Double Feature: sulle tracce del found footage

Questo mese, il drive-in de Ilgiornodeglizombi apre con un doppio spettacolo dedicato al found footage a bassissimo costo, e fa una piccola celebrazione della piattaforma di streaming legale e gratuito Tubi, dove entrambi i film si trovano. Non è accessibile dal nostro paese, in teoria, ma basta avere un VPN. Ha un catalogo horror gigantesco, non costa niente e ti fa vedere i film con degli stacchi pubblicitari ogni tot. ma vi assicuro che è un problema di entità minima. No, nessuno mi ha pagata (magari) per scrivere queste cose. 
Che io abbia fatto pace con il found footage è ormai cosa nota. Quello che non si sa è che sono quasi diventata un’appassionata del filone: mi vado a cercare periodicamente le nuove uscite e in particolare quei film costati un’inezia che, per la loro stessa struttura narrativa e per esigenze produttive, proprio non potevano essere fatti in altra maniera. 
Horror in the High Desert e Last Radio Call sembrano inoltre realizzati apposta per essere inseriti in un doppio spettacolo: entrambi raccontano della ricerca di una persona scomparsa, entrambi sono un ibrido tra il found footage puro e il mockumentary, entrambi sono sotto l’ora e mezza di durata, entrambi (perdonate il tecnicismo) fanno cagare nelle mutande dalla paura. 

Dato che non ho una preferenza particolare per uno dei due, cominciamo con quello meno recente, ovvero Horror in the High Desert, scritto e diretto da Dutch Marich, che io pensavo fosse un esordiente, mentre invece scopro essere un veterano dell’horror microbudget con almeno altri 4 lungometraggi all’attivo.
Il film ha, tanto per cominciare, una storia produttiva molto interessante: è stato girato nel 2020 in piena pandemia e rispettando tutte le regole di distanziamento; non si vedono infatti mai due attori nella stessa inquadratura e tutta la parte da falso documentario è stata fatta tramite Zoom. È in effetti un film molto isolato e che parla di isolamento e solitudine in maniera trasversale. 
Anche se non se ne fa menzione nei titoli di testa o coda, Horror in the High Desert è davvero ispirato a fatti reali: nel 2014 l’escursionista esperto Kenny Veach è scomparso nel deserto del Nevada e, dettaglio più, dettaglio meno, le dinamiche della sua sparizione sono molto simili a quelle narrate nel film. Vi chiedo di non andare a cercare notizie in merito, perché Horror in the High Desert è una storia che scopre le sue carte poco a poco, e questa lenta scoperta è eseguita in maniera magistrale. Prima di essere un found footage realizzato mettendo su qualche intervista finta su Zoom e andandosene a riprendere il deserto con i droni, Horror in the High Desert è un film pensato a lungo, costruito con intelligenza e scritto benissimo. 
Gary è un ragazzo appassionato di escursionismo estremo che, un bel giorno, se ne parte per una delle sue gitarelle fuori porta e scompare nel nulla. Il “documentario” è un resoconto dei giorni successivi alla sua scomparsa, delle indagini a essa relative, e delle strane circostanze che, parecchie settimane dopo, hanno accompagnato il ritrovamento della sua telecamera. 
Tutti siamo consapevoli che, su quella telecamera, troveremo le risposte che cerchiamo. E forse, la risposta in sé non è la cosa più riuscita del film. Ma ciò che conta è il percorso intrapreso per arrivare alla risposta: Horror in High Desert, per come è stata concepita la sua struttura narrativa, mi ha ricordato moltissimo Lake Mungo, tristezza desolante compresa nel prezzo. Certo, non siamo a quei livelli di perfezione, ma date le circostanze, è un ottimo film, molto efficace e spaventoso più a un livello puramente esistenziale che meccanico.
È già in post-produzione un sequel e, quando vedrete il film, capirete perché si tratta di una conseguenza inevitabile e molto coerente. 

Più tradizionale, se vogliamo, più classicamente pauroso, con tutti i jump scare piazzati a puntino e una evidente, e stabilita sin dall’inizio, anima soprannaturale, Last Radio Call, diretto da Isaac Rodriguez, è appena sbarcato su Tubi ed è stato, per la sottoscritta, una gran bella sorpresa.
Anche qui, tutto parte dalla scomparsa di una persona, in questo caso di un agente di polizia che era andato a rispondere a una chiamata proveniente da un vecchio ospedale abbandonato e non ne era più uscito. La moglie Sara, ossessionata (e vorrei anche vedere) da questa sparizione, assume una piccola troupe di filmmaker per girare un documentario su quello che lei crede sia davvero accaduto al marito, animata anche dalla speranza di ritrovarlo. Ma, come recita anche lo strillo di locandina, alcuni misteri dovrebbero rimanere insoluti.
Se nel caso di Horror in the High Desert, l’esistenza di un filmato arriva un po’ a sorpresa, qui gran parte del film si basa sulla ricerca di alcuni filmati, quelli delle bodycam dell’agente scomparso, di cui vediamo alcuni frammenti all’inizio del film e la raccapricciante conclusione alla fine. 
Last Radio Call, anche se alcune recensioni lo hanno preso come un difetto, si basa tutto sulla percezione distorta dello sguardo della telecamera, sull’impossibilità di riprendere il vero. Un dettaglio che, in teoria, va contro le regole stesse del found footage, ma che in pratica (secondo il mio umile punto di vista) è il motivo per cui il found footage esiste e ancora prospera. 
Sara vuole conoscere la verità su quanto accaduto al marito. Non si fida della ricostruzione della polizia, crede fermamente che abbiano insabbiato qualcosa, ma la verità è un concetto opinabile, quando ci si avvicina al soprannaturale, e così, pur vedendo ciò che è accaduto tramite il punto di vista della persona scomparsa, non abbiamo tutte le risposte. Forse le avrà Sara, ma non sarà mai possibile catturarle in video nella loro enormità.
Horror in the High Desert è inquietante e triste; Last Radio Call è un incubo allucinato che, al netto di alcuni sprazzi di recitazione, a essere benevoli discutibile, e degli effetti speciali un po’ poveri, ha una precisa cognizione del terrore e di ciò che lo provoca. Si tratta di un lavoro ammirevole, fatto con pochi mezzi, che  sfrutta appieno le potenzialità del linguaggio del found footage, dallo stile falso documentario a quello in soggettiva del filmato ritrovato. 
Magari la mania per il mockumentary si sarà anche esaurita qualche annetto fa, ma continuano a uscire opere interessanti, un po’ sommerse forse, eppure degne di nota. Proprio il tipo di film su cui l’horror indipendente cresce e mostra il suo volto migliore.

8 commenti

  1. Blissard · ·

    Molto interessanti, hai decisamente incuriosito. Grazie Lucia

    1. E ci mancherebbe. Sto qui per questo 🙂

  2. Giuseppe · ·

    Venduti entrambi 😉
    Parlando di altre uscite ma in anni precedenti, invece, c’è The Borderlands (2013) che dalla sinossi parrebbe essere piuttosto intrigante…

    1. The Borderlands è molto interessante, e mi sembra si trovi su Prime!

  3. Peccato che se ne trovino pochi veramente validi sub ita o in italiano di found footage /mockumentary. Io ne vado letteralmente pazzo di questo genere.

    Grazie mille come sempre per queste scoperte

    1. Purtroppo sì, hai ragione: soprattutto i found footage più indie e a basso costo non si trovano sottotitolati. Figuriamoci doppiati.

  4. Blissard · ·

    Ho visto Horror in the high desert e mi è piaciuto molto. Come hai scritto benissimo tu, è nella gestione del “percorso” che il regista dimostra la sua bravura, dato che trama e soluzione sono piuttosto ordinarie e piene di suggestioni presenti in tante altre pellicole di genere.

    1. Io avrei preferito una soluzione del mistero meno terrena, ecco, però alla fine ciò che conta è il modo in cui ci si arriva.

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