
Regia – Stefan Avalos, Lance Weller (1998)
Chiudiamo in bellezza la rubrica dedicata al found footage, almeno per ora: la prossima settimana, ridendo e scherzando, siamo già a giugno, e sapete cosa si fa su questo blog da giugno a settembre; io me ne vado e vengo sostituita da Zia Tibia, e quest’anno ho una serie di film, spero, molto interessante da far analizzare alla mia gemella estiva. A settembre, poi, ho deciso di abbattere, dopo quello relativo al found footage, un altro mio storico pregiudizio, quindi, prestate attenzione a quello che succede da queste parti, perché si diranno cose inaudite.
Per quanto riguarda invece il mockumentary, mi piace finire tornando alle origini e, per non dovervi infliggere l’ennesimo articolo su TBWP (in rete ne trovate a bizzeffe), sono andata a riesumare un film che lo precede di un anno, e la leggenda vuole abbia persino ispirato Sanchez e Myrick. Vi svelo subito che non è vero: i due stavano lavorando da anni al progetto della Strega di Blair, e hanno comunque cominciato le riprese del film quando The Last Broadcast ancora non era stato distribuito.
Che Avalos e Weller siano arrivati con un leggero anticipo è una pura coincidenza. Strano è, al contrario, che tutti ricordino TBWP e nessuno abbia mai sentito neanche nominare The Last Broadcast.
Partendo quindi dal presupposto che una buona percentuale di voi non abbia la più pallida idea di ciò di cui sto parlando, dedicherò un po’ più di spazio alla trama rispetto al solito.
In una notte di dicembre del 1995, la trasmissione via cavo Fact or Fiction va in onda per l’ultima volta, in diretta televisiva e, cosa abbastanza rivoluzionaria, in streaming, dai boschi del New Jersey. I due conduttori e autori, Steven Avkast e Locus Wheeler, interpretati dai registi del film, erano partiti alla volta delle zone più remote del New Jersey alla ricerca del famigerato Jersey Devil, una creatura del folclore locale, un mostro dotato di ali e zoccoli e col muso da capra, sul quale, se vi va, potete trovare informazioni un po’ ovunque, ma non ha assolutamente alcuna rilevanza per il film.
Ad accompagnare Avkast e Wheeler ci sono altre due persone, Rein Clabbers e Jim Suerd, rispettivamente tecnico del suono “paranormale” e sedicente medium con l’incarico di “sentire” la presenza del Jersey Devil.
Il giorno dopo la diretta, i corpi di Wheeler e Clabbers vengono ritrovati a poca distanza dal campo base della trasmissione; di Wheeler sembra essere rimasto solo un cappello e parecchio sangue sul terreno, ma il suo cadavere sparisce per sempre.
L’unico superstite, Jim Suerd, viene accusato, condannato in un processo basato su prove circostanziali, e sbattuto in carcere, dove morirà un paio d’anni dopo.
The Last Broadcast è un documentario che tenta di scoprire la verità dietro gli omicidi di Fact or Fiction.
Credo che già leggendo queste poche righe di trama sia chiara una cosa fondamentale: The Last Broadcast e TBWP non si somigliano per niente. La struttura è diversa, la ragion d’essere quasi opposta. Se TBWP usa un linguaggio relativamente nuovo per un racconto del terrore tutto sommato classico e tradizionale, The Last Broadcast usa il racconto del terrore per interrogarsi sul linguaggio e sulle all’epoca avveniristiche tecnologie che permisero la realizzazione del film e della falsa trasmissione interna al film. In altre parole, The Last Broadcast parla di manipolazione dei fatti effettuata tramite la manipolazione delle immagini e di come il nascente fenomeno internet (nel 1995) serva a formare una rotta di collisione che, di fatto, porterà alla morte di due persone, alla scomparsa di una terza e all’ingiusta incarcerazione di una quarta; TBWP manipola direttamente il pubblico con una delle prime, e più aggressive, campagne di marketing virale. Un film mette in pratica la cosa che l’altro disseziona.
Senza nulla togliere a TBWP (un film che adoro e mai mi stanco di rivedere), The Last Broadcast è concettualmente più complesso e stratificato, e forse questo risponde al nostro quesito iniziale, ovvero perché sia caduto nel dimenticatoio. La risposta emotiva a TBWP è immediata e viscerale, mentre per apprezzare The Last Broadcast bisogna rifletterci un pochino su; non è un film che faccia paura nel senso canonico del termine, si limita a generare una certa inquietudine, ma non per la presenza del fantomatico Jersey Devil, che poveraccio è poco più di un espediente narrativo: il vero nucleo del film è la scoperta della verità da parte del documentarista David Leigh, sempre più ossessionato dalla vicenda e deciso a scoprire chi sia stato l’autore reale dei delitti di Fact or Fiction.
Ma poi, è davvero così? È una ricerca della verità o un modo come un altro per avere una storia, uno scoop da raccontare a un pubblico sempre più avido di fatti di sangue? Non è facile da stabilire, se non fino all’ultima decina di minuti, quando il film sgancia la sua bomba in testa agli spettatori e passa dal linguaggio del falso documentario a quello del cinema tradizionale per concludere la sua dissertazione su come le immagini di rado siano in grado di dire la verità, soprattutto se sottoposte a un processo di editing.
Per capire, o tentare di capire cosa i due registi e sceneggiatori ci abbiano voluto dire con il loro esordio, dobbiamo tornare per qualche istante alla trama di The Last Broadcast, o meglio, al contesto in cui il film si svolge, e in particolare, alla trasmissione Fact or Fiction, uno show a basso budget per la tv via cavo, durante il quale i due conduttori analizzano un fenomeno paranormale e ne accertano la veridicità. Avkast e Wheeler non sono, tuttavia, degli antesignani dei debunker, il loro obiettivo non è smascherare i ciarlatani, ma al contrario fare facile sensazionalismo televisivo con medium e paccottiglia varia. Hanno un pubblico che li segue perché sono volutamente kitsch e perché l’intera trasmissione, a livello estetico è spazzatura. Ma un prodotto del genere è per forza di cose di corto respiro e gli ascolti calano. A quel punto ad Avkast viene in mente di aprire un canale di chat in diretta, spalancando la porta di Fact or Fiction a tutti quegli strambi che, ai tempi, popolavano gli albori della rete. Un bel giorno, proprio dalla chat arriva il suggerimento di fare un episodio sul Jersey Devil.
Quello che trovo (e insieme a me l’autore del falso documentario) singolare è che la polizia non indaghi in quella direzione; ma in effetti, la spiegazione è molto semplice: nel 1995 mancano gli strumenti per scavare a fondo in un crimine che, forse, è nato online. Molto più semplice accollare la cosa all’unico superstite, un solitario, psicologicamente fragile, il bersaglio ideale. E qui interviene il primo stadio di manipolazione del materiale video: l’accusa incarica un montatore di fare una selezione tra le diverse ore di materiale girato durante i due giorni in cui i quattro sono stati insieme nei boschi del New Jersey, andando a prendere tutti i pezzi che sottolineano la natura violenta del sospetto.
Al che, il nostro eroico David Leigh si procura tutto il girato originale e ci mostra che, a seconda della scelta dei piani, dei tagli e dei tempi, Jim può apparire una vittima o un colpevole. Il che getta una luce piuttosto sinistra non tanto sul found footage non ancora ufficialmente codificato, ma proprio sul documentario come genere, per non parlare dei documentari true crime, cui The Last Broadcast fa il verso.
Ma non finisce qui: qualcuno spedisce a casa di Leigh i resti rovinatissimi di un nastro, che potrebbero essere ciò che rimane di una cassetta perduta nel mare di riprese effettuate di Avkast e Wheeler. È lì che la verità si annida, nascosta in un fotogramma da restaurare, da riportare indietro dalla morte, in un certo senso.
Come vedete, The Last Broadcast è tutto basato sul concetto di manipolazione, sia essa usata per occultare i fatti o per portarli a galla dopo anni di ricerche infruttuose e la reclusione di un uomo innocente. Inoltre, il finale, per quanto possa essere definito forzato (e lo è) ci svela di essere stati, a nostra volta, manipolati con un’abilità fuori del comune. Le immagini, anzi, il racconto per immagini, sono una faccenda molto potente, sono esplosivi da maneggiare con cura, e se il found footage, come linguaggio preso in blocco, a prescindere anche dalla validità dei singoli film, ci ha insegnato qualcosa nel corso degli anni, è questa: ci piace essere ingannati.
The Last Broadcast riesce a essere un film allo stesso tempo molto datato (tutto il discorso su internet è stato superato a destra nel corso di pochi anni, ma non è di certo colpa degli autori) e molto avanti sui tempi, perché il livello di alterazione e falsificazione dell’immagine ha sì raggiunto dei livelli impensabili alla fine del secolo scorso, ma la sostanza è rimasta pressoché invariata. Il film è un viaggio affascinante, con tutta la sua estetica a bassa risoluzione, in quelli che erano considerati nuovi media, e resta anche come primo esperimento di un cinema che fa a meno delle apparecchiature professionali e utilizza quelle commerciali, alla portata di tutti. In un certo senso, ha cambiato la faccia della storia del film, ed è giusto che qualcuno si ricordi che è esistito. I pionieri vanno sempre celebrati e, accanto alle giuste lodi da tributare a Sanchez e Myrick, è ora di trovare un posticino anche per Avalos e Weller.
Bellissima segnalazione.
Lo recuperai dopo averne letto in un bellissimo speciale sul mockumentary pubblicato da una nota rivista cinematografica (che non mi fa particolare simpatia e che non compro più da vari anni); le aspettative erano alte ma il film mi piacque anche di più di quanto preventivato, tanto che scrissi a caldo:
“Mockumentary in anticipo sui tempi e contemporaneamente assai elaborato e complesso a livello teorico: si presenta come un assemblaggio di filmati di varia provenienza apparentemente per indagare ciò che è realmente successo nei boschi, ma in realtà è soprattutto un’indagine sulla verità delle immagini stesse; in più, propone un’interessante riflessione sul “vampirismo” televisivo che vive della morte altrui. Per questo motivo il finale – che non può non lasciare basiti, e che è stato criticatissimo in giro – ha una sua coerenza con l’assunto e aggiunge ulteriore inquietudine a fine visione.
Nel genere dei mockumentary, un must assoluto.”
Grande curiosità per la versione “Lucia zia Tibia” estiva 😀
Ma infatti il finale, che è forzato narrativamente, da un punto di vista teorico è al contrario coerentissimo. Non è affatto un film facile o immediato, è più un saggio che un racconto vero e proprio, e forse è per questo che non è esploso com TBWP.
Ne avevo sentito parlare ai tempi, ma niente più che questo: il successo di TBWP era stato tale da fagocitare chiunque l’avesse preceduto, e io stesso ammetto di essermene poi dimenticato per parecchi anni (la cosa sarebbe continuata, molto probabilmente, se non gli avessi dedicato il post).
Recupererò… 👍
Io non so perchè (all’epoca sono uno dei pochi che lo vide, The Last Broadcast) pensai in qualche modo che fosse una CONSEGUENZA di The Night Flier. Ad occhio film coetanei. Però ero un 22enne 😀