WiHM 2020: Them that Follow

Regia – Brittany Poulton, Dan Madison Savage (2019)

È di nuovo quel periodo dell’anno, sapete voi quale, e devo ammettere che per il Women in Horror Month 2020 non ero del tutto convinta di voler fare qualcosa di particolare, innanzitutto perché qui ogni mese dell’anno è il Women in Horror Month, e poi perché non riuscivo a trovare film di cui parlare, cosa che potrebbe essere interpretata in maniera ambivalente, quindi mi spiego: nel 2019 ho recensito circa una quindicina di horror diretti da donne, stabilendo un vero e proprio record per questo blog, record che conto di battere nel 2020, e per questo motivo, arrivata a febbraio mi sono ritrovata un po’ sguarnita di titoli. Purtroppo, a causa di casini di natura personale, non sono riuscita a vedere The Lodge al cinema (è durato meno di una settimana, distribuzione di merda), che sarebbe stato perfetto per la rassegna di febbraio, mentre alcuni tra gli horror più attesi e promettenti che vedono donne dietro la MdP ancora devono uscire. L’inizio dell’anno è sempre un momento problematico per il cinema dell’orrore, quindi si punta sui recuperi, su quello che ci è sfuggito nel corso dei dodici mesi precedenti, che nonostante la buona volontà, è sempre una montagna di roba.
E, parlando di roba sfuggita, Them that Follow mi era proprio passato sotto al naso, ma non solo a me, a tutti quanti. Sfido chiunque a dirmi che ne aveva sentito parlare. Strana faccenda, considerando il cast coinvolto: Olivia Colman, Walton Goggins, la giovanissima e super lanciata Kaitlyn Dever, e una protagonista che, seppur non troppo nota al pubblico generalista, è in gamba e degna di enorme stima, Alice Englert.
Dato che perderselo sarebbe un peccato, ho pensato di aprire il WiHM 2020 con Them that Follow, nonostante sia soltanto co-diretto e co-sceneggiato da Brittany Poulton, e nonostante la definizione di horror gli stia un po’ stretta, perché siamo più dalle parti del southern gothic, o per essere ancora più precisi, in quei territori cinematografici occupati da bifolchi fanatici religiosi.

Siamo in Appalachia, in una piccola e isolatissima comunità di pentecostali che, tra i loro svariati riti religiosi, hanno anche quello di maneggiare serpenti velenosi come prova della loro vicinanza a Dio. Questa pratica è considerata illegale in quasi tutta la regione dell’Appalachia (West Virginia escluso); in alcuni stati si va addirittura in galera, in altri ce la si cava come una multa. Questo per offrirvi un minimo di contesto, perché credo sia importante per valutare il senso di accerchiamento, esclusione e anche rivalsa provato da molti dei personaggi di questo film. Ricordo poi che, per tutta la durata di Them that Follow non usciremo mai dal villaggio dove vivono i protagonisti e il punto di vista sarà sempre interno alla comunità, il che rappresenta una scelta abbastanza singolare; insomma, siamo più vicini a Winter’s Bone (sempre diretto da una donna) che a Deliverance, e l’elemento gotico è qui molto più accentuato, data la presenza di quelle creature dal vago richiamo soprannaturale che sono i serpenti, e dato il loro ruolo nell’economia della storia.

La nostra protagonista è Mara, figlia del pastore della chiesa pentecostale e guida spirituale della comunità interpretato da Goggins; Mara è promessa a un ragazzotto molto vicino al padre e alla chiesa, ma è innamorata (e incinta) di un altro, che non può sposare perché ha abbandonato la fede. Al centro del discorso non c’è la ribellione di Mara ai precetti in cui comunque lei crede, anche con una certa convinzione, ma il suo dilemma morale. Per questo si tratta di un personaggio spigoloso e complesso, come spigoloso e complesso è lo sguardo dei due registi su questo mondo che pare essere rimasto incastrato in una bolla fuori dal tempo.
Credo che il pregio principale di Them that Follows sia proprio questo sguardo problematico, che evita come la peste di fare della exploitation dei bifolchi, senza tuttavia voler nascondere o minimizzare le loro peggiori aberrazioni (e ce ne sono tante).

Per l’intera durata del film saremo quindi costretti a vivere la vita di queste persone e a cercare di capire alcune delle loro scelte. E no, non è affatto una giustificazione del fanatismo o del bigottismo, ma al contrario, un tentativo di guardare a determinate realtà da una prospettiva differente. Per esempio, credo sia la prima volta in cui mi capita di sentire, in un film con un’ambientazione di questo tipo, le parole: “Lui non è come noi” pronunciate con un significato di salvezza e non di morte. E, se ci riflettete, è un concetto abbastanza dirompente, che rischia di passare inosservato anche nel flusso di informazioni presenti nell’arco dei 90 minuti di durata e spicci, ma che rappresenta il vero cuore di un’opera come Them that Follow.
Ora, la magagna sta proprio qui: il distacco e la freddezza con cui la regia si approccia alla materia, forse dettati dalla paura di poter ferire la sensibilità di qualcuno, con tutte le buone intenzioni del mondo, è quasi respingente. Può darsi sia una scelta, come può darsi sia una conseguenza; sta di fatto che è il principale difetto del film e, con ogni probabilità, il motivo per cui la critica non lo ha accolto troppo bene ed è rimasto invisibile agli occhi del grande pubblico, nonostante i nomi importanti coinvolti.

Questo non significa che sia un brutto film, anzi: è innanzitutto estremamente competente a livello estetico in tutti i reparti. Poulton e Savage scelgono un linguaggio ben preciso e vi aderiscono con ferrea coerenza per tutto il film: luce naturale e macchina a mano (ma tranquilli, niente tremarella, parola d’onore) con brevi aperture ai codici di genere nelle sequenze che coinvolgono i nostri amati rettili. E ce ne saranno alcune che vi faranno rannicchiare sulla poltrona in preda al panico, ve lo assicuro, a prescindere da quanto i serpenti possano farvi paura, perché sono messe in scena con un’energia e una ferocia quasi tribali e con uno sguardo meno distaccato, più partecipe, quasi erotico. In queste sequenze, si avverte l’eco lontana di un elemento soprannaturale, quasi una forza (né malvagia né benevola) che vive tra quelle montagne e si incarna negli animali. Non Dio, o almeno non il dio del pastore padre di Mara, un’entità più misteriosa, più potente, addirittura più antica.

Viene fuori l’anima gotica di Them that Follow, pur all’interno di una cornice che vuole attenersi a un realismo di stampo documentaristico, come fosse un passeggero oscuro che il film si porta dietro e filtrasse tra un fotogramma e l’altro. Sarà anche a causa dell’interpretazione molto fisica di Englert e del rapporto viscerale che questi personaggi hanno col divino, ma se tutto il film avesse tenuto questa intensità emotiva, staremmo parlando di un piccolo capolavoro, e non di un buon prodotto riuscito solo fino a un certo punto.
Per il resto, Olivia Colman è, al solito, straordinaria, qui nel ruolo inedito della matriarca della comunità, sempre in bilico tra benevolenza e fanatismo; com’è ovvio, si divora ogni scena in cui è presente e restituisce al suo personaggio un’umanità che probabilmente mancava in sede di scrittura.
I panorami delle montagne schiacciano e imprigionano gli individui e ciò che trasmettono i campi lunghissimi è un senso di solitudine profonda e di assenza.
Them that Follow è un buon modo per cominciare ad affacciarsi su un mondo sconosciuto, e un ennesimo tassello di quella filmografia che cerca di ritrarre le sacche di resistenza alla civiltà di cui gli Stati Uniti sono pieni.

4 commenti

  1. valeria · ·

    ho visto la locandina e ho pensato subito: ‘ecco che film era!’ pensa, l’avevo adocchiato mesi fa ma poi mi ė passato completamente di mente, titolo compreso. non sapevo neanche di cosa parlasse ma i nomi coinvolti mi facevano ben sperare. la tua recensione mi ha incuriosito molto, ragion per cui mi toccherà recuperare anche questo, tanto per cambiare 😛

    1. Ma credo sia successo a tuti: questo film è proprio stato nascosto sotto il tappeto e io mi domando perché!
      Spero ti piaccia!

  2. Giuseppe · ·

    E infatti ne vengo a conoscenza solo ora, avendo letto il tuo post… sembra molto Interessante comunque, nonostante i limiti dell’approccio registico alla materia trattata.
    P.S. Trattandosi di questa specie di rettili non mi stupirei se l’antica entità fosse proprio Yig, il Padre dei Serpenti 😉

    1. Si respira infatti, in alcune sequenze, un certo sentore di Antichi…

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