
Regia – Michelle Garza Cervera (2022)
Restiamo sempre all’interno della nutrita schiera di horror in lingua spagnola, ma stavolta ce ne andiamo in Messico, a celebrare come merita l’esordio di questa giovane regista che da una decina d’anni si barcamena tra cortometraggi e partecipazione ad antologie come Mexico Barbaro. Huesera ha fatto il solito giro di festival specializzati l’anno scorso, con allegata incetta di premi vari, tra cui quello al Sitges che, ricordiamolo, ci vede sempre molto lungo, ed è finalmente approdato su Shudder a febbraio. Il canale streaming horror sta facendo un grandissimo lavoro per promuovere il cinema dell’orrore internazionale indipendente, al netto della nota idiosincrasia degli americani per i film sottotitolati, e bisogna rendergliene merito, perché non è affatto scontato.
Nonostante Huesera si possa serenamente inserire nell’ormai canonizzato filone dell’horror “elevated”, quello che permette ai critici di non vergognarsi se assistono con gusto agli sbudellamenti, non vi fate ingannare dall’alone di opera impegnata che lo circonda: è un horror duro e puro, con diversi momenti che, per utilizzare un linguaggio all’altezza dei critici di cui sopra, te la fanno fare nelle mutande, sangue ed effettacci vari. Poi sì, è anche una bellissima storia di emancipazione, uno sguardo inedito ed eversivo sulla maternità, e anche uno spaccato di folklore messicano che male non ci fa, dato che lo conosciamo molto poco e quasi sempre filtrato attraverso l’immaginario del cinema statunitense.
Racconta la storia di Valeria (Natalia Solián) e della sua gravidanza, per usare un eufemismo, problematica. Valeria desidera tanto un figlio e, quando finalmente riesce a restare incinta, lei e suo marito Raul sembrano essere al settimo cielo. Eppure c’è qualcosa che non quadra: la famiglia di Valeria le fa notare che non ha proprio le caratteristiche per essere una “buona madre” (qualunque significato abbia questa definizione opinabile), emergono cose del passato della protagonista che non coincidono con l’immagine da moglie perfetta che lei ci tiene a mostrare al mondo, lo stesso Raul non è poi questo compagno capace di ascolto e supporto e, in tutto questo, ci si mette il soprannaturale.
Valeria comincia infatti ad avere delle strane visioni: una donna che si lancia dal balcone di fronte a casa sua, una figura senza volto e dalle ossa spezzate che la segue, un senso di terrore profondo quando è sola in casa, e la sensazione che no, non sia affatto sola. Ovviamente nessuno le dà retta, nessuno le crede: la famiglia la prende per pazza, Raul vorrebbe addirittura rinchiuderla. Per fortuna che ci sono le streghe; loro sanno cosa sta capitando a Valeria e sanno anche come fare a liberarla da questa presenza che minaccia lei e la sua bambina che sta per nascere. È un rito oscuro e molto pericoloso, ma bisogna compierlo, e non è neppure detto che riesca, ma Valeria non ha davvero più alternative.
Partiamo da un presupposto di fondamentale importanza: come molto horror recente ci ha insegnato, la gravidanza è già di per sé un body horror senza bisogno di aggiungere effetti protesici. Il cinema ha sfruttato in varie occasioni questa componente orrifica, ma soltanto negli ultimi anni hanno iniziato a raccontarla le persone che, di fatto, la possono sperimentare in prima persona. Sono una grande fan del venereal horror di Cronenberg, e tuttavia la lucidità di un film come Huesera nel mettere in immagini le profonde inquietudini che derivano da una trasformazione del corpo così radicale e tradurle anche in chiave horror soprannaturale, amalgamando in maniera ineccepibile tutta questa serie di suggestioni e inserendole in un contesto molto specifico e coerente. Insomma, Huesera è uno di quei film così rotondi che pare quasi si sia fatto da sé. Eppure non è affatto facile raccontare una vicenda simile con questo equilibrio, e non è facile dare voce e spazio a una protagonista come Valeria.
Il film, infatti, ce la fa scoprire poco a poco e quello che veniamo a sapere su di lei ci impone un brusco cambio di prospettiva, perché il desiderio di maternità di Valeria non è poi così spontaneo. Al contrario, è indotto da condizionamenti sociali, dal ruolo che Valeria sente di dover ricoprire nel mondo: la madre e la moglie perfetta, in netto contrasto con i suoi trascorsi, che tuttavia riemergono prepotenti e tornano a prendersi il posto che gli spetta.
Può essere benissimo, almeno fino a un certo punto del film, che quelle di Valeria siano solo allucinazioni, modi che trova la sua mente per fuggire da una situazione dalla quale non trova vie d’uscita; può darsi che la poco definita e mai davvero esplicitata entità demoniaca che la perseguita (e la possiede) rappresenti soltanto il riflesso della gabbia che circonda la protagonista. E non a caso ho detto gabbia: è un motivo estetico ricorrente, quello della gabbia, all’interno del film. Sembra sempre che Valeria si trovi dietro qualche tipo di sbarre, siano esse porte, strutture architettoniche o i suoi stessi lavori di falegnameria.
Attraverso un paio di flashback che ci aiutano a capire meglio il percorso esistenziale di Valeria, e con tanti piccoli indizi disseminati sin dalle prime scene del film, ma che magari non comprendiamo subito perché il sofisticato meccanismo di autoinganno di Valeria funziona anche su di noi, la regista compone un ritratto femminile tra i più profondi, complessi e sfaccettati degli ultimi anni, e non soltanto nel cinema di genere. Sto per fare un’affermazione di un certo peso, e forse me ne pentirò subito dopo averla scritta, ma qui siamo anche su un livello di scrittura superiore a quello di Jennifer Kent nel Babadook. “I still prefer The Babadook” per tanti motivi, ma il personaggio di Valeria è un passo in avanti gigantesco e, spero, destinato a lasciare degli strascichi nell’horror a venire.
A questo punto voi, e vi capisco, volete sapere se Huesera è efficace anche come racconto del terrore. Ho già detto in testa all’articolo che ci sono alcune sequenze che fanno accapponare la pelle, in particolare per come il film usa tutto il suo comparto sonoro alla stregua di un’arma di distruzione di massa. I rumori delle ossa che si spezzano o che semplicemente si muovono nel corpo di Valeria, le sentirete per tanti giorni dopo che il film è terminato, mentre tutta l’ultima parte è una tale esplosione di caos pagano da farvi precipitare a cercare la prima congrega di streghe nel vostro vicinato. Non si sa mai che possa tornarvi utile in futuro.
Vi piacerà tantissimo, Huesera. E segnatevi pure la data di questo post: ha le stimmate del classico contemporaneo.
questo lo recupero prestissimo, grazie per l’ottima recensione (as usual).
di recente ho visto incantation, una delle rarissime chicchette netflix (per restare in tema gravidanze/figlianze grevi): al netto di una storia piena di incongruenze e una regia schizofrenica, mi ha colpito per l’alone sordido che riesce a trasmettere. e a tratti propina anche qualche bello spaghetto…
Film molto bello potente (basta già la prima scena con la camera che si allarga sulla gigantesca statua della madonna), solido, a tratti terrificante (gli scricchiolii delle ossa su tutti con la camera che qui invece si avvicina sul corpo di Valeria quasi a mostrarceli anche visivamente) ha il solo piccolo difetto di un finale che tradisce un poco l’impianto che la regista aveva sapientemente costruito. La scoperta che facciamo della vera Valeria attraverso i flashback e le inquietanti allucinazioni e non (il ragno, specchio della protagonista la cui ragnatela è casa e prigione, come la scelta di famiglia alla quale si è piegata Valeria) meritava qualcosa di più del facile rito pagano propinato dalla zia. Ma davvero tanta roba comunque.
Recensione più che convincente, anche se l’affermazione di un certo peso che hai fatto basterebbe già da sola a spingermi al recupero per verificare… 😉