Tanti Auguri: 40 Anni di Poltergeist

Regia – Tobe Hooper (1982)

Sì, mi sono presa una settimana di vacanza perché stavo andando in burn out e, non potendo per ovvi motivi smettere di lavorare, almeno una pausa dal blog ho dovuto concedermela, altrimenti esplodevo. Non assicuro un ritorno su base regolare, non ancora, ma per il momento cominciamo l’estate de Ilgiornodeglizombi con la celebrazione del complehorror del mese, e che complehorror, quello del film che ha rivoluzionato il concetto di ghost story al cinema, figlio di due personalità così differenti come Spielberg e Hooper, e primo vero, certificato horror per famiglie mai apparso su grande schermo. Poltergeist fa infatti parte di quel gruppo di film per i quali, a partire dal 1984, sarebbe stata coniato il nuovo sistema di categorie della censura americana. Non è ancora, per motivi cronologici, un PG13, ma è il modello dell’horror PG13, quello originale, un film che fa un uso dell’orrore molto consapevole e leggero, che non rinuncia allo spavento anche forte, ma fa quasi del tutto a meno della violenza e del sangue e, in questo, inaugura una formula ben precisa, che personaggi come Jason Blum e James Wan utilizzano ancora oggi, quarant’anni dopo.

Tobe Hooper arriva a dirigere Poltergeist per questioni contrattuali di Spielberg: il regista di Jaws stava preparando E.T. con la Universal e non poteva mettersi dietro la macchina da presa per un altro film, quindi si limitò al ruolo di sceneggiatore e produttore e lasciò (in parte, ma questa è storia nota) il comando del set a Hooper. Ora, è evidente che Spielberg ci mise del suo, basta guardare il film e riconoscere i suoi vezzi stilistici per rendersene conto: Poltergeist pullula di quelle che la critica definisce “Spielberg faces”, e non solo; tutta la sezione dichiaratamente fantasy del film, quella con gli effetti speciali, è roba sua. Ma questo non deve far passare sotto gamba il lavoro di Hooper, che aggiunge al film una caratteristica fondamentale, forse la vera chiave del suo successo: il naturalismo nel mettere in scena la vita nei sobborghi americani. Un naturalismo che è tuttavia critico, mentre l’approccio di Spielberg nei confronti di quel modo di vivere è e sarà sempre elegiaco. 

Al di là della questione su chi abbia diretto cosa, Poltergeist è davvero il risultato dell’unione di due concezioni di cinema molto differenti che si armonizzano quasi per miracolo nel creare il mostro cinematografico perfetto. Poi sì, la vicenda è spielberghiana perché è sua l’idea ed è suo il soggetto. Doveva essere una sorta di sequel di Incontri Ravvicinati, ma Hooper ha suggerito di addentrarsi in altri territori, quelli del gotico, nello specifico. Il problema è che Tobe Hooper, nonostante lo conoscesse molto bene, col gotico non aveva poi molto a che spartire, anzi: è stato uno dei registi che hanno contribuito al suo affossamento definitivo ai tempi del New Horror. L’approccio di Hooper alla materia, oltre che naturalistico, è anche viscerale, persino quando di viscere se ne vedono poche. Se Spielberg è quello che si diverte a giocare con VFX all’avanguardia, a mettere in campo un baraccone circense di botti, jump scares e alberi che sfondano le finestre, Hooper è quello che si diverte a gettare una mamma in una piscina piena di cadaveri in decomposizione. E l’accostamento di questi due elementi è delizioso. 

Di Spielberg è l’umanità dei personaggi, il calore nei loro confronti da parte del pubblico e anche tra di loro, la tenerezza nei rapporti familiari e la comprensione di chi arriva dall’esterno ad aiutare queste persone così terrorizzate; di Hooper è lo svelamento del marciume nascosto dietro le villette a schiera e i contesti “carini”, il concetto di una società edificata sulla morte, ignorandone la sacralità e sacrificandone il mistero sull’altare del capitalismo. Poi sì, è vero che il nucleo famigliare americano resta intatto e anzi, ne esce rafforzato, manca la deflagrazione assoluta presente negli esordi di Hooper, ma stiamo appunto parlando del prototipo dell’horror per famiglie, stiamo parlando del film dell’orrore supervisionato da Spielberg, e non poteva proprio andare diversamente. La furia iconoclasta di Hooper arriva a un certo punto e si deve fermare, lo status quo va ripristinato, anche se non del tutto: l’illusione del sobborgo perfetto viene smantellata nel caos ed è difficile, se non impossibile, che tutto ritorni esattamente come prima. 

È tuttavia molto importante che Poltergeist si svolga proprio in un quartiere suburbano di recente costruzione, un ambiente che grida borghesia statunitense da ogni angolo di strada, da ogni mattone posato su vecchi cimiteri di cui ci si è dimenticati l’esistenza. Ed è importante non solo per distruggere e poi ricostruire lo stile di vita americano nello spazio di un centinaio di minuti; lo è perché è l’ambientazione che crea la formula di cui parlavamo prima, che cambia la natura stessa della storia di fantasmi. Era una cosa, a onor del vero, che già aveva fatto Matheson in narrativa, quella di spostare il soprannaturale dalla sua classica culla gotica alle tranquille zone residenziali con i bambini che giocano in giardino e i genitori che fanno le grigliate nei giorni di festa. E non solo lui: tra la metà degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, è tutto un fiorire di romanzi horror che trasportano l’infestazione classica dal castello nella brughiera al sobborgo. The House Next Door è un titolo che vale per tutti. Ma al cinema andava ancora per la maggiore la sinistra magione dall’oscuro passato. C’è poi il caso di Amityville, da non sottovalutare, eppure si tratta di un horror adulto, con problematiche e tematiche adulte e con più rilevanza nel cosiddetto satanic panic che nel racconto gotico in quanto tale.  Se con il New Horror, è proprio il fantasma stesso a non essere più il fulcro del discorso sulle paure collettive, è proprio Poltergeist a riportarlo all’attenzione del grande pubblico, come agente del crollo di certezze economiche e materiali date per acquisite.

Ciò che in Poltergeist viene messo in pericolo è il nido costruito con anni di fatica e di lavoro, e di conseguenza, la sicurezza di possedere un qualcosa che nessuno potrà mai portarti via. E invece va via in un istante, collassa addirittura nella scena finale, con i protagonisti esausti e terrorizzati che se ne vanno a dormire nell’hotel più vicino e badano bene a gettare fuori dalla porta l’onnipresente apparecchio televisivo, il portale attraverso il quale le tenebre si vanno a insinuare nella luminosità di una vita perfetta, solida, dalle fondamenta apparentemente stabili.
Certo che il lieto fine è d’obbligo, in un horror scritto da Spielberg in cui tra l’altro non muore nessuno, ma ciò che resta allo spettatore è tutto ciò che accade prima, l’orribile sensazione di non essere al sicuro nella propria casa, che tutta quella solidità forse è soltanto illusoria, che i simboli del successo sono soltanto simboli e in quanto tali possono svanire, e lasciarti tremante in un angolo a chiederti dove hai sbagliato.

10 commenti

  1. Fabio · ·

    Ogni volta che vedo il finale con il padre che caccia fuori dalla porta il televisore,mi si stampa in viso un sorrisone,ma non di sollievo per quello che hanno patito,ma perche’ e quello che spesso vorrei fare con le TV,per esperienza parentale assisto spesso a questa ossessione di accendere ogni volta la TV,spesso senza neanche guardarla,si dorme pure sulla poltrona con lo schermo acceso,di solito con il telegiornale 24 ore su 24 o terribili quiz e robaccia varia,lo dico spesso,il mio televisore sono letteralmente anni che non lo uso nei modi comunemente consoni,per me e solamente il mezzo per guardarmi i miei film!😏😺

  2. Nonostante gli anni questo film funziona sempre. Certo gli effetti speciali non lo sono più tanto, ma l’atmosfera non lascia scampo.

    1. Gargaros · ·

      Ma cosa dici? Gli effetti sono ancora strepitosi!

  3. Jason13 · ·

    Segnalo, per chi fosse interessato, la novelization del film, uscita a suo tempo per i fascicoli di Urania, e facilmente reperibile di seconda mano su Internet.

  4. Tigrero · ·

    Riprenditi con calma Lucia! Quando avrai tempo, voglia ed energia, ritorna a scrivere… Da parte mia ti aspetterei anche per anni!

  5. dinogargano · ·

    Ottima e completa recensione , al solito …, su di un’opera che quando uscì fece il botto al cinema e poi forse è caduta nell’oblio televiso e non . Sarà anche da dividere a metà il merito ma mi pare che i registi abbiano fatto strike in pieno .

  6. Giuseppe · ·

    OK, adesso che conosco il motivo della pausa sono più tranquillo 😉 👍
    Riguardo al doveroso complehorror del mese, niente da aggiungere alla tua esauriente e puntuale recensione su di un horror che sì, riesce ad amalgamare assai bene due visioni diverse con il risultato che tutti conosciamo, e la cosa non era poi così scontata… così come si è evitata la facile scappatoia di un classico rassicurante lieto fine che qui, invece, sotto la superficie di davvero lieto non ha nulla, laddove l’iconoclastia di Hooper e l’elegia di Spielberg continuano a mantenere fino in fondo il loro punto d’incontro ideale, senza prevaricare l’una sull’altra. I Freeling sono sopravvissuti agli orrori affrontati, vero, ma non certo perché siano riusciti a sconfiggerli. Sono stati proprio quegli orrori, semmai, a demolire la loro vita fin dalle fondamenta (termine quanto mai adatto, parlando di una casa nonché del destino a lei riservato) e quello che cercheranno di ricostruire, se e quando ci riusciranno, non potrà mai più essere solido come prima…

    1. Sto bene, grazie per la preoccupazione, è che ho troppe cose da fare, tutte insieme, e non ce la faccio a gestire tutto. Piano piano cercherò di organizzarmi meglio, ma il burn out era dietro l’angolo

  7. Blissard · ·

    Onestamente preferisco la tua analisi al film in sé, che non mi ha mai suscitato granché simpatia. Le premesse clamorose (Matheson, Hooper e Spielberg, stica##i) vengono mantenute a mio parere solo in parte, le varie anime del film non le ho mai trovate ben amalgamare.

  8. La piscina piena di ossa e cadaveri putrescenti verrà ripresa da Dario Argento in Phenomena 😉

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