The Boy Behind the Door

Regia – David Charbonier, Justin Powell (2020)

Quando abbiamo parlato di The Djiin, vi avevo spiegato che si trattava del secondo film di questa coppia di giovani registi, mentre il loro esordio, per uno strano paradosso distributivo, sarebbe stato reso disponibile al pubblico su Shudder più tardi. Finalmente è arrivato e credo sia destinato ad apparire nelle inevitabili classifiche di fine anno di molti critici di settore, perché The Boy Behind the Door è un gioiello di tensione e terrore puro, oltre a essere uno dei film più kinghiani, senza avere collegamenti diretti con alcuna opera di King in particolare, degli ultimi dieci anni o giù di lì.
The Djiin e The Boy Behind the Door condividono uno dei due protagonisti (il bravissimo Ezra Dewey) e un’impostazione generale che consiste nel prendere una struttura narrativa cara a certi horror per ragazzini degli anni ’80 e ’90 e svuotarla da ogni forma di leggerezza o commistione con la commedia, al fine di metterla al servizio di vicende dure e pesanti come macigni.
In questo caso, non ci limitiamo ad avere soltanto un bambino brutalizzato senza pietà per 90 minuti, ma due, e in una situazione di estremo realismo. Per cui siete avvisati: si soffre e si sta male per la sorte dei due personaggi principali.

Kevin (il nostro Ezra) e Bobby (l’altrettanto sorprendente Lonnie Chavis) sono migliori amici in una piccola città di provincia; mentre stanno andando a giocare una partita di baseball vengono rapiti, infilati nel bagagliaio di una macchina, portati in una grande casa sperduta in mezzo alla campagna, e lì separati: Kevin è legato in una stanza con una catena alla caviglia, Bobby resta nel portabagagli, con ogni probabilità a morire soffocato. Però Bobby è un tipetto combattivo e riesce a liberarsi. Invece di scappare (e potrebbe farlo benissimo), decide di entrare nel covo dei rapitori per tirare fuori dai guai il suo amico. E qui il film inizia sul serio.
Non che Charbonier e Powell abbiano impiegato chissà quanto tempo per introdurre i due protagonisti e portarli lì dove c’è l’azione: non sono neanche 10 minuti di film che tuttavia rappresentano un encomiabile esempio di economia narrativa. Ci bastano infatti per capire quasi tutto del rapporto di amicizia tra Bobby ed Ezra, per avere chiara la situazione quasi senza via d’uscita in cui sono precipitati e per affezionarci subito a entrambi. Il tutto usando al minimo i dialoghi. Niente male per due esordienti a bassissimo budget.

Ho accennato poche righe fa alla natura kinghiana di The Boy Behind the Door: quando si tratta di mettere dei bambini in serio pericolo di vita, e anche di massacrarli con una certa brutalità, King non si tira di certo indietro, ma non è soltanto per questo. Il Re è bravissimo nel far percepire al lettore il mondo a misura di bambino, ed è qui che, secondo la mia modesta e trascurabile opinione, The Boy Behind the Door rivela la sua identità di film kinghiano. Eppure, lo sapete anche chi era molto bravo, non in narrativa ma al cinema, a dare al pubblico il punto di vista unico di un bambino in trappola? Uno che avrebbe compiuto 82 anni il 2 agosto, se non fosse scomparso nel 2015. Esatto, Wes Craven, e soprattutto in The People Under the Stairs, film con cui i nostri eroi odierni, Powell e Charbonier, hanno contratto parecchi debiti.
Il giovane Bobby, per riuscire a salvare il suo amico Kevin, dovrà infatti muoversi, cercando di non essere individuato dai rapitori, in un ambiente a lui estraneo e ostile, che i suoi aguzzini conoscono alla perfezione. Non può sperare di superarli in forza fisica, non può contare sulla presa del territorio. L’unico elemento cui si può affidare è il fatto di essere piccolo e di potersi nascondere in fretta e in luoghi in cui gli adulti, per chiari motivi di stazza, non possono acciuffarlo.

Infatti la sezione più interessante del film, nonché quella che mi ha tenuta così sulla corda da farmi rosicchiare tutte le unghie che ancora non mi sono mangiata, è la prima, quando la presenza di Bobby all’interno della casa non è ancora registrata, e si trattiene il respiro ogni volta che il ragazzino deve spostarsi da una stanza all’altra, magari alla ricerca di un oggetto con cui comunicare con l’esterno. Ci sono un paio di scene molto divertenti che coinvolgono, rispettivamente, una macchina con il cambio manuale e un vecchio telefono a disco, tanto per alzare il grado di difficoltà già elevato di suo, mettendo un dodicenne a confronto con residuati dell’età della pietra.
Nel mentre, il tempo scorre inesorabile, i cattivi possono accorgersi di Bobby da un istante all’altro, e il destino di Kevin comincia a delinearsi in tutto il suo orrore.
Non vi rivelo per quale motivo i due bambini (anzi, Kevin, ché Bobby era stato abbandonato a crepare in un bagagliaio) sono stati rapiti, anche se è abbastanza semplice da intuire; mi preme tuttavia sottolineare il lavoro encomiabile compiuto dai due registi e sceneggiatori su un argomento scabroso e moralmente inaccettabile. The Boy Behind the Door non risparmia colpi bassi, sequenze anche molto violente che coinvolgono due minori, ma tira una linea ben precisa e non la supera mai. Non è un film morboso, non è un torture porn sulla pelle dei suoi giovanissimi protagonisti; è una storia durissima e nera, ma ciò che le conferisce una marcia in più è proprio l’essere pensata, scritta e messa in scena a misura di bambino.

Il risultato è di sicuro angosciante, ma mai riprovevole.
Anche perché, The Boy Behind the Door non si limita a essere un esercizio di stile o una dimostrazione di come si possano confezionare una novantina di minuti tesissimi con un budget irrisorio; il film ha un cuore grande così ed emoziona per il modo in cui racconta dell’amicizia tra questi due bambini che rischiano a ripetizione la vita l’uno per l’altro, perché o si è amici fino alla fine o non lo si è, non esistono vie di mezzo, specialmente a una certa età, quando l’amicizia è un sentimento totalizzante e, in alcuni casi, l’unica cosa che ti tiene a galla.
The Boy Behind the Door può essenzialmente essere ridotto a questo, alla storia di due bambini che lottano per sopravvivere in nome dell’affetto che li lega e grazie a esso, due bambini che attraversano l’inferno potendo contare solo l’uno sull’altro, in un mondo adulto alieno e indifferente o apertamente nemico, dove ogni cosa è più grande e più forte di loro.

Mi piacerebbe poter parlare del colpo di scena che Charbonier e Powell piazzano a metà film, anche perché coinvolge un volto a me davvero caro, che pensavo fosse sparito dalle scene e ho fatto anche fatica a riconoscere, ma evito: il film è troppo recente e troppo prezioso per essere spoilerato, anche previo avviso (che poi lo so che andate lo stesso a leggere, disgraziati). Mi limito a osservare che si tratta di una scelta in grado di spostare gli equilibri e di dare a un contesto, per necessità è ancorato a un certo realismo, quel tocco favola macabra che non guasta mai, quasi i nostri due protagonisti fossero finiti davvero nell’antro di un orco o di una strega cattiva. È anche utile per mitigare nella metafora la portata enorme di quello che potrebbe accadere a Kevin qualora Bobby non riuscisse a salvarlo.
Come vedete, sono tanti piccoli dettagli che sottolineano quanto il film sia stato scritto con cognizione di causa, da due autori che avevano ben presenti tutti i rischi e le trappole di un’operazione di questo tipo e sono stati capaci di evitarli dal primo all’ultimo.
Pazienza se ogni tanto cala un po’ il ritmo e se il film diventa più tradizionale nella seconda parte. C’è comunque di che gioire per la scoperta di due nuovi nomi che definire promettenti è riduttivo: Charbonier e Powell, con due film all’attivo, sono già una realtà dell’horror indipendente.
In chiusura, e soltanto per chi ha visto il film e ha presente le facce dei due attori, guardate questa foto dei registi del film, amici da una vita, collaboratori dal 2015, e ditemi se non la trovate, in un certo modo, commovente.

8 commenti

  1. Blissard · ·

    Bella recensione, a King non avevo pensato ma è assolutamente pertinente, ed è perfetta la tua annotazione sul film “ad altezza bambino”, supportata dallo stile che adottano i registi, con la mdp che segue a distanza ravvicinatissima il piccolo protagonista mentre girovaga in un ambiente chiuso per salvare se stesso e il suo migliore amico da una minaccia esterna, In pratica lo stesso stile adottato in The Djinn, film che però mi ha lasciato molto più freddo, un po’ perchè la storia è ancora più scarna, un po’ perchè il protagonista è uno solo e deve contrastare una minaccia soprannaturale che, alla lunga, nemmeno fa più paura.

    1. Anche secondo me questo è un film migliore di The Djinn, però a me è piaciuto molto anche The Djinn, che è anche parecchio più cattivo di questo nel finale.

      1. Luca Bardovagni · ·

        Ho letto da poco “The institude” e in effetti in uno che non è SICURAMENTE il suo miglior lavoro, l’amicizia tra ragazzini è una cosa che gli viene incredibilmente spontanea nella narrazione…Ah, a proposito, per chi scrive “The people under the stairs” è il film Migliore , Meglio Riuscito e Più Importante di Wes. Molto, Molto, Molto di più di Scream. Per dire.
        (ho esagerato con le maiuscole :D)

        1. Proprio ieri stavo ascoltando un podcast in onore del compleanno di Wes. È un podcast che chiama un paio di ospiti a ogni episodio e li invita a comporre delle liste in maniera competitiva.
          Era il turno dei 7 migliori film di Craven e The people under the stairs è arrivato secondo. Io, devo ammetterlo, ho provato un certo disappunto, perché nonostante sia un film che amo molto, ho una preferenza abbastanza smaccata per Il Serpente e l’Arcobaleno. Però, ecco, non sei il solo a pensarla in questo modo.

        2. Non ho ancora recuperato ma appena riesco…
          Intanto faccio un coming out craveniano: quando ho visto per la prima volta The people… mi sono detto… “Ma… ma… che figata! Perché per anni ho snobbato questo film?” Non so se sia il migliore di Craven, ma nella mia classifica del cuore (che non è “tecnica” perché non son capace) sarebbe al secondo posto. Il serpente… comunque è fantastico. Poi, al terzo ci metterei un titolo insospettabile…

  2. Che figo! La foto degli amici mi ha commosso (possibile che tra gli appassionati dell’horror ci siano così tanti teneroni?) 🙂

    1. Ma perché scarichiamo guardando frattaglie la nostra aggressività, e quindi abbiamo un atteggiamento molto sano nei confronti dei sentimenti!

      1. Giuseppe · ·

        Ben detto, signora mia, ben detto (e, va da sé, film ben recensito) 😉
        P.S. Ah, mi ero dimenticato di dirtelo: Fear Street lo promuovo a pieni voti 🙂 👍👏👏👏

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