
Regia – Edoardo Vitaletti (2021)
Che ne dite di un bel gotico rurale queer per rallegrare il vostro fine settimana? Non che ci sia poi molto da stare allegri in The Last Thing Mary Saw, anzi, è di un deprimente e di un opprimente tali da far desiderare di guardarsi subito una sguaiata commediaccia splatter per compensazione. Però è anche un gran bel film, esordio di un regista nato e cresciuto in Italia (giovanissimo) che nel 2015 ha preso ed è fuggito negli USA per fare il regista, dimostrando che non è stata poi una cattiva idea andarsene da questa fogna.
Ora, The Last Thing Mary Saw è un film indipendente a basso costo, acquistato e distribuito direttamente in streaming da Shudder, non è un blockbuster milionario, ma è lo stesso un lavoro importante e pienamente calato nel contesto dell’horror contemporaneo, mood ultradepressivo compreso.
Il film è ambientato nel 1843, in una comunità puritana chiusa e isolata dal resto del mondo. Una specie di tentacolare ed estremamente oppressiva famiglia allargata, con a capo una matriarca (Judith Roberts) che governa armata di pugno di ferro e visione religiosa feroce e punitiva.
La giovane Mary (Stefanie Scott) ama ricambiata la cameriera di famiglia, Eleanor (Isabelle Fuhrman) e, nel momento in cui la faccenda viene a galla, le due ragazze diventano il bersaglio di una serie di, come le chiama la matriarca, “correzioni” degradanti e molto dolorose. Fuggire non è un’alternativa valida perché sia Mary che Eleanor sanno benissimo che darebbero loro la caccia; non rimane che un’unica strada percorribile: la violenza.
The Last Thing Mary Saw si svolge per l’intera sua durata all’interno di questa comunità, che è poi una fattoria con un fienile e un pollaio e dei boschi a delimitare la zona in cui i membri della famiglia possono arrivare. Se si supera un certo confine, arriva la punizione; se si cerca di superare un determinato punto, segnato da un fiume, ti spezzano le gambe, e così via. Di conseguenza, il senso di claustrofobia è sempre in primo piano, lo sentono forte i personaggi e lo sente sulla propria pelle lo spettatore.
La cosa più interessante del modo in cui si cerca di riportare sulla retta via le due protagoniste queer è che nessuna delle due può sottrarsi alla routine imposta dalla comunità, nessuna delle due viene cacciata: continuano a esistere in questo strano limbo per il quale non sono reiette ma nemmeno poi così benvolute, continuano a svolgere le rispettive incombenze, e poi la sera in ginocchio sul riso per ore a recitare ad alta voce le preghiere, per purificarsi e allontanare dalla mente i loro insani appetiti.
Ci tengo a sottolinearlo perché il film non fa exploitation sui corpi torturati di due donne queer, ma racconta una condizione esistenziale di esclusione che sfocia in una crudele vendetta per mancanza di opzioni. C’è anche un forte elemento di carattere soprannaturale, cosmico, oserei dire: una presenza minacciosa portata all’interno della comunità da un libro nascosto tra le pagine della Bibbia dalle due ragazze, che tuttavia sarà destinata a ritorcersi contro di loro.
Questo perché il mondo in cui Mary ed Eleanor vivono è costantemente messo di traverso alla loro natura e al sentimento che provano l’una per l’altra, e anche le forze non terrene all’opera fanno parte del meccanismo di oppressione in cui le protagoniste sono calate.
The Last Thing Mary Saw racconta di una implacabile concatenazione di eventi che porta, come unico sbocco possibile, alla tragedia. Ha proprio l’andamento solenne di un dramma antico: è persino diviso in atti, tanto per rendere più chiaro l’intento del regista.
C’è evidentemente un’orchestrazione esterna, un qualcosa che procede a prescindere dalla volontà di Mary ed Eleanor: loro vorrebbero soltanto essere lasciate in pace, ma è come se quella religiosità così severa e primitiva avesse creato, con differenti gradi di consapevolezza a seconda degli attori in campo, il male sulla terra, che non esiste di per sé, ma necessita della collaborazione e della partecipazione umane, necessita di un canale ricettivo, necessita di una struttura che lo accolga e ne faccia strumento dei propri abusi.
Non è un caso se, a caratterizzare le punizioni subite da Mary ed Eleanor è soprattutto il silenzio: alle due ragazze a un certo punto nessuno rivolge più la parola se non per accusarle; Eleanor poi sarà fisicamente impossibilitata a esprimersi per tutta la seconda metà del film; l’intera famiglia, infine, farà voto di silenzio quando verrà a mancare uno dei suoi componenti. Ma, a parte queste manifestazioni estreme del silenzio come arma, manca del tutto la comunicazione tra i personaggi, e si tende a eliminarla quando se ne scorge il germogliare all’interno della comunità. Se The Witch (cui comunque questo film deve parecchio, specialmente dal lato estetico) era un film sul silenzio di Dio, The Last Mary Saw è un film sul silenzio tra le persone come crepa attraverso cui lasciar infiltrare il maligno.
The Last Mary Saw è un film a combustione lentissima, tutto atmosfera e suggestioni e, per ovvi motivi, dialoghi ridotti al minimo indispensabile. C’è un solo personaggio con una discreta parlantina, che sta in scena per pochi minuti ed è interpretato da Rory Culckin in una versione estremamente viscida e ripugnante. Ma sta lì per un motivo ben preciso ed è del tutto coerente con il contesto e con quel senso di ineluttabile che caratterizza questo cupo e dolente racconto gotico.
Gli elementi stilistici usati da Vitaletti sono quelli classici del genere: luce naturale, interni scuri e lugubri, esterni in cui il sole non arriva mai nemmeno per sbaglio, inquadrature statiche molto ben costruite e con un’ottima disposizione di cose e persone in campo. È un film molto piacevole da guardare e con alcuni momenti di assoluta bellezza. O assoluto terrore, a seconda delle vostre inclinazioni.
Certo, va preso con le molle, in parte perché ha un ritmo molto dilatato (io non l’ho affatto accusato, qualcuno potrebbe), in parte perché non c’è davvero neppure un timido lumicino di speranza a cui aggrapparsi, quindi procedete con una certa cautela. E tenete pronta, subito dopo, la commediaccia splatter.
Sono contento quando leggo di un regista italiano che riesce a esordire con opere di questo calibro (purtroppo anche lui è dovuto fuggire dall’Italia per avere una possibilità). Mi piace molto l’idea, mi piace l’impostazione, l’ambientazione e soprattutto quell’atmosfera legata al silenzio. Mi hai convinto, lo vedrò sicuramente.
Procederò con la dovuta cautela e me lo vedrò (del resto, non sarà mai tanto deprimente come il dover constatare che, per l’ennesima volta, un nostro connazionale se n’è dovuto andare all’estero per poter dare corpo ai suoi progetti horror)…