King al Cinema: Ep 21 – L’Allievo

Regia – Bryan Singer (1998)

Sentite che bella arietta si respira qui stamattina? Deve essere la puzza di letame che comincia, finalmente, a diradarsi un po’; se ci guardiamo alle spalle, escludendo le lodevoli ma sporadiche eccezioni, abbiamo attraversato la fase peggiore delle trasposizioni kinghiane su grande e piccolo schermo. Ne siamo usciti vivi e, anche se le brutture non mancheranno in futuro, possiamo affermare che l’abisso è stato superato con successo.
L’Allievo rientra nel filone molto anni ’90 del thriller di prestigio tratto da quel rozzo bifolco di King, che va ovviamente ingentilito per un pubblico di adulti civilizzati, mica come i suoi Fedeli Lettori.

Singer arriva ad adattare la novella omonima (Apt Pupil, contenuta in Stagioni Diverse) dopo il successo de I Soliti Sospetti. In pratica, può fare quel che preferisce, e sceglie King perché è un suo pallino da diversi anni. Non è neppure la prima volta che il cinema tenta una trasposizione de L’Allievo: ci provano nel Regno Unito, addirittura, ed esistono circa quaranta minuti di girato a testimoniarlo.  Il personaggio di Dussander è stato associato, nel corso degli anni, a gente come Richard Burton e James Mason, ma entrambi sono passati a miglior vita prima che si girasse anche un solo ciak. Il progetto di un Apt Pupil britannico naufraga definitivamente nel 1987 e nel frattempo scadono i diritti sulla novella. Singer, che Stagioni Diverse lo ha letto a 19 anni e sogna di portare sullo schermo Apt Pupil dal momento in cui mette per la prima volta piede su un set, commissiona una sceneggiatura a un amico e la presenta al Re in persona, che approva e gli opziona i diritti per un dollaro. Il regista rifiuta tutta una serie di film molto grossi e molto importanti, tra cui The Truman Show, per dedicarsi a questo suo progetto e, alla fine, la spunta dopo varie peripezie produttive: con un budget di 14 milioni di dollari e un cast niente male, L’Allievo viene realizzato ed è pronto per la presentazione al Festival di Venezia nel settembre del 1998.

Un fallimento critico e commerciale, così è stato definito da più parti L’Allievo. Il pubblico non lo premia, la critica esalta le interpretazioni di Ian McKellen e Brad Renfro, ma nel film riesce a vederci poco altro. In effetti Apt Pupil ha un problema, ovvero quello di non essere abbastanza horror per gli spettatori cui di solito il genere si rivolgeva, e non abbastanza “elevato” per impressionare più di tanto la critica. Dopotutto, erano gli anni ’90 e King ancora non era stato rivalutato, tutt’altro. Singer fa di tutto per ammorbidire i contenuti più scabrosi della novella originale, e forse commette l’errore di edulcorare un po’ troppo il materiale. A mio parere, migliora il finale scritto da King, perché chiude su una nota ambigua e sinistra e lascia che il male proliferi senza essere fermato da un colpo di pistola, ma per il resto si percepisce, lungo l’intera durata del film, una tendenza a trattenersi, a non voler scadere nel triviale, che forse ha danneggiato Apt Pupil più di quanto gli abbia giovato.

Stagioni Diverse è una raccolta anomala se la si confronta con la tipica produzione kinghiana, o almeno lo era nel 1982 e ha continuato a esserlo anche dopo che un romanzo come Dolores Clairbone aveva dimostrato quanto King fosse tranquillamente capace di muoversi anche al di fuori del ristretto ambito dell’horror soprannaturale. L’Allievo è tuttavia una delle sue storie più oscure, è un racconto crudele, che ha come oggetto corruzione e perdita di innocenza. Si distingue da altri racconti e romanzi di King perché qui non si perde l’innocenza attraverso il confronto con i mostri, uscendone adulti, ma la si perde entrando in contatto con una malvagità che ti infetta e ti trasforma in un mostro. È anche una interessante parabola su come il nostro modo di percepire il passato, se attraverso il punto di vista dei carnefici o delle vittime, ci modifichi nel profondo, indirizzi la nostra morale, faccia da guida alle nostre azioni nel presente.
Infine, illustra alla perfezione l’interdipendenza che si viene a stabilire tra due personaggi votati al male, il cui legame morboso e sbagliato non può che portare a generare altro male. Il tutto, tanto per segnalare a oltre metà post l’elefante nella stanza, all’ombra dell’Olocausto.

Il Grande Interesse di Todd, liceale all’ultimo anno delle superiori qui, tredicenne nella novella, è infatti lo sterminio degli ebrei, e non gli pare vero di aver scovato a pochi passi da casa un criminale nazista che si nasconde in California, Arthur Denker, alias Kurt Dussander. Per Todd è poco più di un gioco, all’inizio, per Dussander è una questione di vita e di morte, ma quando viene smascherato non sa che questo ragazzino così sveglio non ha alcuna intenzione di denunciarlo: lui vuole sapere tutto, compresi i dettagli raccapriccianti. E comincia così questa stramba “amicizia” tra un anziano assassino di massa e un ragazzo in un periodo di vita formativo ed estremamente impressionabile. Ma se Dussander è già marcio dentro e rivangare gli anni della sua giovinezza nei campi di concentramento risveglia la sua mostruosità intrinseca, per Todd si tratta di un procedimento diverso: crudeltà, indifferenza al dolore altrui, mancanza di empatia, tutte cose latenti, prendono pian piano il sopravvento sul suo carattere da normalissimo adolescente americano.
La domanda che tutti (credo) si fanno guardando L’Allievo o leggendo la novella da cui è tratto è se Todd possa essere definito “cattivo” o no. In altre parole, è l’incontro con Dussander ad averlo reso tale o era già così e gli serviva soltanto una spinta?

La risposta che ci offre il film non è la stessa che ci offre la novella, e tutta la differenza sta nel modo in cui Todd è inquadrato e messo in scena sin dalle prime sequenze: basta guardarlo mentre contempla beato i suoi memorabilia sul nazismo per rendersi conto che la fascinazione nei confronti del male assoluto è parte della sua natura; le immagini che scorrono in sovrimpressione al suo volto estasiato sono sempre quelle dei carnefici e quasi mai delle vittime. In altre parole, Todd concepisce la storia come pura exploitation, come uno spettacolo di macelleria a suo uso e consumo, e infatti ritiene lo stesso Dussander un cimelio di sua proprietà, al pari dei ritagli di libri e di giornali che tiene nascosti in un baule in camera sua. Non è un “nazista”, Todd (nella novella lo diventa), ma è un personaggio completamente amorale, e lasciare che la faccia franca apre spiragli molto inquietanti sul suo ruolo futuro nella società. Nella novella, la corruzione di Todd procede di pari passo con la perdita della sua sanità mentale. I racconti di Dussander non giustificano la sua visione del mondo priva di un’etica, ma al contrario distruggono tutto ciò che ha imparato in una famiglia amorevole e imbevuta di american way of life. Come vedete, si parte da premesse piuttosto simili per arrivare a conclusioni anche opposte.
Per questo sono convinta che, tutto sommato, Apt Pupil sia una buona trasposizione: abituati ormai alle miniserie tv fotocopia che caratterizzano gli anni ’90, vedere un autore che stravolge un testo per imporre la sua visione è l’equivalente di una boccata d’ossigeno.
Ha i suoi difetti, riassunti in quella timidezza nello sporcarsi le mani che forse è la sua più imperdonabile mancanza. Ma almeno non ho assistito alla strage di gatti presente nella novella, e per questo ringrazierò Singer a vita.

3 commenti

  1. Luca Bardovagni · ·

    Che il ragazzo sia un diamante di waspitudine sia nella novella che nel film è piuttosto significativo.
    Forse perchè l’ho letto pure io per la prima volta più o meno all’età del regista, in un periodo in cui mettevo le mani indifferentemente su ogni King e ogni Bukowski (ah, la cattiva letteratura! Perchè non ci sono più quelle prof. che ti rimproverano di leggerli!) mi ha sempre riportato alla mente una frase del Buk “Se Hitler fosse vivo sarebbe molto soddisfatto della situazione attuale”.
    C’è tanta critica sociale tagliata con l’accetta, alla sua maniera, pure, nel romanzo di King.
    Come hai colto tu, Todd è “marcio” dall’inizio nel film.
    Se vogliamo (ance se qui pare che non si sia incazzato) è lo stesso “problema” di Shining : lì una storia di redenzione del ben poco redimibile Jack Torrance (“ho spaccato il braccio al bimbo, ma alla fine do fuoco all’albergo, vabbene, tuttappost”). Qui una discesa nell’abisso che nella pellicola non c’è. Fin dall’inizio Ragazzo e Nazi sono due abissi che si specchiano.
    L’altro aspetto che al solito cogli , da parte del regista è “non mettiamoci troppe porcherie del libro che io sono un regista serio”.
    In sintesi, una bella parabola sul Male.Tagliata un po’ con l’accetta anche su schermo ( Il Nastro Bainco è un’altra cosa…) ma in fondo ben fatta.
    Questa via di mezzo tra il regista ridotto in schiavitù da King (o auto-schiavizzati, SI’ PARLO CON TE; GARRIS!) e la prova d’Autore “originale, me ne sbatto” non dispiace.
    Per Mike nostro dovremo aspettare altri 20 anni…

  2. Anche io l’ho trovata una buona trasposizione e come film mi è piaciuto.
    Credo che Todd ha fatto un buon lavoro, alla fine.

  3. Giuseppe · ·

    Sì, Apt Pupil è una buona trasposizione nella misura in cui adatta il testo originale di King tanto da trarne qualcosa di diversamente inquietante (vedi appunto il personaggio di Todd, che qui non ha alcun bisogno di abbracciare il nazismo per imparare quell’amoralità che è già cosa sua fin dall’inizio)… certo, se solo avesse osato qualcosa di più ci saremmo trovati di fronte a un autentico capolavoro.

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