Tanti Auguri: 20 Anni di May

Regia – Lucky McKee (2002)

May esce in distribuzione limitata negli Stati Uniti soltanto nel giugno del 2003, ma il pubblico lo vede per la prima volta il 13 gennaio dell’anno precedente al Sundance. So che di solito considero l’arrivo in sala o in VOD di un film la data ufficiale del suo complehorror, ma mi riservo sempre la facoltà di contraddirmi e di non voler aspettare un altro anno e mezzo per parlare di uno dei motivi per cui questo blog esiste. Perché vedete, nella storia personale della vostra affezionatissima, la scoperta di May equivale alla scoperta dell’esistenza dell’horror indipendente contemporaneo, la realizzazione che c’era un oceano intero di film in cui andare a pesca, ed erano molto meglio di ciò che, ai tempi, offrivano le sale cinematografiche o i videonoleggi. 
Ovviamente, May non è soltanto questo, May è uno spazio sterminato di emozioni, di dolore, di tenerezza e paura, ma, senza essere (non ancora) troppo sentimentali, segna anche il punto di inizio della mia fissa per l’horror indie, e non è poco, se pensate che ci ho costruito sopra questo posticino. 

May è l’esordio ufficiale di McKee, che all’epoca aveva 27 anni; Angela Bettis (la migliore attrice vivente) era già relativamente famosa: aveva esordito con Zeffirelli, aveva partecipato, anche se da comprimaria, al grande successo di Ragazze Interrotte (mettendo in ombra tutto il resto del cast) e, lo stesso anno di May, stava lavorando all’adattamento televisivo di Carrie. Eppure May rimane il ruolo che l’ha resa, nel suo piccolo, un’icona. Dico nel suo piccolo perché parliamo di un film che costa un milione e mezzo di dollari, non li ha mai neanche lontanamente recuperati con i suoi magri incassi, ma con il tempo e grazie all’amore di chi era riuscito a vederlo e ha sparso la voce, si è trasformato in un cult, ma pur sempre in un circuito di nicchia, in cui, tra l’altro, sono rimasti intrappolati sia Bettis sia McKee. Il che da un lato non è un male: entrambi hanno potuto continuare a nutrire il cinema indipendente; dall’altro, tuttavia, nessuno dei due ha mai sfondato sul serio o ha mai avuto una reale occasione di lavorare in una produzione ad alto budget.

Ma torniamo al 2002, a quando questo film minuscolo stabilisce i tempi e il linguaggio per l’horror indipendente degli anni a venire e inaugura il mumblegore prima che esistesse il mumblegore; un esemplare più unico che raro, se contestualizzato nel cinema dell’orrore del periodo, una bestia strana perché brutale e dolce allo stesso tempo, un character study che deraglia in slasher nel terzo atto, con una protagonista femminile destinata a diventare abbastanza canonica nel genere, ma che vent’anni fa era un’anomalia, un terremoto, un personaggio visto di rado, spesso ridicolizzato o usato come alleggerimento comico, o ancora destinato a trasformarsi in “reginetta del ballo” nel corso del film. 
May è protagonista e, allo stesso tempo, villain: è la sua storia, è il suo punto di vista, un racconto che appartiene soltanto a lei e che lei, tramite McKee e Bettis, sceglie come narrare allo spettatore. May detta le condizioni; non accade spesso nella vita reale, non alle persone come lei. E infatti, se per la prima mezz’ora ci troviamo non del tutto fuori posto nella sua testa, ecco che col passare dei minuti siamo sempre più scomodi, sempre più a disagio, perché dopotutto le cose strane piacciono a tutti, ma “non così strane”. 

McKee ha una comprensione profondissima della solitudine e dell’effetto che può fare alle persone per le quali è un’abitudine consolidata. Difficilmente, al cinema, è stato rappresentato con questa complessità cosa significhi concretamente essere soli, a cosa conduca la negazione del contatto. 
May non è soltanto una ragazzina con un difetto fisico più o meno evidente (e il fatto che il suo strabismo non sia una faccenda macroscopica è una scelta significativa) che ha come unica amica una bambola cucita da sua madre, e che quindi cresce da emarginata;  a May, da bambina, viene impedito di toccare Suzie, per sempre chiusa in una teca, distante e irraggiungibile. La mancanza di interazione con altri esseri umani e questa demonizzazione del contatto per non sciupare le cose portano May a desiderare di avvicinarsi al prossimo e, allo stesso tempo, a non possedere i codici per farlo in una maniera che sia considerata accettabile in società. 
Ancora di più, lo sguardo di May, non essendo mai stato educato all’affettività, è per forza di cose parziale. Se tua madre ti ripete centinaia di volte che il tuo occhio pigro, quindi una parte minuscola di te, è responsabile della solitudine in cui vivi da sempre, anche tu prenderai a considerare le persone come un’insieme di parti da smontare e valutare separatamente. 

E così la macchina da presa di McKee è attentissima ai dettagli dei corpi: uno sguardo da voyeur che rende le persone oggetti inanimati, parti, appunto, in un rovesciamento del male gaze che in un certo senso ne mette in evidenza la natura patologica. Adam (Jeremy Sisto) è ridotto alle sue mani, Polly (Anna Faris) al suo collo, e così via. May vede tutti in quel modo, perché non soltanto lei per prima non è mai stata vista nella sua interezza, ma non è stata educata a vedere a sua volta. 
Infatti i suoi bisogni e i suoi desideri sono primitivi, poco sofisticati: May non è la studentessa bruttina del liceo americano che sogna l’amore con il capitano della squadra di football; May brama le carezze di Adam, brama di essere toccata e di toccare gli altri, brama le basi più rudimentali delle relazioni, ed è per questo che, è strana, weird, perché è rimasta a un livello che chi ha intorno ha già superato da anni. 
Non ci si può mai rispecchiare completamente in un personaggio come May: procede il film e aumenta la distanza tra lei e il pubblico, e il risultato è che May è alla fine alienata anche da noi, e noi ci trasformiamo nelle sue vittime, nelle parti del corpo di cui necessita per costruire la bambola che, finalmente, potrà vederla e toccarla. 

Rivedendo May vent’anni dopo, si ritrovano intatte la sua forza emotiva e la sua capacità di infilare lo spettatore in una posizione scomoda e ambigua. May è struggente, ma è anche faticoso, ti spezza il cuore e ti spaventa, perché mette a dura prova la tua empatia obbligandoti a guardare un abisso di disperazione e solitudine in cui mai vorresti entrare. È ancora più forte per chiunque (e credo siano tanti) si sia mai trovato poco lontano da quell’abisso o sia sentito simile a May: ti mostra quanto sia facile, dopotutto, che si verifichino le condizioni adatte a crearla. 
In realtà, May, con quel paio di decenni di anticipo, fa con meno soldi e tanta più intelligenza, ciò che Joker non è stato in grado di fare. Le uniche armi a sua disposizione sono quelle dell’horror indipendente a basso costo, con tutta la libertà creativa, ma anche i problemi insormontabili di natura pratica del caso. 
Anche se nel 2002 è passato inosservato, il suo contributo alla causa del cinema “povero” è inestimabile, e il posto di May nel mio cuore, riservato e speciale. Mi sono accorta di quante volte io abbia pensato al film nel corso di questi anni, dell’impatto così profondo che ha avuto su di me, del segno indelebile che mi ha lasciato addosso. 
Ho pensato a May, l’ho sognata, sono stata, in alcune circostanze, May. E sono ancora qui, vent’anni dopo, ad aspettare come lei che qualcuno mi veda.

11 commenti

  1. Quanto adoro questo film, forse non se ne parla mai troppo, ma è una pellicola davvero intelligente e fuori dagli schemi. Adoro il personaggio di May e non posso fare a meno di empatizzare con lei. Si vede tutta la passione che provi per questa pellicola.

    1. Che poi non se ne parla mai troppo, ma è davvero un fondamentale. Grandissimo film, davvero.
      E grazie!

  2. E capitato a molti di sentirsi come May a volte,me compreso! Esperienze non sempre positive è una generale ignoranza subita,il tutto unito al mio carattere introverso,mi hanno reso un pò refrattario alla vita mondana! La cosa peggiore,era il modo in qui veniva liquidato dagli altri il mio essere spesso per conto mio e con pochi legami emotivi forti al di fuori della mia famiglia,la tipica frase detta da chi si ferma solamente alla superficie e non scava mai veramente a fondo nella persona che giudica,”Ah probabilmente sta bene per conto suo,da solo!”. Per fortuna con il tempo sono riuscito a trovare un mio equlibrio emotivo,e chi ha avuto modo di conoscermi realmente,a potuto constatare che ero una piacevolissima compagnia,se mi si dava la possibilità di aprirmi!.Per qui un film come “MAY”,è davvero speciale,un film minuscolo che però a parlato a molti di noi,quella carezza finale che May riceve alla fine della sua storia,ogni volta che la vedo è struggente e commovente al tempo stesso! Ti mando un abbraccione Lucia,non ti vedo fisicamente,ma di certo ti leggo sempre con piacere! CIAO!.

    1. May in effetti tocca nel profondo un sacco di persone, perché la solitudine è un’esperienza che facciamo più o meno tutti, chi più chi meno. È universale.

      1. Giuseppe · ·

        E teniamo conto purtroppo conto della grossa spinta data in questo senso da due anni di pandemia, che ha contribuito a riacutizzare solitudini preesistenti spesso di lunga data e bellamente ignorate dai più (parlando per esperienza diretta, tocca ogni volta constatare quanto la solitudine faccia parte da troppo tempo dei grandi rimossi della nostra società), oltre ad averne causate di nuove…
        A maggior ragione rivedere di questi tempi una piccola perla come May, che il tema lo tratta fino alle estreme conseguenze, può diventare un’esperienza ancora più dolorosa di quanto già non lo sia stata in precedenza.

        1. È verissimo. Con tutto l’isolamento che stiamo vivendo, May è diventato ancora più significativo.

  3. Andrea Lipparini · ·

    Mi regalò il DVD il mio compagno…alla fine del film ero commosso e spaventato contemporaneamente… perché la mancanza di amore e il mancato insegnamento ad amare ha portato questa fragile ragazza a inventarsi gli strumenti per poter capire come fare..con i risultati che si vedono..un lavoro potente e bellissimo,amo May,non mi stancherò mai di vederlo e consigliarlo..una straordinaria Angela Bettis crea un personaggio complesso e metaforico..Gran film 😍

    1. Il tuo compagno ha ottimi gusti in materia di regali ❤

  4. Ho visto May una sola volta, per scelta. L’ho trovato proprio quel film che descrivete voi e proprio per questo ho sempre fatto fatica nel decidere di rivederlo, nonostante sia magnifico: perché tocca delle corde profonde e il modo in cui lo fa mi colpisce e, anche, mi svuota (comunque prima o poi ci ritorno). E’ una questione personale, non un difetto dell’opera. Quando “sento” che un film in qualche modo tocca anche me o mi interroga, devo avvicinarmi con cautela, e magari non da solo. E la cosa buffa è che peggioro col tempo 🙂
    In ogni caso, bellissimo. E mi piace anche il taglio molto umano del post (e dei contributi qua sopra).

    1. Ma ti dirò, May lo prendo anche io a piccole dosi, perché è reale e dolorosissimo. Proprio nel suo essere così quotidiano, riesce a colpire molto più forte di tanti altri film che raccontano gli stessi temi ma lo fanno in maniera meno sottile.

      1. Vero. Infatti lo consiglio sempre quando posso, al di là della mia relazione personale col film 🙂

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