Tanti Auguri: 20 anni di Panic Room

Regia – David Fincher (2002)

Doppio compleanno questo mese, perché io sono (diventata col tempo) bimba di David Fincher e finalmente mi si presenta l’occasione per dichiarargli un po’ del mio amore, tra l’altro con uno dei suoi film meno apprezzati, giudizio le cui motivazioni mi sono sempre state abbastanza oscure: si tratta dell’home invasion perfetto, ti tiene in uno stato di tensione costante per un centinaio di minuti, esclusa la breve introduzione a personaggi e ambiente, e ha un cast che, a definirlo meno che eccellente, gli si fa un torto. Forse è un po’ la sindrome di Fight Club: Panic Room arriva subito dopo un tale mastodonte della cultura popolare a cavallo tra i due secoli, che per forza rischia di passare inosservato o di essere definito un passo indietro. 
Si tratta tuttavia, magari in una forma meno vistosa (e con contenuti meno esplosivi) rispetto a Fight Club, di una prova di regia immensa e, in questo caso proprio come il suo più illustre predecessore, di una fotografia molto fedele delle ansie e delle fobie di un’epoca. 

Il punto è che, guardando Panic Room, non ci si rende conto, non a una prima visione, del grado di difficoltà che ha richiesto realizzarlo. Alla fine, è un film molto contenuto, si svolge tra quattro mura, in gran parte delle scene, gli aggressori e le due protagoniste nemmeno vengono a contatto, e moltissimi dei momenti fondamentali della storia si svolgono all’interno di una piccola stanza blindata di 2 metri per 4. È anche una prova meno “d’autore” da parte di Fincher, e uso le virgolette perché Fincher i suoi film non li scrive mai. Però sarebbe assurdo negare che, in questo caso, si tratta di un’opera più orientata al cinema commerciale del solito. Poi bisogna anche mettersi d’accordo sul significato che diamo al termine commerciale, soprattutto riferendoci al cinema statunitense di inizio millennio, ma credo che questo sia argomento da trattare in un’altra sede. Limitiamoci a dire che la sceneggiatura di David Koepp segue una formula abbastanza generica di thriller primi anni ’00, con tutto il carico di diffidenza, paranoia, falso senso di sicurezza e ossessione per la sorveglianza che erano parte integrante dell’atmosfera del periodo; Fincher, dal canto suo, è interessato principalmente a due cose: la prima è proprio l’idea di dover lavorare con dei limiti di tempo e di spazio molto ben definiti, la seconda  è invece relativa a una caratteristica specifica della sceneggiatura: privilegiare il ritmo alle spiegazioni. E questo non è tanto “thriller generico primi anni ’00”, detto tutto a favore del lavoro di Koepp.

Quindi Panic Room si configura, sin dalla sua genesi, come un film che, mentre di facciata si attiene a uno schema ai tempi molto consolidato, nella sostanza mira ad agire sottilmente in contrasto con quello stesso schema: madre (Jodie Foster) e figlia (Kristen Stewart) intrappolate nell’impenetrabile panic room del titolo, e tre ladri che devono farle uscire perché ciò che vogliono rubare si trova proprio lì dentro. È lineare ed è semplice, è quasi un’idea di stampo televisivo, così confinata a una sola location, e non solo, è a forte rischio di rompere le scatole dopo la prima mezz’ora o giù di lì: è una situazione statica, che si gioca su una stasi più o meno continua: le due donne non possono uscire, i ladri non riescono a entrare. Quanto può reggere un film così?
E qui arriva la classe di Fincher a risolvere il problema, estraendo dal cilindro una trovata visiva dietro l’altra, facendo della macchina da presa l’io narrante di tutta la vicenda, sfruttando come mai nessuno fino a quel momento la tecnologia di sorveglianza interna alla casa, una sorta di panoptico bugiardo che dà ai personaggi l’illusione fallace del controllo.

La casa dove si svolge l’intero film (a parte due breve sequenze all’inizio e alla fine) non è, e credo sia abbastanza ovvio, una vera casa, è un teatro di posa costruito apposta negli studi a Los Angeles e costato, da solo, circa 6 milioni di dollari; questo per avere la padronanza assoluta dell’ambiente e poterlo smontare e rimontare a piacimento. Come se non bastasse, Panic Room è uno dei primi film ad avere degli storyboard animati. Sì (e mi pare ci sia nei contenuti speciali del Blu Ray), esiste una versione animata del film quasi completo, realizzata prima di girare e allo scopo di programmare in anticipo i numerosi movimenti di macchina che caratterizzano il film e gli danno quel dinamismo che, se non ci fosse il signor Fincher a dirigere, molto probabilmente non avrebbe. 
Non fu una produzione semplice, tutt’altro: Jodie Foster arrivò a riprese già in corso perché l’attrice scelta (Nicole Kidman) abbandonò il set in seguito a un infortunio pregresso: se lo era procurato girando Mouline Rouge. Solo che Foster era incinta e fu abbastanza complicato gestire il tutto. Rischiarono di chiudere parecchie volte nel corso della lavorazione, che durò dal gennaio 2001 al settembre dello stesso anno, con l’uscita del film prevista prima a febbraio e poi slittata a fine marzo del 2002. 

Panic Room è l’apoteosi del professionismo estremo hollywoodiano: qualunque sia la vostra linea di pensiero in merito a Hollywood, resta comunque una cosa da cui non si può che restare affascinati, specialmente quando, come in questo caso, è messa al servizio di una visione, quando si esprime in maniera quasi camuffata, quando fa sembrare facili le cose difficili, in estrema sintesi. Panic Room è un film che pare rotolare da solo per inerzia, come una pallina lasciata scivolare in discesa: non è mai macchinoso, è sempre elastico e fluido, sia per quanto riguarda la struttura narrativa, che Koepp tiene il più possibile chiara e precisa, sia per quanto riguarda la messa in scena, sia per quanto riguarda il ritmo delle immagini. Il film se ne vola via, perché la posta in gioco si alza sempre, il pericolo si rinnova sempre, lo stallo in cui si trovano i personaggi è fatto di tanti, anche impercettibili, aggiustamenti nei rapporti di potere e di strappi improvvisi che ribaltano la situazione con un meccanismo a orologeria. 

Non devo essere io a spiegarvi il modo quasi maniacale in cui Fincher cura ogni singolo dettaglio presente nei suoi film. Logico che Panic Room non sia da meno: c’è una preparazione certosina di ogni sequenza e, anche se come abbiamo detto, la trama è in sé abbastanza generica, ogni sequenza racconta qualcosa dei personaggi e delle loro storie senza fare un uso eccessivo dei dialoghi esplicativi. Non solo: in questo caso, abbiamo una casa che va raccontata nei minimi dettagli, perché lo spettatore non si senta disorientato, e Fincher te la racconta, nella scena iniziale quando ce la mostra vuota e seguiamo madre e figlia alla scoperta del posto per la prima volta, o poco prima che i ladri vi si introducano, quando Jodie Foster sta dormendo e la macchina da presa ripercorre l’intera geografia della casa dal terzo piano al piano terra; in generale, Fincher vuole che quello spazio ci resti ben impresso in mente, così da capire gli spostamenti e i movimenti, e così da riconoscere il posto anche quando, verso la fine, preso a martellate, distrutto, sporco e violato, diventerà irriconoscibile. 
Ora, è sicuramente una possibilità che Panic Room sia un minore nella filmografia di David Fincher, però insomma, fossero tutti così i film minori, saremmo sistemati a vita, non trovate? 
Mentre ci riflettiamo, facciamo tanti auguri al film che comunque se li merita, è invecchiato molto bene, a parte qualche discutibile effetto speciale (ma erano discutibili anche allora) e il solito Jared Leto che è sempre fuori posto ovunque lo si metta. 
Ultima nota volante: Kristen Stewart è sempre stata brava. Se la pensate diversamente, quella è la porta. 

5 commenti

  1. Grazie per aver parlato di questo film, l’ho sempre adorato ed era ora che qualcuno lo elogiasse come merita. E grazie anche per aver rimarcato la bravura di Kristen Stewart, che per me è sempre stata palese.
    Posso spararne una grossa? Fatte le debite proporzioni, credo che David Fincher sia l’unico e il solo erede di Alfred Hitchcock, e film come Panic Room ne sono la dimostrazione.

  2. Gargaros · ·

    Ma chi è la donna nel poster? Anche inclinando lo schermo non riesco a riconoscere Jodie (e sì che l’amo da quando avevo 18 anni)…

    1. Penso sia Jodie Foster dopo un frontale violentissimo con photoshop

  3. Giuseppe · ·

    Può darsi lo sembri oggi, un film minore, più che altro per il fatto di vederlo con un bagaglio di ansie e fobie differenti da quelle di vent’anni fa, ma questo è quanto e non gliene si può certo fare una colpa… David Fincher? Kristen Stewart? Ecco, magari sarebbe il caso di riconsiderare dagli inizi la loro filmografia e, volendo, rivedere qualche giudizio critico di troppo e dato con troppa fretta…

  4. Un bel film, grazie di aver festeggiato

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