Essere un regista di B movie è una cosa seria, o almeno lo era negli anni ’70, quando era obiettivamente più complicato fare film, se non altro da un punto di vista tecnico; oggi, e non ci voleva il signor Soderbergh a dimostrarlo, basta davvero uno smartphone e puoi girare il tuo film in santa pace e se hai bisogno di effetti speciali, esiste la CGI a buon mercato che sistema tutto. Non sono dati negativi, sono fatti, e se tra la serie B e l’exploitation, esisteva tanta spazzatura anche all’epoca, è evidente che oggi, con le maggiori possibilità offerte dal progresso tecnologico, sia quintuplicata.
Questo per dire che c’era qualcosa di eroico nel fare cinema horror da battaglia negli anni ’70, qualcosa che ammanta figure come Larry Cohen di un’aura leggendaria, conquistata sul campo, film dopo film dopo film, girando con budget risibili, senza permessi e con uno stile aggressivo dovuto al fatto di andare sempre di corsa, per la strada, armati di macchina da presa a mano, autoimponendosi per ragioni molto concrete un linguaggio molto vicino a quello del cinema verità: Cohen, il suo allievo Lustig, Henenlotter, tutti registi newyorkesi, tutti operanti nel settore della serie B, tutti personaggi capaci di inserire nei loro film materiale per teste pensanti.
Quando una di queste figure viene a mancare, ti prende un senso di solitudine cosmica, perché la loro è un’esperienza irripetibile, che non può avere uguali nel cinema contemporaneo, così cambiato rispetto a 40 anni fa. E allora, l’unica cosa che si può fare è rivederli, quei film, e cercare di parlarne il più possibile, di diffonderli, perché non vadano perduti.
God Told me To, inedito dalle nostre parti, è il secondo horror (ma la definizione è assai limitante, vedremo poi perché) diretto da Cohen dopo il relativo successo di It’s Alive. È anche un film molto meno noto rispetto alla saga dei neonati zannuti cui il nome di Cohen sarà sempre legato, forse perché non è facile da seguire, tende a mischiare tra loro almeno quattro generi differenti e ha degli sviluppi narrativi sorprendenti e spiazzanti che, se fossero stati condotti da un regista e sceneggiatore meno abile, avrebbero rischiato di precipitare nel ridicolo.
La trama va rinfrescata, perché è un film che conosciamo in quattro, ma bisogna fare attenzione a fino a che punto rinfrescarla: Got Told me To andrebbe visto senza avere la più pallida idea di ciò cui si va incontro. Cercherò di essere il più sintetica e stringata possibile, quindi.
A New York, il detective di polizia Peter Nicholas (Tony Lo Bianco) indaga su una serie di atti di violenza insensati e occasionali (un uomo si posiziona in cima a un edificio e comincia a sparare sulla folla; un altro uccide tutta la sua famiglia) che però sembrano avere una matrice comune; i colpevoli, infatti, alla domanda sul perché lo abbiano fatto, danno tutti la stessa risposta: “Me lo ha detto Dio”.
Nicholas, una persona profondamente religiosa e in conflitto tra la sua condotta di vita e la morale che invece gli imporrebbe la fede, resta colpito da questa giustificazione addotta dai vari assassini, che di solito si suicidano poco dopo l’esplosione di furia omicida, mentre la polizia di New York non da alla cosa troppo peso.
Pare che tutti gli spree killer coinvolti, prima di uscire di testa, avessero comunicato con uno strano individuo, descritto come una sorta di hippie dai capelli biondi e lunghi. Ma nessuno riesce a ricordare con esattezza i suoi tratti somatici. È andando a scavare nel passato di questa evanescente figura che Nicholas scoprirà la verità, non solo sugli omicidi, ma anche su se stesso.
Ecco, ho già detto abbastanza, e forse anche troppo; una delle prerogative principali di God Told me To è infatti quella di procedere in direzioni che mai uno spettatore, soprattutto uno spettatore contemporaneo, si aspetterebbe. Comincia come un classico poliziesco americano anni ’70, con quella sparatoria di massa per le strade di New York che, vista oggi, rimanda ad avvenimenti molto recenti e molto sinistri; si trasforma poi in un horror mistico-religioso e, ancora, in un thriller complottista, per poi virare nei territori della fantascienza pura e, in tutto questo, ha anche spazio per un interessantissimo triangolo amoroso purtroppo non approfondito come meritava per mancanza di tempo. Considerate che il film non dura sei ore, ma appena 93 minuti, e Cohen trova anche lo spazio per infilarci in mezzo una storia di poliziotti corrotti e gang di Harlem.
Eppure, non si ha mai l’impressione di assistere a una narrazione fatta a compartimenti stagni o disgiunta. Forse solo la sotto-trama dedicata agli spacciatori è un po’ un corpo estraneo al film, ma permette a Cohen di girare una delle scene migliori, ambientata in una sala da biliardo, e quindi va bene così.
A compattare un film formato da mille rivoli, c’è prima di tutto una coerenza stilistica che è tipica della filmografia di Cohen: come dicevamo prima, macchina a mano, realismo assoluto, sequenze rubate, tra cui quella durante la parata per la festa di San Patrizio (come poi sarebbe accaduto in Maniac Cop), causa assenza di permessi, che tuttavia conferiscono al film un’urgenza e una frenesia impensabili in circostanze diverse; in un paio di momenti, questa uniformità viene rotta dall’irruzione improvvisa del soprannaturale e Cohen si adegua, dando così un risalto anche maggiore alle scene in cui si rivela l’identità di questo “dio” omicida per interposta persona.
Il montaggio è quasi isterico, spezzettato, per rendere l’idea del nostro protagonista prossimo al collasso. Perché, in fin dei conti, God Told me To racconta di un uomo in procinto di veder crollare tutte le certezze accumulate in una vita intera, in particolare quella fede che gli impedisce di divorziare dalla moglie (Sandy Dennis), nonostante lei gli chieda di lasciarla libera, e di portare avanti seriamente la relazione con la sua nuova compagna.
Se in mano ad altri registi, God Told me To sarebbe stato un casino, in mano a un altro attore, il personaggio di Nichols non avrebbe lasciato il segno. E pensare che non si trattava neanche della prima scelta di Cohen. Al suo posto doveva esserci Robert Forster, ma fu sostituito da Lo Bianco dopo pochi giorni.
Cohen è sempre stato bravissimo in quell’arte quasi esoterica chiamata direzione degli attori: John P. Ryan in It’s Alive, Michael Moriarty in The Stuff e in Q, Frederic Forrest in It Lives Again; prendeva questi caratteristi incredibili e dava loro il ruolo di protagonisti, personaggi maschili pieni di sfumature, con una scrittura ad alto tasso di intelligenza. Lo Bianco non fa eccezione e credo che, in molte parti del film, sia lui a tenere insieme il tutto, con la sua interpretazione. Memorabile, per esempio, quando condivide la scena con una vecchia volpe della Hollywood che fu come Sylvia Sidney.
God Told me To è, dato il tema trattato, un film che ha scatenato parecchie controversie ai tempi della sua prima distribuzione in sala, soprattutto per il collegamento, non suggerito, ma esplicito, tra fede e violenza. Fu Roger Corman a distribuirlo, ma il film non si comportò affatto bene al botteghino, tanto da indurre la New World Pictures a cambiargli il titolo in Demon, tanto per sfruttare il satanic panic di quegli anni, anche se non c’è proprio nulla di anche lontanamente satanico nel film. Neanche la modifica del titolo servì a trasformarlo in un successo. Forse era solo un’opera un po’ troppo particolare per darle una catalogazione precisa e trovare una fetta di mercato che le si addicesse.
Ma a me piace ricordare Cohen proprio con questo bizzarro miscuglio tra horror, thriller e fantascienza, e consigliare a tutti voi di vederlo, per scoprire un modo di fare cinema provocatorio e anticonvenzionale, che, nonostante facesse parte della macrocategoria dei B Movie, si poteva anche permettere di infischiarsene dei gusti del pubblico.
qui è proprio il caso di dire “me lo segno!” , grazie cara!
Grazie a te e buona visione 😉
Alla tua esauriente recensione di questo semi-sconosciuto mix di generi (che, vero, horror semmai lo è solo in parte) ad opera di Larry Cohen mi sento di aggiungere solo una curiosità riguardo alle sequenze rubate: facendo attenzione, in alcuni momenti si nota del materiale preso di peso dalla mitica serie “Spazio 1999″… parlo sia dei celebri “travel tubes” che mettevano le varie sezioni di Alpha in comunicazione tra loro che di una breve sequenza (abilmente troncata) riguardante nientemeno che un’Aquila in fase di atterraggio 😉
Giusto! Vedi cosa ti combina la mancanza di un budget adeguato? 😉