne da macello per la furia vendicativa di Lionheart e il suo sadismo shakespeariano. Alla fine, il film è tutto qui: i critici vengono fatti fuori uno a uno come in uno slasher molto in anticipo sui tempi, ma ognuno in maniera diversa, come in un torture porn ancora più in anticipo sui tempi e con molta più classe. Hickox ci tiene a mostrare quanti più dettagli truculenti permettessero la censura e la mentalità dell’epoca. Ovvio che Theatre of Blood non sia Saw, ma il meccanismo è abbastanza simile (e del resto, è lo stesso di Phibes): c’è quello fatto a pezzi dai senza tetto di cui si circonda Lionheart nel suo nascondiglio, quello decapitato nel suo stesso letto, quello a cui viene strappato il cuore da vivo, la critica bruciata viva sotto al casco del parrucchiere e così via, di nefandezza in nefandezza, mentre il nostro Vincent, irrefrenabile, sciorina citazioni da Shakespeare una dietro l’altra con una serietà che crea un delizioso contrasto con il tono lieve e sardonico impresso da Hickox al suo film.
Commedia horror, dunque, che si prende gioco della pretenziosità dei critici e, allo tesso tempo, dell’arroganza e della vanità degli attori; camp, come sempre quando c’è di mezzo Price, a livelli altissimi, oltraggiosa, dissacrante e senza alcuna paura di scivolare nel grottesco: basta vedere la corte di miracoli di cui Lionheart si circonda o l’esasperazione dei tratti più sgradevoli di alcune delle vittime. Ma è anche un film colto, preciso, filologico nelle sue citazioni e ispirazioni shakesperiane. Dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, che Shakespeare è un ricettacolo di orrori sempre pronto all’uso per essere trasformato in un festino di gore, e questo quasi trent’anni prima che Julie Taymor adattasse il Tito Andronico in forma di horror puro. Di fatto, si tratta di uno dei più interessanti, originali (con tutto il debito con Phibes) e inventivi horror inglesi degli anni ’70, e non solo.
Hickox ha spesso affermato che, con un cast come quello messogli a disposizione, lui doveva solo limitarsi a piazzare la macchina da presa e dire “Azione!”; non so se si tratti di umiltà, di falsa modestia o di un modo per rendere onore a un gruppo di attori fenomenali, ma è evidentemente falso: lo stile visivo di Theatre off Blood è, anche quello, bizzarro, surreale, sopra le righe, molto pittoresco; angolazioni inusuali, composizioni dell’inquadratura mai convenzionali, come la scelta di far recitare il famoso monologo del Riccardo III all’ombra di Vincent Price proiettata sul muro neanche fosse un novello Nosferatu. O ancora, le soggettive delle vittime sul volto di Lionheart che incombe su di loro dall’alto, un uso delle scenografie e dei costumi davvero particolare, che suggerisce un passato di grandezza e un presente di rovina, e potrei continuare per altre venti pagine, se non avessi il timore di ammorbarvi.
C’è persino un accenno di metafora politica, se pensate al fatto che Lionheart dispone di un esercito di straccioni che si accaniscono sui corpi di questi signorotti ricchi e chiusi nel loro privilegio, convinti di essere intoccabili, di avere il potere di stroncare carriere, di decidere per la vita e la morte di chi si trova a subire i colpi feroci delle loro penne. Dai bassifondi, la vendetta arriva a colpire l’alta borghesia britannica, a spogliarla delle sue sicurezze, a rivoltarle contro i suoi stessi riti. È una dinamica molto sottile, ma possiamo affermare che Theatre of Blood è anche precursore, a suo modo, dell’horror inteso come lotta di classe.
50 anni portati magnificamente, amici, romani, concittadini.
Mitici i titolisti italiani,solo loro potevano includere nel titolo l’oscar,nonostante il presonaggio di Vincent Price sia di fatto un attore di teatro😂! Molto bello questo filmone,posseggo con piacere la mia copia in DVD!
Che film!..lo vidi in TV nel lontanissimo 1979 e fu amore😍.. Elegante e deliziosamente macabro..e poi..Vincent Price ❤️
“Il pubblico italiano si domanda spesso chi si cela dietro la scelta di titoli italiani assurdi, insensati, ‘spoileranti’, incomprensibili, sgrammaticati o anche semplicemente scemi… Il più delle volte ci dobbiamo fermare ad incolpare ‘quelli’ della distribuzione, delle non ben precisate e anonime figure degli uffici marketing dei distributori cinematografici il cui scopo è quello di trovare un titolo il più accattivante possibile per il mercato italiano.” Così Evit su Doppiaggi italioti un (altro) bel (e divertente) blog che parla di cinema o, meglio, “di critica all’adattamento in Italia”.
Di Hickox sembra interessante anche il thriller Blackout del 1985, con nel cast Kathleen Quintan, Keith Carradine e Richard Widmark, qualcuno lo conosce per caso?
E anche Theatre of Blood va più che meritatamente a inserirsi nella categoria “cinquant’anni e non sentirli”… Avendolo già, poi, non devo nemmeno aspettare gentili concessioni da parte di Prime o altre piattaforme per poterlo rivedere 😉
Stiamo parlando di uno dei migliori “Price movie”, se non in assoluto il migliore.