
Regia – Christopher Smith (2023)
Sono molto contenta che Smith sia tornato a girare film dell’orrore con una certa continuità, dopo la lunga parentesi televisiva seguita a Black Death. Forse i risultati non saranno proprio all’altezza del suo passato, ma se ogni paio d’anni se ne uscisse con un robusto horror anti-religioso, io non avrei alcuna ragione per lamentarmi.
Nel caso di Consecration poi, c’è Jena Malone che interpreta una donna molto arrabbiata (per ragioni assolutamente legittime) che odia preti e suore con un ardore impossibile da non condividere, e dove c’è Jena Malone che si incazza, di solito ci sono anche io. MI sono andata a vedere Sucker Punch in sala a causa della sua presenza, due ore e passa del mio tempo che nessuno mi restituirà mai, quindi figuratevi se mi tiro indietro in una delle rare occasioni in cui le viene offerto il ruolo da protagonista assoluta, di quella che tiene il film in piedi per 90 minuti.
Grace è un’oculista con un fratello prete con il quale non è più in contatto da anni. Una sera, tornata a casa, riceve una telefonata che le comunica la morte del fratello, avvenuta in un convento in Scozia in circostanze misteriose: pare che l’uomo abbia ucciso un altro sacerdote e si sia suicidato. Grace non riesce a credere che suo fratello sia un assassino e decide di recarsi di persona sul posto e indagare.
L’horror religioso è sempre, anche quando non è particolarmente riuscito, un’esperienza terrorizzante per la sottoscritta; va a toccare delle corde molto profonde, che scatenano in me un senso di orrore molto complesso da decifrare. Quando poi mi tocca passare un’ora e mezza chiusa in un convento a picco su una scogliera, abitato da suore dall’aria molto sinistra ed evidentemente squilibrate, mi sento a disagio come non mai. Forse questo è il motivo per cui Consecration alla fine mi è piaciuto più di quanto meriti. È un film molto lento, con 45 minuti buoni di mera introduzione, durante i quali non accade niente, un film dal ritmo letargico, e con un uso dei flashback in alcuni casi efficacissimo, in altri troppo didascalico.
Ci sono una serie di misteri sovrannaturali legati al passato di Grace e del fratello, vengono a galla poco a poco e costituiscono l’ossatura fantastica di un film che è, di fatto, un murder mistery con un’ambientazione inusuale. C’è un caso da risolvere (chi ha ucciso il fratello di Grace e perché) e c’è una soluzione tutto sommato banale ed estremamente “terrena”, se mi si passa il termine: il fanatismo religioso che genera mostri fin troppo reali; e poi c’è tutta la questione legata alla vera natura di Grace, che si spiega attraverso i ricordi di un’infanzia traumatica e rimossa, e attraverso delle visioni o allucinazioni che la nostra protagonista comincia ad avere nel momento in cui mette piede nel convento scozzese.
Senza fare eccessivi spoiler, il nucleo del film è la distinzione tra miracolo e manifestazione del male in terra. O meglio ancora, a chi tocca operare la distinzione tra le due cose. In altre parole, ci si domanda se il male e il bene esistano di per sé o se siano tali perché qualcuno ha deciso che lo fossero.
In Consecration, l’autorità religiosa ha prestabilito la natura di Grace, che deve essere per forza malvagia, anche se noi non vediamo compiere alla giovane donna alcuna azione cattiva, anzi. Di fatto, Grace è una brava persona e se per caso le capita di far male a qualcuno, lo fa solo per una mera questione di autodifesa. Se vogliono farle la pelle (e ci provano molto spesso, nel corso della breve durata del film), lei non ci sta a farsi ammazzare. Sì, ha in dotazione un enorme potere, e qui torna l’annoso discorso cominciato ai tempi di Carrie sul potere femminile e sulla sua gestione, che deve essere affidata ad altri, perché una donna da sola non può che compiere il male. In un film di neanche una decina di anni fa, Grace avrebbe liberato questo potere con conseguenze devastanti e tutto sarebbe finito tra fiamme dell’inferno, puzza di zolfo e bagliori dal paradiso. Qui la conclusione è più ambigua, meno scontata, molto interessante.
Smith è sempre molto bravo e dai tempi di Triangle non ha perduto la capacità di costruire personaggi femminili complessi e sfaccettati, mettendone in luce i pregi e i difetti, le inquietudini, la rabbia, le paure. Grace, aiutata anche da Malone che è eccellente, ne esce fuori come una figura bellissima, con tutte le sue contraddizioni e tutti i suoi spigoli. Nella migliore delle tradizioni di un genere che in Gran Bretagna è nato e ha prosperato, ovvero il folk horror, Grace è il classico personaggio scettico che arriva a comprendere e abbracciare il lato misterioso dell’esistenza, rischiando di esserne più volte annientata. Ma non solo: la frase ripetuta più volte dal prete mandato in Scozia dal Vaticano (Padre Romero, interpretato da Danny Huston), “C’è un unico Dio, e la sua ombra”, viene smentita dall’esistenza stessa di Grace, che non è un araldo di Dio e non è neanche la sua ombra. C’è quindi una forza altra all’opera, forse ce ne sono addirittura molte.
Per tutti questi motivi, credo che Consecration sia un film da analizzare con una certa cura e da non trattare con sufficienza; è un’opera sofisticata e intelligente, che per struttura e intensità ricorda molto Triangle, mentre per il suo impianto ideologico è un po’ il film gemello di Black Death.
Poi sì, è un film lento e tende a trascinarsi un po’ nella parte centrale, l’uso del flashback non è sempre gestito con eleganza, ed è anche un film povero, girato in piena pandemia e quindi claustrofobico non solo per scelta, ma proprio per necessità.
Se ve la sentite di passare sopra a questi piccoli difetti, potrete trovarci un bel po’ di cose belle.
“Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto.” 1Cor 13,12
Jena Malone si ritrova vent’anni dopo The Dangerous Lives of Altar Boys (2002) alle prese con una congrega di religiosi pericolosi, solo che qui più che suore e preti bigotti è la Chiesa, la sua Istituzione e tanfo esiziale. Confesso (e non potrebbe essere altrimenti dato il tema) che non stravedo (anche qui stiamo in tema) per gli horror che indugiano nella religione con tutto il suo armamentario di paramenti, riti e lezioni di etica ma per Jena Malone uno strappo si fa… Certo la preferivo cazzeggiare (e in bikini) in Rovine che qui, dolente, in una (apparente) rappresentazione plastica della scienza e della ragione. Film poco più che mediocre, confuso (come l’accento della bella Jena, a volte un po’ yenkee altre british) ed eccessivamente didascalico nei suoi continui flashback. Visivamente, davvero non basta la scelta della location con un paesaggio a dir poco mozzafiato (l’isola di Skye) per salvarlo dall’oblio e dalla redenzione. Una prece.
P.s. Visto che stiamo in tema e periodo, hai avuto modo di vedere l’idea di eucarestia secondo Peter Hengl?
sembra molto interessante
Consecration ce l’ho in lista da un po’… grande Smith e bellissimo pezzo.
Non so se in qualche modo ci sia un collegamento (tipo di personalità e sensibilità? Tipo di contesto artistico? Conoscenze? Clima culturale?…) ma Jena Malone è la protagonista (e co-) di due film di inizio millennio che trovo magnifici e che (diversamente, ma entrambi con intelligenza, coraggio, umanità) affrontano anche il tema della religione in modi che raramente ho visto in storie che raccontano la crescita e l’adolescenza. Entrambi credo che siano quasi completamente svaniti dai radar pur avendo dei nomi “forti” davanti e dietro le quinte: “Saved!” e “The Dangerous Lives of Altar Boys”.
Ecco, mi sembrava bello segnalarli.
Besos!
Mi sono accorto solo ora che “The Dangerous Lives…” (tenero, esaltante e struggente al tempo stesso) era già stato citato da Alessio:-)
Ho visto Consecration (il post mi ha dato la spinta giusta, grazie) e l’ho apprezzato molto. Ci sono dei film che spesso “giro” ad amici per qualche loro particolarità e lo farò anche con questo (mi ha pure ricordato Thelma: solo a me?).
Uno degli aspetti interessanti che non riguarda solo il film in sé, ma anche il modo in cui il cinema mi accompagna e mi stimola sta proprio nella rappresentazione della religione, che sia nei suoi aspetti esteriori che in quelli interiori (e di comunità) mi è sempre più lontana, una lontananza che sta diventando un distacco consapevole e protettivo anche dalle ferite lasciate in passato. Vedere Consecration mi ha fatto in qualche modo “bene” anche per questo, per come mi lascia alla fine un senso di umanità, accettazione, forza, indipendenza.
Besos!