
Regia – Rebekah McKendry (2022)
Per l’undicesimo giorno della spooky season la challenge impone la visione di una horror comedy. Da poco è arrivato su Shudder l’esordio di McKendry, che non so se la conoscete, ma dovreste conoscerla: è una delle redattrici principali di Fangoria, tiene il podcast ufficiale della rivista (Colours from the Dark: ascoltatelo), è un’accademica, una professoressa universitaria, è stata editor alla Blumhouse per parecchi anni, e ha diretto diversi cortometraggi e segmenti di film episodi, come All Creatures Were Stirring. All’attivo ha anche un film per la tv, nonché la sceneggiatura del sequel horror di Bring it on. Sono sempre contenta quando una personalità della comunità horror riesce a fare il salto e a mettersi dietro la macchina da presa, e quindi ne ho approfittato per inserire il suo film nella challenge.
Glorious è una commedia di orrore cosmico, ambientata tutta in un bagno pubblico, con quasi sempre un solo personaggio in campo; un’operazione dai costi contenuti e di breve durata (un’ora e un quarto con i titoli di coda), e un tipico, piccolo film di produzione indie e distribuzione Shudder. Ha fatto il consueto giro dei festival nel corso del 2022, è passato al Fantasia a luglio e, il mese successivo, è approdato in streaming, per la gioia di grandi e piccini.
Quando lavori con mezzi limitati, hai una sola location e un solo interprete, sei costretta a ingegnarti, a farti venire delle idee, altrimenti fallisci o finisci per essere assorbita dal mare magnum di analoghe, minuscole produzioni. Glorious ha tuttavia una premessa talmente assurda e paradossalmente efficace, da spiccare su altri titoli con caratteristiche simili.
Il protagonista, Wes (Ryan Kwanten) si ritrova in una stazione di servizio sperduta nel bel mezzo del nulla. Di lui non sappiamo niente, ma intuiamo che abbia avuto da poco una rottura sentimentale. Si prende una sbronza epica e finisce per collassare nel piazzale antistante la stazione. La mattina dopo, si alza, corre nel bagno pubblico a vomitare e, attraverso un buco nella porta del box (il famigerato “glory hole”) sente una voce che gli parla. La voce appartiene a J.K. Simmons, tanto per gradire.
Il proprietario della voce dice di chiamarsi Ghatanothoa (d’ora in poi Ghat) e di essere un’entità soprannaturale creata apposta per distruggere l’intero universo. Wes è stato prescelto per salvare il mondo dall’annichilimento. Deve soltanto donare una parte di sé a Gath e passargliela attraverso il buco, con tutti gli equivoci e i doppi sensi del caso. Una volta compiuto il sacrificio, sarà libero di andarsene e l’esistenza di tutte le cose non sarà più in pericolo.
Ora, il problema è che Wes non ha poi tutta questa intenzione di essere un eroe. Anzi, è l’esatto opposto di un eroe, e di salvare il mondo poco gliene cale. Preferirebbe volentieri vederlo bruciare, invaso e divorato dai vari orrori innominabili scatenati dalla potenza distruttrice di Gath.
Abbiamo quindi un unspeakable horror in piena regola che deve convincere un piccolo essere umano che, tutto sommato, vale la pena vivere.
I metodi di Ghat non sono affatto ortodossi, mentre Wes, dal canto suo, riserva parecchie, e anche sgradevolissime sorprese. Chi la spunterà?
È notevole il modo in cui McKendry sfrutta a suo vantaggio tutti i limiti imposti da budget e ambientazione, perché non è facile reggere un film intero, anche se sotto l’ora e mezza, tutto in un’unica stanza e con un protagonista che, per la maggior parte del tempo, parla da solo con un buco su una porta. Non è facile soprattutto quando il suddetto film è prima di tutto una commedia e ha bisogno, appunto, dei tempi comici giusti per mettere benzina nel motore, altrimenti si ferma e ti lascia a piedi, annoiato o indifferente, che è pure peggio.
Glorious è scritto molto bene, porta lo spettatore su un terreno familiare, quello della mostruosità lovecraftiana priva di una forma definita e impossibile da comprendere per il nostro sguardo, e la umanizza, anzi, la fa più umana del personaggio umano sul quale, in teoria, dovremmo proiettare noi stessi. Poi però riesce anche a sorprendere, piazzando un colpo di scena al momento giusto che ribalta completamente la situazione e ci fa riconsiderare Wes e tutta la sua vicenda esistenziale da un punto di vista differente.
È anche girato molto bene, con consapevolezza. Non vorrei dire una banalità, anche perché non sempre è un’equazione che corrisponde al vero, ma si vede che McKendry è non soltanto un’appassionata del genere, ma lo conosce alla perfezione. Ne ha studiato i meccanismi, i cliché, i tropi, e si diverte ad aggirarli, quando le serve, e ad assecondarli quando è necessario. Non vuole realizzare il prossimo capolavoro “elevated”, vuole intrattenere, giocare e comunicare con il suo pubblico e anche riuscire a coglierlo impreparato. Non bisogna per forza essere dei fan per dirigere un horror, e anzi, spesso degli ottimi horror hanno registi che il genere lo frequentano poco, ma per fare una horror comedy lovecraftiana con un demone che ti parla da un cesso, ecco, credo aiuti un certo grado di familiarità con la materia, per prenderla sul serio e, allo stesso tempo, non prendersi sul serio.
È un film minuscolo, Glorious, ma vi darà un sacco di soddisfazioni.
Il Day 13 recita Multiple Monsters. E io stasera mi rivedo The Descent, che fa sempre bene al cuore.
“La nostra vita è un viaggio / in Inverno e nella Notte / noi cerchiamo il nostro passaggio / in un Cielo senza luce”
Domenica pomeriggio, la partita da porco terminata e così decidemmo di ingannare lo scorcio del festivo prendendo a noleggio un film, ancora di videoteche in città se ne trovavano, non del tutto sparite come le lucciole di PPP. Prendemmo The Discent, senza grandi aspettative e senza immaginare di custodire tra le mani una delle gemme più belle del genere del primo decennio. Un voyage au bout de la nuit dove al posto delle trincee delle Fiandre si fanno largo stretti cunicoli delle grotte degli Appalachi, dove la malattia mentale è declinata nel senso di colpa di una perdita non accettata. Qui gli hillbillies raccontati da J.D. Vance e fotografati da Sheldy Lee Adams non sono la comunità isolata di consanguinei tra The Village e Wrong Turn (2021) ma creature mostruose, albine e cieche. Già, perché buio (dell’anima) o oscurità poco importa: abbiamo solo la scelta del nero.
Bagni pubblici dotati proprio di tutti i confort, wow!
Molto interessante e in effetti che si sia riusciti a ricavare una commedia da uno spazio così stretto mi incuriosisce molto (come mi incuriosisce lo scontro tra umano e soprannaturale).
La mia commedia horror di oggi (che condivido con voi, ma come si fa a scegliere?) è… Snatchers (2019).
The Descent mi terrorizzò letteralmente: non l’ho più rivisto da allora.
Per il “multiple monsters”, invece, potrei ripescare “Hiruko the Goblin” (1991). Lo avevo registrato da ragazzo da Fuori Orario (in giapponese sottotitolato) e spesso lo riguardavo: mostri, horror, poesia, divertimento, dramma…
Besos!
Il caro vecchi(ssim)o Gathanothoa, per gli amici Gath! Io lo ricordavo ancora nella sua fortezza intento a pietrificare il povero T’yog… alla fine ci è riuscito a andarsene da lì, allora, trovando pure una nuova sistemazione: d’accordo, un bagno pubblico con tanto di “Glory Hole” non sarà forse il massimo, ma Gath è tipo da sapersi adattare 😉
Per me, film grandioso, malgrado il colpo di scena che ho trovato un tantino forzato…poco male. visione obbligatoria.