Wrong Turn

Regia – Mike P. Nelson (2021)

Io credo ci si debba mettere un istante d’accordo su cosa vogliamo veramente dal reboot di una saga. Nel caso specifico di Wrong Turn parliamo poi di una serie di film virtualmente defunta al secondo capitolo, perché i film successivi sono spazzatura DTV di cui suppongo si vergogni chiunque vi abbia preso parte, e se non si vergognano, hanno qualcosa che non va nel cervello. Per quanto mi riguarda, sono legatissima al primo film, e ritengo il secondo un divertente spettacolo di pura macelleria. La si poteva finire lì, ma si è andati avanti (correggetemi se sbaglio) fino al sesto film con crescente imbarazzo.
Ora, torniamo alla domanda iniziale: cosa vogliamo da un reboot? Che replichi in maniera identica le dinamiche del film originale o che cerchi di inventarsi qualcosa di nuovo? Nessuna risposta è giusta, sia chiaro. E tuttavia, la strada più complicata da percorrere è la seconda, ed è quella scelta da Nelson, già regista dell’ottimo The Domestics.

Il nuovo Wrong Turn, più che un survival con la famiglia di cannibali frutto di anni e anni di inbreeding, è un folk horror; parte dalle stesse premesse di quasi tutti i suoi predecessori, ovvero c’è il solito gruppo di giovinastri (qui più sulla soglia della trentina che adolescenti) che commettono il tragico errore di prendere la direzione sbagliata nei boschi della Virginia e si ritrovano ad avere a che fare con qualcuno di estremamente ostile. Ma le somiglianze finiscono qui e cominciano tutt’altra storia e tutt’altra situazione. È una scelta che può non piacere, però serve anche a rendere la visione un po’ meno prevedibile di quanto sarebbe se si fosse lasciata intatta la struttura dai film precedenti. Insomma, sappiamo tutti cosa succede in un Wrong Turn. Anzi, sappiamo tutti cosa succede dai tempi di Non Aprite quella Porta, di cui Wrong Turn era una sorta di pseudo-remake non dichiarato.
Altro discorso è come il cambiamento viene gestito, e qui qualcosina da dire ce l’ho.

Prima di tutto, Wrong Turn 2021 è troppo lungo, ha almeno un paio di finali diversi e, a un certo punto comincia a trascinarsi in un’eterna e agonizzante ripetizione di cose già dette, viste e sentite. Non so se questo sia ascrivibile a una post-produzione a marce forzate, ma pare quasi di vedere un primo montato ancora da asciugare, se capite cosa intendo. Più che un film compiuto, è la sua bozza: togliendo una ventina di minuti dalle quasi due ore di durata, filerebbe come un proiettile, ma è anche vero che Wrong Turn è un film molto ambizioso, cosa a mio avviso sempre da premiare, a prescindere dai risultati, e tenersi sulla canonica ora e mezza di uno slasher deve essere sembrato troppo poco per reggere tutta l’impalcatura messa in piedi dallo sceneggiatore, lo stesso del primo capitolo, tra l’altro.
                                                       SEGUONO ORA ABBONDANTI SPOILER

I nostri campeggiatori sprovveduti non incontrano, infatti, una famiglia di bifolchi mutanti, o quel che sono gli Odets, antagonisti di ogni film dal primo al sesto. Lì sugli Appalachi vive infatti un’intera società alternativa alla nostra, i discendenti di un gruppo di persone che, poco prima dello scoppio della Guerra Civile, aveva deciso di ritirarsi nei boschi onde evitare di farsi coinvolgere dai secessionisti. La Fondazione, così si chiamano questi cavernicoli, è rimasta dunque per un secolo e mezzo e passa nascosta tra le montagne, evitando qualsiasi contaminazione con la modernità e le sue diavolerie. La gente vive di caccia e agricoltura, è temuta dagli abitanti delle piccole città nei dintorni, tendenzialmente se ne sta per fatti suoi, salvo ogni tanto (anzi, ogni spesso) far sparire nel nulla qualche turista.

Gli sprovveduti di cui sopra, niente affatto caratterizzati tranne la final girl (Charlotte Vega) e il di lei fidanzato, si vedono arrivare questi energumeni mascherati con dei teschi di mucca e, giustamente, non la prendono benissimo: accoppano a bastonate uno di loro e poi se la danno a gambe, ma da sprovveduti quali sono, vengono immediatamente acciuffati e messi a processo davanti a una corte composta da loschi figuri impellicciati che parlano una stramba lingua dai suoni gutturali.
Il resto dovrebbe essere scontato, ma invece non lo è, e qui c’è il secondo twist del film, nonché l’unico davvero efficace: i superstiti del gruppo di sprovveduti, ridotti a due unità. per aver salva la vita decidono di unirsi alla Fondazione e di vivere secondo le sue regole e il suo stile di vita.

È evidente che l’ambizione del film è quella di mettere due modelli di società a confronto: la nostra, che passa per moderna e progressista, e quella della Fondazione, all’apparenza barbarica e draconiana. In realtà, i membri della Fondazione vivono secondo natura, sono composti da persone di ogni razza e condividono tutti i beni materiali. Un’utopia, sulla carta, quell’utopia che il fidanzato (un ragazzo di colore in vacanza in Virginia con una ragazza bianca) della final girl sogna da sempre. Il problema è il prezzo che si paga per ottenerla, l’utopia. E c’è anche da considerare che tanto miti e pacifici, questi sostenitori della decrescita felice, non sono; è vero che i nostri campeggiatori, in un certo senso, aggrediscono per primi, ma qualcuno ha pur fatto sparire i loro cellulari, rendendo di fatto impossibile orientarsi nei boschi o chiamare aiuto. Il che può essere considerato un “buco” nella sceneggiatura oppure un voler aggiungere un ulteriore elemento di ambiguità. L’idea non è affatto nuova: il primo Craven, quello degli anni ’70, sul contrasto tra tipi diversi di famiglie ci ha costruito due film sopra, con allegata satira efficacissima della famiglia americana media. Solo che questo Wrong Turn non ha la chiarezza concettuale che aveva Wes Craven, e pasticcia un bel po’ con i personaggi, le loro motivazioni, il rapporto tra civiltà e barbarie e tutti temi complessi che maneggia con la grazia di un caterpillar.

Riuscita, al contrario, è la trasformazione di una giovane donna guidata da un preciso codice morale (che ci viene spiegato poi a ogni occasione, quindi finisce per venirci a noia) in una belva disposta a tutto per sopravvivere. Ma pure qui, si spalanca una voragine etica di dimensioni abnormi su come viene gestito (male) il trauma, perché poi si finisce sempre a recitare il solito vecchio adagio: da un mesetto di violenze e abusi di varia natura si esce fortificati e anche discretamente fighi.
C’è poi il problema del finale, che è forse la cosa più bella del film, e parlo proprio di una lunghissima inquadratura su cui scorrono i titoli di coda, ma per arrivarci è richiesto allo spettatore di sospendere l’incredulità come mai in tutta la sua vita, e credetemi, è uno sforzo considerevole.
Ci sarebbero ancora tante cose da dire su questo nuovo Wrong Turn: è girato molto bene, non lesina in gore e turpitudini, come del resto i suoi illustri predecessori, e fa anche un ottimo uso dell’ambientazione, considerando anche che gran parte delle nefandezze avvengono alla luce del sole.
Non è un brutto film, ma neppure si può dire che sia riuscito. A dire che si tratta del miglior Wrong Turn dai tempi del secondo non gli si fa un gran servizio perché ci vuole poco, e tuttavia è vero.
Per alcuni non sarà Wrong Turn, per la sottoscritta è una variazione sul tema, a volte capace di suonarlo molto bene, altre con stonature da spaccare i timpani, ma mi sento lo stesso di premiare il tentativo. Anche perché, scrivendone mi è pure venuta voglia di rivederlo.
Però, Mike, mannaggia la miseria, quei venti minuti avresti dovuto tagliarli.

8 commenti

  1. Mi ritrovo più o meno in tutta la recensione.
    Sullo scontro di società è dove ho storto di più il naso, e cioè (SPOILER) un conto è mettere a confronto due modelli, banalmente entrambi con pro e contro; altra cosa – e più volte mi è sembrato che il film tenda a farlo – è presentarmi uno dei due modelli come il più giusto, nonché vittima dell’altro.
    In questo caso il più giusto – secondo il film, in alcuni momenti, in altri sembra tornare imparziale – sarebbe La fondazione; il che fa ridere, visto che avranno pure loro le leggine, ma rimangono barbari bifolchi ipocriti che sanno di non essere autosostenibili.
    Questa è proprio la poca chiarezza concettuale della quale parli (riferibile anche alla trasformazione della protagonista).

    Insomma, ho apprezzato questa concezione di reboot (e stranamente ho letto critiche proprio sulla questione, forse volevano Wrong Turn 7?).
    Però che peccato.

    1. Infatti il problema del film è proprio questo non sapere bene dove andare a parare. Ha intenti nobili e ci prova ad affrontare temi complessi, ma poi pare arrivare a tanto così dallo schierarsi apertamente, per poi ritirarsi all’ultimo istante, non credo per mancanza di coraggio, ma perché la sceneggiatura per prima non sa di cosa sta parlando.
      Io insisto col dire che già tagliando 20 minuti si facevano molti meno danni anche da questo punto di vista. 

  2. Jason13 · ·

    L’idea di un reboot a soli 18 anni dall’originale non mi alletta. Però leggendo la tua recensione, mi sembra di aver capito che il nuovo Wrong Turn abbia qualche carta da giocare…

  3. Blissard · ·

    Io non sono particolarmente affezionato al primo Wrong Turn, anzi l’ho rivisto qualche tempo fa e mi è sembrato proprio un filmetto, piacevole ma filmetto, quindi non ho problemi ad affermare che questo remake mi piace più di qualsiasi altra cosa targata “Wrong Turn”, primo incluso.
    Poi sì, ha degli obiettivi problemi strutturali e ad un certo punto diventa pure un po’ ripetitivo, ma ho un debole per quei film che presentano due tipi di società diversissime e danno abbastanza elementi per fare capire che i problemi esistono in entrambe le tipologie (tu giustamente citi Craven, il cui Le Colline hanno gli occhi ha però uno scopo diverso, ovvero fare capire come non ci sia poi tutta questa differenza “morale” tra i civilizzati e i mostruosi mutanti, cosa sulla quale il remake di Aja ha pavidamente glissato).
    Il remake di Nelson mi ha sorpreso, intrattenuto e mi è sembrato (ma qui l’esperta sei tu) girato piuttosto bene: non mi aspettavo niente e invece mi è piaciuto.
    (Ps. a proposito di film recenti di cui in giro si parla malissimo e invece meritano, ti consiglio The Empty Man… egoisticamente non vedo l’ora di conoscere il tuo parere).

    1. Ma abbiamo lo stesso debole. Poi ha una componente folk da non sottovalutare.
      Al contrario di Craven, qui le differenze vengono anche sottolineate troppo spesso e, secondo me, il discorso perde un po’ di efficacia. Quella roba dei cellulari sembra una stupidaggine, ma sotto sotto non lo è per niente, perché implica una premeditazione da parte della Fondazione, e se è stato tutto premeditato, cambia interamente la struttura del film.
      The Empty Man è in rampa di lancio per il fine settimana 🙂

  4. Giuseppe · ·

    Pur con i suoi limiti, questo nuovo Wrong Turn qualche freccia al suo arco in effetti ce l’ha eccome… tra le altre cose, oltre all’influenza di Craven, se consideriamo la presenza di un modello sociale chiuso verso l’esterno allora Nelson potrebbe essersi (in parte) rifatto anche al Shyamalan di The Village, virandolo in versione gore, bifolca e barbarica.

    1. Sì, c’è qualcosa di The Village, però secondo me Shyamalan era stato più intelligente e meno contraddittorio.

  5. qualcosa del recente Midsommar puo esserci?

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