Unwelcome

Regia – Jon Wright (2022)

Mi ha fatto tribolare un po’ l’ultima fatica del regista di Grabbers: doveva arrivare in sala l’anno scorso, poi a un certo punto è scomparso dai radar e credevo non sarei più riuscita a vederlo. Invece, zitto zitto, spunta a colorare di verde (come i prati della campagna irlandese in cui si svolge) e di rosso (come il sangue che scorre copioso) l’inizio di questo 2023 carico di ottime promesse per il nostro genere preferito.
Ora, bisogna subito mettere le mani avanti: non vi aspettate una commedia horror, anche se il film è stato spacciato per tale; Unwelcome ha sicuramente alcuni momenti comici, o meglio di risate amare a denti strettissimi, e le creaturine dispettose che rappresentano il motore della trama hanno un aspetto incredibilmente buffo e simpatico. Quando sono in campo, ci si diverte un mondo, ma quando il racconto non si concentra su di loro, Unwelcome è tutt’altra razza di film. 
Può essere un problema, perché è come assistere a due film diversi strizzati in un’unica storia, ma (e sono consapevole di essere in minoranza) a me è piaciuto molto come Wright li ha amalgamati. 

Maya (Hannah John-Kamen) e Jamie (Douglas Booth) sono una giovane coppia che vive a Londra; li conosciamo quando Maya scopre di essere incinta e Jamie, per festeggiare, scende nel mini market sotto casa a comprare del prosecco analcolico. Purtroppo, tre teppistelli lo seguono, irrompono in casa, lo gonfiano di botte e sono a un passo dall’uccidere Maya, fermati all’ultimo istante dall’arrivo della polizia. Qualche mese dopo, Maya e Jamie si trasferiscono nella ridente campagna irlandese, grazie al fatto che Jamie ha ereditato una casa dalla sua recentemente defunta prozia Maeve. Ai due non pare vero di poter cambiare vita, di lasciarsi alle spalle l’incubo cittadino e far nascere e crescere il loro bambino in un ambiente più sano. 
Mal gliene incolse. O forse no. Dipende dai punti di vista. 
La vecchia Maeve, infatti, era una tipa un po’ strana, pare seguisse le cosiddette “Old Ways”. Al confine tra la sua terra e il bosco, ci sono una porticina con un muro e, ogni giorno, la donna metteva un’offerta di sangue sulla soglia, per placare i Red Caps, i folletti malevoli del Piccolo Popolo suoi dirimpettai. Ora tocca a Maya accollarsi questo impegno quotidiano. Ci riuscirà o se ne dimenticherà scatenando la furia di questi goblin incappucciati?

Questa la base folk horror che dà l’abbrivio a Unwelcome. Wright, tuttavia, inserisce tutta un’altra questione molto più concreta e reale per aggiungere un po’ di sostanza al racconto, ed è quella del trauma subito dalla coppia a Londra, mai del tutto elaborato, in particolare da Jamie. Trauma che si rinnova quando, per riparare il tetto della loro nuova casa, Jamie e Maya assumono un’impresa di famiglia locale che si rivela essere la scelta peggiore di tutta la loro vita. I Whelans sono arroganti, cafoni e violenti e si comportano come se la casa dove stanno lavorando fosse di loro proprietà. Prendono in giro Jamie perché non è abbastanza uomo e odiano Maya in quanto inglese. Non è difficile immaginare che la situazione con i Red Caps e quella con i Whelans andranno presto in rotta di collisione. 

Unwelcome è, in pratica, un folk horror home invasion nel quale il soprannaturale non ha per forza un ruolo negativo, come accade in tantissimo horror contemporaneo. Anzi, in questo caso, è evidente che i veri villain della situazione siano rappresentati dalla ditta di riparazioni a conduzione familiare, mentre i poveri Red Caps possono soltanto sognarsela, tanta cattiveria gratuita e tanta tossicità nei comportamenti. Come a dire che ormai le vecchie leggende non sono così spaventose come un uomo di mezza età che picchia il figlio disabile, ti obbliga a chiamarlo Daddy e lascia che gli altri due figli facciano i bulletti con un poveraccio che vorrebbe soltanto godersi la sua imminente paternità sotto un tetto dal quale non entri la pioggia. 
Come nel folk horror più tradizionale, abbiamo due personaggi scettici che si ritrovano risucchiati in un mondo fiabesco, e che alla fine dovranno per forza credere che la realtà è molto più complicata di quanto non appaia; la differenza sta nel fatto che i locali sono lo specchio della gentilezza e dell’affabilità proprio perché imbevuti di leggende e superstizioni, mentre a interpretare il male in ogni sua forma, ci sono dei personaggi che queste leggende e superstizioni se le sono lasciate alle spalle per abbracciare una modernità quantomeno discutibile. 

In altre parole, le vecchie maniere non sono rappresentate come un elemento regressivo o reazionario, semmai il contrario. La vita rurale pacifica e serena che Jamie e Maya desiderano è un’illusione, sì, ma non per qualcosa di ancestrale che li spia e vorrebbe far loro la pelle; lo è perché non si può pensare di adattarsi a un mondo nuovo se non si sceglie di abbracciarne anche le stranezze, se non si sceglie di credere, se, per usare un concetto che già tante volte ho espresso qui e altrove, con il mistero, la favola, il soprannaturale, i mostri che ti aspettano al limitare del bosco, non si viene a patti. 

Unwelcome è uno strano ibrido, un Cane di Paglia che incontra i folletti irlandesi e se li sposa, ecco. Con la differenza che, nel 2023, il personaggio maschile non deve sfogare la sua aggressività repressa per sopravvivere, e quello femminile, nonostante Maya sia in avanzato stato di gravidanza, non è certo una fanciulla in pericolo in attesa che il suo compagno la salvi dai bruti campagnoli. Al contrario, il film parla di guarigione, di salute mentale di superamento di traumi e di rapporto tra mascolinità e violenza senza mai essere didascalico e raccontando con profondità e intelligenza il percorso emotivo di Jamie e Maya.
I Red Caps sono bellissimi e fanno una tenerezza che ti verrebbe voglia di adottarteli tutti. Specialmente quando mostrano tutta la loro furia omicida e vendicativa. Pestiferi anche più dei Gremlins, sono protagonisti del momento più poetic cinema dei primi tre mesi del 2023: vedere per credere. 
L’estetica del film è colorata e solare, in contrasto col modo in cui di solito siamo abituati a percepire i folk horror, e l’unica pioggia a cui assisterete è quella di sangue che ricoprirà i personaggi nell’ultima mezz’ora. 
In complesso un ottimo lavoro per un regista che era rimasto relegato nel circuito televisivo per quasi dieci anni. Sono sicura che vi divertirete. 

3 commenti

  1. Amo gli horror che parlano del folklore di una determinata nazione, mi affascinano e voglio vederli molti di più. Questo ne avevo sentito parlare qualche tempo fa ma poi era sparito del tutto. Poi ho letto questa tua recensione. Adesso devo vederlo.

  2. alessio · · Rispondi

    17 marzo giorno di San Patrizio, cosa di meglio che un film irlandese… C’è un bello scarto scenografico tra i primi 10 minuti scarsi dove Wright passa prepotentemente da una “grigia” (non nella fotografia) periferia inglese alla verde campagna irlandese. Ma anche nella campagna bifolchi e teppisti non mancano, sebbene il regista inglese sembra volerci dire che nelle leggende ancestrali, a differenza dei miti contemporanei, una comunità può ritrovarsi coesa, solidale. E ospitale (quale attualità!). La bellissima scena nei boschi, accompagnata sempre da una fotografia che non smette mai di riverberare al fiabesco e introdotta da piccoli indizi precedentemente sparsi qua e là ci prepara a un finale che altrimenti potrebbe denunciarsi poco centrato. Tuttavia solo nel mondo delle fiabe gli uomini possono derubricare al ruolo di maschi e gli elfi sostituirsi a una giustizia distratta.

  3. Giuseppe · · Rispondi

    Wright se l’era cavata bene anche in Tormented, all’epoca spacciato a propria volta come commedia horror (ma da ridere c’era molto poco, visto il tema trattato). Mi fa piacere che qualcuno si sia ricordato di distribuire Unwelcome, ormai lo davo anch’io per perduto… Adesso voglio vederli in azione, i Red Caps (e, per un Trekkie anziano come il qui presente, la presenza di Colm “Miles O’Brien” Meaney è già un valore aggiunto di per sé) 😉

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