The Mortuary Collection

Regia – Ryan Spindell (2019)

Nei miei affannosi recuperi della miriade di horror in uscita nel mese di ottobre, cerco soprattutto materiale da pillole, perché ve ne ho promessa una seconda edizione (spoiler: ce la faccio), e quindi scavo nel sottobosco delle produzioni indie e divoro film anche mediocri. Poi succede che mi imbatto nella perla, nel gioiello, nell’opera destinata a ritagliarsi il suo posticino nei classici riepiloghi di fine anno; succede che mi imbatto in The Mortuary Collection, e la gioia per averlo scovato è incontenibile, e non posso non condividerla con voi, perché l’esordio nel lungometraggio di Ryan Spindell è come un delizioso banchetto carico di leccornie per noi appassionati: è studiato, pensato, realizzato con tonnellate di amore soltanto per noi.

Negli ultimi anni, di antologie ne sono uscite molte, e di solito seguivano la formula “a ogni regista il suo segmento”, che può funzionare e ha funzionato, altrimenti non avremmo sul blog decine di post dedicati ai film antologici. Inoltre, è una formula utile a dare spazio ai nuovi registi talentuosi che possono vedere il proprio nome in un lungometraggio, senza tuttavia sobbarcarsi spese e impegni che un lungometraggio richiede. E tuttavia, ciò che manca alle antologie contemporanee è proprio la coerenza stilistica: alla fine sono degli showreel, alcuni molto buoni, altri meno, ma pur sempre di materiale promozionale si tratta.
Ora, se considerate quali sono i migliori film horror a episodi dai portmanteau della Amicus a oggi, vi renderete conto che spesso hanno un elemento in comune: il regista è uno solo. Da Tales from the Crypt, passando per Creepshow, fino ad arrivare al classico moderno di Halloween per eccellenza, ovvero Trick’r Treat, al timone ci sono i vari Francis, Romero, Dougherty. Se vogliamo, possiamo andare ancora più indietro nel tempo, con i vari Corman, Bava, il giapponese Kobayashi di Kwaidan. Ecco, ora si aggiunge anche Spindell, che ha realizzato il perfetto erede di quella tradizione.

The Mortuary Collection racconta del becchino Montgomery Dark (Clancy Brown) che gestisce un’impresa di onoranze funebri nella città immaginaria di Raven’s End. Un giorno, subito dopo il funerale di un bambino, una giovane donna di nome Sam si presenta alla sua porta dicendo di aver letto il cartello “Cercasi aiuto” affisso all’esterno. Dark acconsente a farle un colloquio e un tour della casa in cui viene svolto il lavoro e, nel mentre, le racconta le storie di alcuni “clienti” presenti e passati, perché ogni cadavere ha una sua storia e noi non siamo altro che le nostre storie. In questo caso specifico, la storia della nostra morte.
Come vedete da questa brevissima bozza di trama, The Mortuary Collection ha una struttura abbastanza simile, sulla carta, ai vecchi film della Amicus: c’è un anfitrione, sinistro quanto basta, che fa anche da narratore, e c’è qualcuno che ascolta le sue storie e fa quindi funzione di pubblico in sala, ovvero Sam, ovvero noi che guardiamo.
Ma poi, a ben guardare, la fluidità con cui le varie storie si intersecano alla cosiddetta cornice e, almeno in un caso, si sovrappongono a essa, ricorda molto Trick’r Treat, dove la formula dell’antologico classico si imbastardisce con una narrazione che non opera una vera e propria separazione tra i vari segmenti che la compongono.

Tra una storia e l’altra, Sam infatti commenta l’efficacia di quanto appena visto, fa osservazioni e appunti, fino a sobbarcarsi infine il ruolo di narratrice, rubandolo al signor Dark e rivelando il senso ultimo di tutto quel raccontare.
Se le vicende di Dark seguono lo schema alla Creepshow che potrebbe essere sintetizzato in “nessuna cattiva azione resterà impunita”, e quindi propongono protagonisti peccatori che ricevono la giusta dose di contrappasso, quando è il turno di Sam, ecco che la prospettiva della storia cambia e si rovescia e l’ultimo segmento prima della conclusione è incentrato su un cattivo che riesce a farla franca.
Questo perché Spindell il genere lo conosce molto bene, ne ha assimilato i meccanismi e il suo The Mortuary Collection sta in bilico tra innovazione e tradizione, rispetta quanto costruito dai suoi predecessori in un ambito molto codificato e ristretto com’è quello dell’horror antologico, ma allo stesso tempo, si propone anche come un’esperienza nuova, qualcosa di unico all’interno di un panorama che, dopo la relativa fioritura degli ultimi sette o otto anni, stava iniziando a perdere colpi.

E volete sapere una cosa? Ci riesce perfettamente: credo nel futuro prossimo, ogni volta che qualcuno vorrà cimentarsi in un horror a episodi, avrà in The Mortuary Collection un punto di riferimento importante cui guardare, un modello da eguagliare e superare.
Perché il miracolo compiuto da Spindell in questo suo primo (ribadisco: primo) lungometraggio è l’aver azzeccato il tono con una naturalezza che ad altri registi ci vogliono due o tre film per trovare. The Mortuary Collection non è una horror comedy, ma possiede una forte carica ironica, non è affatto un’operazione metacinematografica, ma si diletta a sfondare la quarta parete più volte, anche se lo fa in modo molto sottile e quasi invisibile, non è particolarmente gore, tanto che lo potreste anche far vedere a un ragazzino sui 12-13 anni, ma quando decide di picchiare duro da quel punto di vista, lo fa senza un minimo di reticenza o vergogna. Passa con disinvoltura da episodi brevissimi e con un’atmosfera quasi da barzelletta macabra (il primo) a drammi cupi e dolorosi come il terzo segmento, e il tutto senza avvertire alcuna cesura o cambio improvviso di registro.

E il motivo è che il tono generale rimane estremamente coeso dall’inizio alla fine: c’è una forte continuità fotografica che lega episodi e cornice e, anche se ogni storia si svolge in un decennio differente a partire dagli anni ’50, e la cornice è situata negli anni ’80, Spindell non sta lì a rimarcare l’ambientazione d’epoca, ma preferisce far galleggiare tutti gli episodi nella stessa bolla atemporale e fiabesca di quello che li racchiude, cogliendo appieno l’essenza del racconto breve macabro, ovvero il suo essere un apologo universale, non localizzato geograficamente e rappresentabile in ogni momento della storia dell’umanità.
La messa in scena è suntuosa e ricchissima, nonostante si tratti di un film indipendente e a basso costo, che ha richiesto anni e anni di lavoro per vedere la luce, e questo dice tanto anche sul gusto estetico di Spindell, raffinato e colto, come solo i profondi conoscitori dell’horror sanno essere.
The Mortuary Collection è il film di Halloween per eccellenza, un nuovo classico pronto per allietare la vostra notte delle streghe. Guardatelo, studiatelo, amatelo, perché si merita di essere conosciuto da un pubblico enorme.
Lunga vita al mio eroe Ryan Spindell!

10 commenti

  1. valeria · ·

    che bella recensione! *___* lo cerco immediatamente; non lo conoscevo ma sembra proprio un piccolo gioiello 😀

    1. Ma grazie! Lo è, te lo assicuro. È la sorpresa del 2020.

  2. Luca Bardovagni · ·

    Andando “a pesca” si trova? E’ il tipo di roba che mi manda in sollucchero.

    1. Si trova solo andando a pesca, purtroppo!

  3. Blissard · ·

    Mi segno anche questo… uff, questo ottobre c’è da rimanere sommersi di roba…
    Grazie Lucia, anche per la part 2 delle pillole

    1. Io sto annaspando con tutte le nuove uscite, ma credo di avercela più o meno fatta a coprire tutte le più importanti. Ottobre è sempre un mese di super lavoro per noi appassionati 😀

  4. Maria Alessandra Cavisi · ·

    Che bei tempi quelli della Amicus e ben vengano opere che richiamano ancora oggi quelle atmosfere! Non sto riuscendo a stare dietro proprio a tutto ultimamente, ma tra le varie cose da recuperare che ho scoperto anche grazie al tuo blog, questa è una di quelle che metterò sicuramente in cima alla lista.

    1. E fai bene, perché è perfetto per Halloween!

  5. Adesso so cosa averermi ad Halloween! Grazie Lucia! 😉

  6. Giuseppe · ·

    Clancy Brown mi sembra proprio un becchino perfetto per questo portmanteau aggiornato, che andrò immantinente a pescare pure io 😉
    Qui, poi, personalmente mi scatta una lacrimuccia: già da quando ho visto in giro le prime immagini del film, infatti, non ho potuto non rivedere in Clancy almeno un po’ del nostro amato e compianto Angus “Tall Man” Scrimm…

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