The Golem

Regia – Doron Paz, Yoav Paz (2018)

È sempre un piacere quando ti accorgi che, anche da luoghi non di certo famosi per chissà quale tradizione legata all’horror, sono in grado di romperti il culo. In realtà, l’horror israeliano non è una faccenda tanto nuova: da alcuni anni, un gruppetto di registi ha cominciato a creare un vero e proprio movimento. Chi bazzica da queste parti da un po’, si ricorderà di Big Bad Wolves, per esempio, e anche i fratelli Paz non sono certo dei novellini: hanno uno zombie movie all’attivo, intitolato Jeruzalem, del 2015, che è stato un discreto successo e ora tornano, grazie all’aiuto di Dread Central, sempre più in gamba nello scovare in giro per il mondo i talenti, con un horror in costume, un film che, dopo tanti anni di oblio, riporta sullo schermo una delle più famose e antiche leggende ebraiche.
Perché il golem non è mai stato tanto fortunato al cinema; se si esclude il capolavoro del cinema muto del 1920, non c’è molto altro da segnalare. È stato più una fonte di ispirazione per film come Frankenstein, di cui si dice che Karloff abbia studiato le movenze della creatura da quelle di Wegener, e io sono convinta che molti film su cyborg e replicanti implacabili, Terminator in testa a tutti, abbiano contratto parecchi debiti con il golem.
Ma lui in persona, poveraccio, il gigante d’argilla protettore del popolo ebraico, ha goduto di grandi rappresentazioni cinematografiche, mentre in narrativa è stato co-protagonista di un recente, splendido romanzo fantasy che dovreste leggere tutti. Però non divaghiamo e passiamo al film.

The Golem è ambientato alla fine del XVII secolo, in una piccola comunità ebraica, molto isolata, in Lituania; qui vive Hannah, una giovane donna che studia di nascosto la cabala grazie al marito Benjamin che le passa i libri sotto banco. Hannah ha perso un figlio, annegato sette anni prima che la storia cominci, e da allora non è più riuscita a rimanere incinta, con grande sconforto del rabbino, padre di Benjamin, che consiglia più volte all’uomo di ripudiarla, perché se una moglie non ti dà un figlio, cosa la tieni a fare? Cosa campa a fare?
Un giorno, un gruppo di gentili arriva al villaggio accusando gli ebrei di essere responsabili di un’epidemia di peste che sta decimando la popolazione. Inutile spiegare al loro capo che è stato l’isolamento a preservare gli abitanti della piccola comunità dal contagio. Qui c’è odore di maledizioni, di stregoneria, di blasfemia, e se non curate questa bambina morente, vi radiamo al suolo nello spazio di un secondo.
Mentre il rabbino non reagisce e si limita a pregare, Hanna prende in mano la situazione e crea un golem. La creatura ha le sembianze di un bambino, la forza di un colosso e l’istinto omicida di una bestia feroce. Sopratutto, stabilisce un rapporto empatico con Hanna: sente quello che sente lei, se si ferisce, Hanna prova il suo stesso dolore, se Hanna si arrabbia per qualcosa, tipo vedere suo marito che flirta con un’altra donna del villaggio, il golem partecipa della sua rabbia e agisce di conseguenza.

Il problema legato alla creazione di un golem, e quindi alla creazione della vita, prerogativa di solito spettante a Dio, è che non si limiterà mai a fare ciò per cui è venuto al mondo, ovvero proteggere; in un modo o nell’altro, sfuggirà al controllo del suo artefice e finirà per colpire in giro a casaccio, esattamente come gran parte delle sue derivazioni cinematografiche hanno fatto nel corso degli anni. In The Golem, questa parabola classica è seguita solo in parte: prima di tutto è una donna a creare il golem e questo è già di per sé un bello slittamento di prospettiva; in secondo luogo, il golem stesso assume una forma molto anomala, quella di un bambino e Serrador ci insegna che uccidere un bambino non è la cosa più facile del mondo, anche quando è in grado di sterminare, alzando appena un sopracciglio, una decina di uomini adulti e nel pieno delle loro forze.
La cosa si complica ulteriormente nel momento in cui Hanna rivede nel golem il figlio morto annegato e instaura con lui un legame che, al netto dei numerosi morti ammazzati, è di amore sincero e ricambiato.

E tuttavia non c’è un solo istante, nel film, in cui il golem non faccia paura o almeno non si avverta il pericolo che rappresenta per la comunità; allo stesso tempo, il rapporto stabilito con Hanna è così reale e sentito da rendere impossibile per lo spettatore non sperare che, in qualche modo, la vicenda possa avere una conclusione non troppo dolorosa. Ma siamo in un horror e lo sappiamo in anticipo che tutto andrà a puttane, che per questi personaggi non c’è salvezza: potranno morire per mano dei gentili o del golem, ma comunque moriranno, perché la violenza, una volta innescata, è un susseguirsi di reazioni a catena e, in fin dei conti, il golem è una creatura innocente e fa solo ciò che cui è stato creato.
I fratelli Paz sono bravi, così bravi da suscitare un pizzico di invidia, perché non è mai un’impresa semplicissima prendere una leggenda priva di un passato cinematografico e trovarsi quindi ad agire privi di punti di riferimento; certo, a partire da Frankenstein (citato apertamente in una sequenza in particolare) fino ad arrivare al filone bimbi demoniaci, i due registi arraffano quello che possono e lo usano anche bene.

The Golem però, proprio per l’argomento così desueto, così “antico”, non è mai un film derivativo; al contrario è originale e coraggioso, sia per i temi affrontati sia per la messa in scena e le scelte fotografiche adottate, con tantissime sequenze all’alba e al crepuscolo che sfruttano quella luce unica (e sempre molto passeggera) non per abbellire o fare la cartolina delle location scelte (il film è girato a nei dintorni di Kiev), ma per sottolineare l’angoscia e il clima di terrore in cui questi personaggi vivono ogni secondo della loro vita, anche a prescindere dalla presenza di un orrore come il golem.
È un film in costume, a basso budget, e la cosa si nota pochissimo e soltanto perché c’è una sola ambientazione, il villaggio, per tutta la vicenda. Ma anche l’idea di circoscrivere tutto intorno a quattro catapecchie e un paio di campi, accresce il senso di claustrofobia, la mancanza di vie d’uscita, la rassegnazione a essere perseguitati.

Come dicevo prima, aver scelto una donna come creatrice del golem è un ottimo spunto per rinnovare e dare una bella mano di vernice fresca a una storia che affonda le sue radici nella notte dei tempi. Una donna considerata dalla sua stessa comunità inutile in quanto non madre per una serie di ragioni che non sto qui a spoilerare, una donna che studia di nascosto e che è la sola a prendere un’iniziativa, per quanto carica di conseguenze nefaste, di fronte alla seria eventualità che il suo intero villaggio venga raso al suolo.
Forse ogni tanto il film zoppica in ritmo e ci sono un paio di stacchi di montaggio che mi hanno fatto storcere il naso, però questo vuol dire essere davvero pignoli, vuol dire andarsi a cercare i difetti dove ce ne sono pochissimi: The Golem è un horror sorprendente, che dimostra quanto il genere sia vitale un po’ dappertutto in giro per il mondo e, più di ogni altra cosa, che non esistono argomenti o leggende obsoleti, poco cinematografici o “passati di moda”, quando hai le idee chiare e sai esattamente cosa vuoi raccontare.

2 commenti

  1. Giuseppe · ·

    Un golem creato da una donna con le sembianze di un bambino, rimettendo così di nuovo al mondo un figlio, sì, ma non certo nel modo in cui le primitive ed egoiste istanze patriarcali della comunità avrebbero sperato… deve essere proprio niente male! Parlando di debiti “terminatoriani” nei confronti del golem, sconfino dal cinema al fumetto per ricordare quello apparso nel dodicesimo numero di Dylan Dog (con le fattezze dichiarate di Schwarzenegger) e quelli di un’avventura di Martin Mystere di parecchi anni fa, ibridi perfettamente umanoidi derivati dall’unione di magia cabalistica e avanzata tecnologia atlantidea 😉

    1. Me lo ricordo il DD sul Golem! Uno dei più numeri di sempre.

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