
Regia – Kier-La Janisse (2021)
Avete presente quando passi circa un anno ad aspettare qualcosa, invidi con tutte le tue forze tutti quelli che ci hanno potuto mettere sopra le mani prima di te, sei lì in trepidazione, carica di promesse, e poi, quando quella cosa arriva davvero, si dimostra anche meglio di tutte le tue più rosee previsioni? Ecco, Woodlands Dark and Days Bewitched è così.
Non parliamo molto spesso di documentari da queste parti, ma solo perché risultano un po’ complicati da recensire, in particolare quelli sul cinema: sono film che parlano di altri film, di cui magari hai già parlato a tua volta, e la cosa rischia di diventare un po’ troppo autoreferenziale. Ma per la storia del folk horror diretta dall’autrice di House of Psychotic Women, si può e si deve fare un’eccezione.
Il documentario dura oltre tre ore e si prende tutto lo spazio e il tempo del mondo per raccontare il folk horror. Ma lo fa in maniera estremamente peculiare, andando a cercare in luoghi desueti, prendendo strade tortuose e non sempre scontate. Per esempio, apre (per forza di cose) con “l’empia trinità” formata da Witchfinder General, Blood on Satan’s Claw e The Wicker Man, ma su quei film ci sta sì e no venti minuti scarsi. Poi torna indietro e va alle origini del folk horror, da Arthur Machen a M.R. James passando per le Ghost Story for Christmas della tv britannica e La Notte del Demonio di Tourneur. Ma la cosa più interessante è che il film compie un’operazione non tesa a stabilire l’unicità del folk horror o le supposte “regole” che si dovrebbero rispettare qualora si decidesse a priori di realizzare un folk horror; Janisse preferisce sottolineare come il folk horror si trovi dappertutto in senso geografico, e infiltrato in zone all’apparenza insospettabili in senso cinematografico (e televisivo), così da metterne in luce innanzitutto la modernità, la sua capacità di parlare del qui e ora, anche quando racconta di antichi culti e reliquie del passato. O forse proprio perché racconta di antichi culti e reliquie del passato.
È un film che va seguito con un taccuino pronto all’uso per segnarsi una lista sterminata di titoli da recuperare, specialmente quando si esce dalla culla del folk horror, la Gran Bretagna, e ci si sposta in altre parti del mondo: Australia, Brasile, Messico, Europa dell’Est e sì, anche l’Italia, rappresentata soprattutto da Lucio Fulci e da quel giallo etnico e antropologico che è Non si Sevizia un Paperino.
Ci si rende conto di quanto sia ricca la filmografia folk e di quante cose abbia ancora da dire su di noi e le nostre paure collettive, sulla nostra angoscia spirituale ed esistenziale, perché è un tipo di cinema che si occupa dei residui che il vecchio mondo (“the old ways”) ha lasciato a sedimentare in quello che ci illudiamo essere il nuovo.
Da questo punto di vista, uno dei capitoli migliori di tutto il documentario è quello dedicato al revival che il folk horror ha vissuto e continua a vivere da circa una decina d’anni a questa parte: quasi sparito dalla circolazione per tutti gli anni ’90 e per l’inizio del XXI secolo, torna in auge quando l’ansia sociale aumenta. Non è soltanto una valvola di sfogo per terrori più o meno legati a un momento storico particolarmente oscuro e infelice, è la visualizzazione in forma metaforica e, nel caso di alcune cinematografie, chiamiamole così, periferiche, fiabesca di questi terrori.
È, per così dire, il mestiere del cinema dell’orrore preso nella sua interezza, ma il folk horror, in particolare quando si carica di una forte componente ecologica, si fa carico di portare alla luce alcuni tra i conflitti più profondi ed estremi della vita contemporanea; sussurra all’orecchio del nostro isolamento, del nostro individualismo esasperato, della mancanza di una comunità a cui rivolgerci, ma anche alla nostra tendenza a cercare risposte molto facili e violente a interrogativi complessi.
La faccenda è ancora più impressionante se si tiene in considerazione un aspetto che potrebbe apparire secondario, ma non lo è: il folk horror non ha mai avuto una sua diramazione nel mainstream, è sempre stato indipendente, a basso costo, lontano dalle produzioni ad alto budget. È rimasto, in un certo senso, una creatura selvatica e impossibile da addomesticare. Forse l’unico caso in cui un film dichiaratamente folk horror è arrivato quasi a sfiorare il cinema commerciale è quello di Midsommar, ma sempre fino a un certo punto, e sempre con il sospetto con cui si guarda una bestia strana che potrebbe azzannarti da un secondo all’altro.
Poi tutto può essere, ma la sola idea di un grande studio che investe 50 milioni di dollari in un folk horror mi fa ridere a crepapelle.
Se c’è un difetto (e chiamarlo tale è comunque poco esatto) in Woodlands Dark and Days Bewitched è che è stato fatto per un pubblico di iniziati: nonostante condivida una mole enorme di nuove informazioni, il documentario dà per scontata almeno una conoscenza di base dei titoli più importanti, che infatti sono quelli cui meno tempo viene dedicato, proprio perché si parte dal presupposto che noi sappiamo già più o meno tutto. Se quindi state cominciando adesso ad avvicinarvi a questo filone (anzi, a questa modalità) potreste rischiare di uscire vagamente disorientati dalle tre ore e passa di Woodlands Dark, e il mio consiglio è di guardare prima (almeno) l’empia trinità e poi godervi con comodo il viaggio oltre a al di là di essa.
Se, al contrario, il folk horror è una delle vostre ossessioni, il lavoro di Janisse è imperdibile. Magari lo potete vedere in più di una seduta, come ho fatto io, perché richiede molta attenzione, e perché lo si assimila meglio. E non dimenticate, assolutamente, il taccuino.
Me lo segno, il genere non lo conosco benissimo ma spero di raccapezzarmi.
Tanto love per Non si seviziato un paperino, peraltro
Amore a non finire per quel film. E tanta gioia nel saperlo nel canone del folk horror.
Molto bello, credo sia una visione interessante per tutti gli amanti e curiosi del cinema, non solo horror. È poi é un pozzo di chicche..the stone tape e the last wave le li ero persi! E si, taccuino d’obbligo!
The Stone Tape è un piccolo capolavoro di puro terrore. Su The Last Wave ho scritto un articolo giusto un paio di giorni fa.
A me ha impressionato la ricchezza del folk horror australiano, per esempio.
Wow! Immagino che anche questo vada trovato senza sottotitoli e chissà dove in streaming… Cercherò!
In questo momento è su Shudder, con sottotitoli in inglese. È uscita un’edizione magnifica per l’home video, un cofanetto gigante con dentro anche parecchi film di cui si parla nel documentario, ma costa un occhio della testa e c’è anche il problema della regione dei dvd: molti qui da noi non li possiamo proprio leggere.
E -volendo rimanere nei limiti del consentito- provare magari con un buon “vecchio” lettore DVD multiregione? Su Amazon ce ne dovrebbero ancora essere di buoni, senza dovere spendere un occhio della testa… è un peccato dover rinunciare ogni volta a certe perle per l’assurdità dei codici regionali! Ad ogni modo, questo documentario sul folk horror m’intriga parecchio sia per la cinematografia che già conosco a riguardo sia, soprattutto, per quella ancora da scoprire (e non dev’essere poi così poca).
P.S. Il film di Fulci non poteva che appartenere di diritto al folk horror, diciamolo 😉
Detto da una persona che non digerisce bene l’horror ma che ama il cinema ed i documentari può sembrarti strano ma quest’opera mi ha molto colpito.. Peccato non poterne fluire liberamente (per vari motivi) tanto più che l’inclusione di una figura come Fulci dimostra la bontà dell’opera e l’apertura mentale di regista e sceneggiatori/scrittori.
Conoscevo anche Dust Devil ma Kuroneko mi era completamente sconosciuto e mi ha fatto venire l’acquolina in bocca!
Grazie per le tue dritte preziose…
Ma figurati! Kuroneko è un capolavoro. Ti consiglio di recuperare l’edizione della Criterion Collection perché ti rifai proprio gli occhi!
L’avevo intuito… Nel documentario ci sarebbe stato bene “La casa dalle finestre che ridono”, un notevole esempio di Gotico Rurale italiano, ma non si può avere tutto…
Che bello che finalmente qualcuno parli di folk horror!
Speriamo che ora qui da noi qualcuno di quelli bravi se lo recinti e poi ce ne parli con parole semplici, così saremo tutti felici.
Infatti è strano che nessuno in Italia ne abbia mai parlato. Bisognerebbe farci un podcast…
Un bel podcast succoso di quindici minuti pieni.
L’importante è che sia privo di divagazioni.
E fatto dalle persone giuste.
Molto interessante, recupero