Regia – Christopher Landon (2020)
Landon è il regista horror queer di cui non sapevamo di avere tutti un disperato bisogno, ma adesso che c’è, non ne potremo mai più fare a meno. E, ovviamente, appartiene a Jason Blum. Al che voi potreste anche obiettare che horror non è poi la categoria più adatta in cui inserire i due Happy Death Day, soprattutto il secondo, che infatti qui non è stato recensito perché è una commedia fantascientifica (comunque è un film delizioso); e però Landon non ha cominciato la sua carriera con la versione slasher de Il Giorno della Marmotta. In verità, Jason Blum lo tiene in scuderia dai tempi di Paranormal Activity, di cui Landon è sceneggiatore dei capitoli dal 2 al 4, e ha diretto quella specie di spin-off della saga, uscito nel 2014, The Marked Ones. È anche uno a cui piace lo splatter, come si evince dalla sua terza regia, ovvero Manuale Scout per l’Apocalisse Zombie. Quindi bazzica nel genere da un sacco di tempo, e solo adesso è assurto al rango di piccolo fenomeno, perché ha imbroccato la formula: prendere una commedia famosa e rifarla come se fosse un film dell’orrore. Freaky è infatti Freaky Friday, un film del 1976 poi riportato sullo schermo una quantità imprecisata di volte, la più famosa delle quali risale al 2003, con Jamie Lee Curtis e Lindsay Loahn.
Nel ’76 (e nel ’95, e nel 2003, e nel 2018), una mamma e una figlia si ritrovavano col corpo scambiato, qui tocca invece a un feroce serial killer (Vince Vaughn) e a una liceale timida e bullizzata, ma il concetto è identico, come potete notare anche dal titolo che non è affatto messo lì a caso. E infatti, lo scambio avviene proprio di venerdì, solo che non un venerdì qualunque, ma venerdì XIII, perché Freaky, esattamente come Happy Death Day, è uno slasher, un teen slasher per la precisione. E violentissimo, tanto da essersi meritato una bella R che, devo dire, ci sta tutta, forse anche qualcosina in più.
Io per prima, abituata alla leggerezza di un Happy Death Day, ci sono rimasta di sasso quando, dopo pochi minuti di introduzione, arriva il primo omicidio ed è non soltanto di un efferatezza fuori dal comune, ma pure parecchio creativo, mostrato tutto in campo con dovizia di particolari.
E poi peggiora, o migliora, a seconda dei punti di vista.
Ciò non toglie che Freaky sia soprattutto una commedia, e che del particolare filone cui appartiene, quello dello scambio di corpi, rispetti religiosamente tutte le tappe; ed è pure una commedia sottilmente queer, un po’ come lo potevano essere il film, fatte le debite proporzioni, di James Whale negli anni ’30, un po’ come lo sono stati negli anni ’90 i film di Don Mancini con Chucky, tanto per capirci, quando ha preso in mano il timone della saga e si è dato al camp spinto. C’è, credo, un filo diretto che lega questi tre personaggi, Whale, Mancini, Landon: il fatto di operare tutti e tre all’interno di un genere, l’horror, che ha una storia difficile dal punto di vista della rappresentazione di personaggi omosessuali e, allo stesso tempo, è stato il rifugio per molti spettatori appartenenti alla comunità LGBTQ.
La differenza tra Landon e i suoi colleghi è che lui può permettersi di giocare a carte scoperte.
È un film con gli stessi pregi di Happy Death Day: un gran ritmo, ottimi attori, regia e montaggio estremamente dinamici e un’atmosfera di gran divertimento generale, da cui risulta evidente che sul set devono essersi ammazzati dalle risate ogni giorno di riprese. Freaky è fresco, ispira simpatia dalla prima all’ultima inquadratura, è comodo e confortevole come il divano su cui siamo stati tutti obbligati a guardarlo, e funziona meglio di un antidepressivo. Vaughn dimostra per l’ennesima volta di essere un interprete gigantesco, troppo spesso sottovalutato, sempre relegato in ruoli marginali, ma capace di dare tutto e adattarsi a ogni tipo di film. Dal canto suo, la giovane Kathryn Newton (che con Landon ha già lavorato in Paranormal Activity) è un’altra bella sorpresa, e possiede uno di quei volti di cui la macchina da presa sembra innamorarsi, sia in versione ragazzina timida sia quando fa la psicopatica assassina. Considerando poi che la maggior parte degli omicidi è sulle sue spalle, funziona molto bene come killer, maneggia alla grande il coltello e la sega elettrica, e ci regala un momento di alta classe gore con la complicità di un laboratorio scolastico di educazione tecnica.
Ovvio che il cinema indipendente ha fatto di meglio, anche di recente, ma non bisogna sottovalutare l’impatto che un film di questo tipo può avere su un pubblico molto ampio. Fosse uscito in tempi normali, Freaky avrebbe sfracellato gli incassi, e io lo avrei visto in un cinema ricolmo di ragazzini urlanti. Come i suoi predecessori firmati sempre da Landon è un film generazionale, ma diversamente da molte opere rivolte a una fascia di pubblica analoga, riesce a parlare un linguaggio più universale e, invece di prendere di petto certe questioni politiche e sociali, lo fa in maniera trasversale, ma non per questo meno incisiva. E c’è la sequenza di un bacio che, a parere della vostra affezionatissima, è coraggiosissima e riesce a infrangere una quindicina di tabù e convenzioni, col sorriso sulle labbra e nello spazio di due inquadrature.
Freaky è un’operazione intellettualmente molto più raffinata di quanto voglia far credere; è quasi un film teorico, quando si va a guardare al modo in cui utilizza ogni cliché dello slasher per poi rivoltarlo contro le aspettative del pubblico; contiene sì una miriade di citazioni, da Silent Night Deadly Night a Jason X, ma le devia, le rovescia, compie sul genere un discorso non di destrutturazione alla Craven, e neanche di distacco ironico alla post Scream, ma di reintegrazione all’interno della commedia, come se ormai slasher e comedy fossero la stessa cosa, due facce di un identico modo di narrare: dopotutto condividono gli stessi personaggi e hanno un andamento molto simile, giocano sugli stessi stereotipi e, dopo l’operazione Freaky, sono francamente indistinguibili.
Mi piacerebbe, ora, vedere Landon alle prese con un progetto originale, e non con una rivisitazione di un vecchio classico adattato all’horror. Vorrei capire se è in grado di dire qualcosa di suo al di fuori di un contesto già noto e se è in grado di prendersi dei rischi, perché, se ne fosse capace, saremmo in presenza di un nome molto importante.
Intanto, e aggiungerei come al solito, Jason Blum ne ha azzeccata un’altra. Lunga vita a lui e alla Blumhouse.