Evil Dead Rise

Regia – Lee Cronin (2023)

Non so se ve ne siete resi conto, ma stanno tornando in auge gli horror divertenti. Parlo di quel divertimento un po’ sguaiato a vedere sullo schermo il sangue elargito a secchiate che a gran parte del pubblico generico risulta incomprensibile. Quel divertimento dovuto principalmente a una bella iniezione di adrenalina pura, generato da una reazione puramente emotiva, quasi animale, alle immagini che scorrono sullo schermo. L’horror sofisticato è meraviglioso, ma diverte poco e, soprattutto, chiede delle risposte cerebrali allo spettatore; l’horror sofisticato piace alla critica non per tutte le ragioni di cui abbiamo discusso qui svariate volte, ma perché non è mai (o quasi mai, con le dovute eccezioni) divertente, non è mai davvero liberatorio, non si pone mai come un giullare impazzito che ti ride in faccia mentre ti vuole scartavetrare con una grattugia, ecco. Dato che a me dell’horror piace tutto, credo che ci sia spazio per ogni sua componente, e mi fa molto piacere assistere a questo ritorno del divertimento puro e semplice, anche in produzioni di un certo livello. Anche perché, non si tratta soltanto di un discorso relativo all’horror elevato, è un discorso che può essere applicato anche al torture porn e derivati vari: se vi ricordate, Evil Dead 2013 era bellissimo, ma era anche molto, molto serioso. 

Questo nuovo capitolo della saga, che si apre in una cabin in the woods ma poi ci trascina dentro un condominio a Los Angeles, ed è quindi il primo film di Evil Dead ad avere un’ambientazione urbana, cerca di trovare un equilibrio tra la vena anarchica e istrionica delle origini, e dello stile di Raimi, e quella più meditabonda tipica del cinema dell’orrore del XXI secolo. Ma non si dimentica mai, neppure per un istante, di intrattenere. È una scheggia velocissima che dura appena 90 minuti e, dallo scoccare della mezz’ora, è un eccellente bagno di sangue senza troppe pretese, diretto e recitato molto bene, pieno zeppo di sorprese per i fan di vecchia data della saga, di citazioni, di rimandi, di battute storiche, in particolare dal secondo capitolo di Evil Dead, che a me pare una dichiarazione d’intenti molto specifica. 

La storia è quella di due sorelle, Ellie e Beth; la prima (Alyssa Sutherland) vive in questo fatiscente palazzone di Los Angeles (in via di demolizione) con i suoi tre figli ed è da poco stata lasciata dal marito; la seconda fa la tecnica del suono e se ne va in giro per il mondo, fino a quando non scopre di essere incinta e si rivolge quindi alla sorella maggiore per avere dei consigli sul da farsi. Un terremoto crea una voragine nel garage del condominio e uno dei tre figli di Ellie, Danny, ha la magnifica pensata di calarsi nel buco, dove trova, protetto da croci varie, il celeberrimo libro, accompagnato da alcuni vinili. Da lì in poi, per il nostro Danny è tutta una serie di idee geniali una dietro l’altra, che collimano nell’accidentale invocazione delle entità demoniache note per far marcire la gente dal 1981. Le Deadites procedono con l’accoppare e, di conseguenza, possedere Ellie, e a quel punto comincia la mattanza. 

È inutile che ce la raccontiamo diversamente: siamo qui per questo, per questo abbiamo pagato il biglietto e, dati gli incassi poderosi del primo fine settimana di programmazione, siamo stati in tanti ad averlo fatto.
Quando tuttavia si tratta di riprendere le fila di una saga così tanto amata, dipende sempre da come si sceglie di metterla in scena, la tanto sospirata mattanza. Alvarez, nel 2013, aveva usato toni cupi e drammatici, entrando in “zona Raimi” soltanto nell’ultima parte del film. Non dico che Evil Dead 2013 sia un film sobrio, per carità, ma non è mai contaminato con la commedia come i suoi predecessori. Evil Dead Rise sembra, all’inizio, seguire la stessa strada. Dopo il prologo, andiamo a conoscere questa famiglia molto poco tradizionale che ci sta subito molto simpatica e insieme alla quale Cronin ci fa trascorrere un lasso di tempo piuttosto ampio. Se vi ricordate, anche nel reebot di dieci anni fa, ampio spazio veniva dato all’introduzione dei personaggi, ma con uno scopo differente: lì bisognava fornire allo spettatore una spiegazione del perché i giovani protagonisti si trovassero nella capanna nel bosco; era quindi una faccenda di carattere strumentale, neppure troppo efficace, se vogliamo dirla tutta. Non era sentita. Cronin, al contrario, sente i suoi personaggi, vuole loro bene, ci tiene a preparare il terreno per farci soffrire quando le cose si metteranno malissimo. 

E poi, come in un tragico scherzo, il film abbandona la serietà in maniera graduale e, mentre Ellie procede al sistematico sterminio di ogni forma di vita esistente nel palazzo, Cronin compie un cambio di registro che ci riporta dritti alle atmosfere farsesche di Evil Dead II. Non solo, ma questo film deve moltissimo anche al nostro Demoni 2, del quale ricalca l’ambientazione e anche alcune scene, come quella del garage, e con il quale ha in comune una certa sardonica crudeltà che non risparmia nessuno, neppure i ragazzini, qui carne da macello proprio come chiunque sia così sfortunato da essere un vicino di casa di Ellie. 
Ora, per ottenere una robusta R dalla MPAA, Cronin è dovuto ricorrere ad alcuni trucchetti, altrimenti si rischiava un NC17, che sarebbe stato la morte commerciale del film. La strage compiuta da Ellie sul pianerottolo, per esempio, è gestita con la trovata geniale di mostrarcela tutta attraverso lo spioncino della porta, quindi da una prospettiva limitata che ci impedisce di vedere proprio tutto. Invece di tagliare sul più bello, Cronin gioca tutto su una barriera posta davanti al nostro sguardo. Non agisce sul montaggio, ma sulla pura messa in scena, e questo è interessante e denota anche un gran mestiere da parte sua. 

In generale, proprio per come Cronin gestisce un materiale che conosciamo tutti a memoria, tutto Evil Dead Rise è un film interessante: non vuole rivoluzionare la mitologia (anche se c’è un elemento nuovo, assente in tutti gli altri film), non vuole portare Evil Dead nel XXI secolo, innanzitutto perché già ce lo hanno portato e, in seconda battuta perché Evil Dead è una tale astrazione, priva di contesto e volutamente svincolata dalla contemporaneità da non necessitare di un’operazione di svecchiamento. Quello che Cronin ha in mente di confezionare è un’ora e mezza di orrore primitivo e viscerale, quella sistematica distruzione del corpo umano che continua, più di 40 anni dopo, a sottolineare la nostra fragilità esistenziale e a farci un sacco di risate sopra, perché cos’altro si può voler fare? Quando raggiungi la consapevolezza di quale sottile barriera tra noi e il nulla sia la carne che ci riveste, puoi solo metterti a ridere. 
Credo che Evil Dead 2013 fosse, preso nella sua totalità, un film superiore a questo. Ma sono anche convinta che Cronin abbia capito Raimi e la sua filosofia del cinema horror molto più di Alvarez, e che sia quindi la persona più adatta per far rivivere questa saga. 

7 commenti

  1. Attendevo questa recensione e non potrei essere più d’accordo: mi sono divertito come un pazzo di fronte a questo uragano di frattaglie assortite, un bello splatterone godereccio che anch’io ho trovato molto più in stile Raimi rispetto al film di Alvarez. Se dovessi trovare un “difetto”, personalmente avrei tagliato il prologo e l’epilogo per entrare subito nel vivo ed evitare il finale aperto, ma questa è veramente una piccolezza. Sono rimasto colpito dall’interpretazione di Alyssa Sutherland, veramente sensazionale.

  2. alessio · · Rispondi

    Senza scomodare Aliens o T2 a chi afferma che i sequel non siano mai all’altezza degli originali potrei obiettare proseguendo con Scream, La Casa. Taissa Farmiga… La Casa 2 è stato il mio primo film dell’orrore (per me Evil Dead è La Casa, in italiano e rigorosamente accompagnata da un cardinale e, dunque, quest’ultimo Evil Dead Rise è La Casa 4 cosi come IV è il titolo del quarto album dei Led Zeppellin. Punto); primo horror intorno ai 12 anni – dicevo – e certo non poteva andarmi più di lusso: cosa di meglio che ettolitri di sangue ad imbrattare una narrazione così caciarona, una festa ematica quasi anarchica; sfrontata: per un adolescente il massimo. E poi Ash… come non volergli bene. Presi un quaderno e ne riscrissi la storia, ne disegnai anche la copertina. Ancora, L’Armata delle Tenebre (la sua degna conclusione narrativa, estetica e di poetica) con dentro una delle line più citate (ma che io non ripeterò) di sempre, quasi inflazionata ma che se non fosse uscita dalla bocca di quello scavezzacollo di Bruce Campbell probabilmente finita come migliaia di altre dentro il pozzo del dimenticatoio (anche se così pare per l’AFI che non la inserisce neanche tra le prime 100 migliori battute della storia del cinema, vabbè). Mi è piaciuto anche il remake di Alvarez sebbene criticato da molti per un eccesso di paternalismo moraleggiante che viene visto come bigotto (e posticcio, non felicemente inserito nello storytelling); mah, se perde qualcosa nella resa della scrittura e armonia del racconto gli concedo il coraggio di gridare con coraggio, anche se in maniera un po’ troppo ad alta voce, il proprio punto di vista (notare che poi questi stessi critici contestano anche un messaggio meno urlato se non si confà al proprio di codice etico). Quest’ultimo (per ora?) capitolo sembrerebbe un’ora e mezza di visione come spesso chiediamo e non sempre riceviamo dal cinema: sano intrattenimento ed emozioni epidermiche. Vedremo.

  3. Giuseppe · · Rispondi

    Mi par di capire che Cronin non sia affatto serioso come lo era Alvarez, dieci anni fa: due approcci differenti allo stesso tema ma, se escludiamo il capostipite, la seriosità non è certo mai stata la cifra stilistica della saga, ragion per cui capisco perché tra i due consideri molto più raimiano il primo rispetto al secondo… Adesso non mi resta che verificarlo di persona 😉

  4. Tutto l’Evil Dead mi piace, dai titoli più cupi fino all’Armata delle Tenebre. Non so se riuscirò a vederlo al cinema, ma non me lo farò scappare appena arriverà sugli schermi più piccoli.

  5. Yeah. Da vedere assolutamente, quindi!

    Devo essere sincero: il film del 2013 me lo ricordo molto bello formalmente, ma non mi ha lasciato molto, tanto che non l’ho mai più rivisto. Chissà oggi… spesso mi ritrovo a cambiare idea quando passano gli anni…

    Invece con Sam Raimi (che è uno degli autori della mia infanzia/adolescenza) negli ultimi tempi mi succede questo: ogni volta che ci torno su mi stupisce positivamente e noto qualcosa delle sue storie (e quindi anche di me) che va molto oltre la superfice del genere, anche con quei film che magari in passato ho snobbato o mi hanno fatto dubitare. Credo che ci siano pochi autori che riescono a raccontare in modo così umano, anarchico, profondo, matto, tragico e comico come lui, intrattenendo alla grande. Spero che non smetta mai di dirigere!

    Besos!

  6. Per l’occasione ho ripassato la trilogia originale e finalmente ho visto il film del 2013, che mi ha divertito da morire: era un sacco di tempo che non sentivo tanta adrenalina di fronte a un film! Però mi ha lasciato perplesso per quello che rischia di essere la sua interpretazione.
    Mi spiego: i protagonisti sono lì perché devono aiutare Mia a disintossicarsi “the hard way” dopo una serie di tentativi falliti, ed effettivamente, se consideriamo la possessione come una metafora per la crisi d’astinenza, si ripulisce “the hard way”; ma nel frattempo massacra tutta la gente che aveva l’unica colpa di trovarsi lì per farle del bene. Poi ok che il male, in Evil Dead, non guarda in faccia a nessuno e ti fa a pezzi chiunque tu sia, però l’ho trovato piuttosto ingiusto – a parte per il tizio che, nonostante gli esplicitamente avvertimenti a non continuare a leggere continua a leggere, e infatti è quello che muore peggio di tutti. O forse sono io che ci sto costruendo troppe sovrastrutture sopra.
    Resta comunque un film bellissimo, alla faccia di chi dice che i remake facciano schifo a prescindere!

  7. citando gli splatter per ridere mi hai fatto pensare a The Trip, con Noomi Rapace
    quante risate 😂😂😂

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