The Purge – La serie

Sta passando un po’ inosservata, forse anche perché su Amazon Prime deve ancora arrivare la versione italiana, mentre è disponibile da settembre quella in inglese, questa serie tv, creata dal solito James DeMonaco, prodotta da Jason Blum in combutta con Michael Bay e ispirata all’omonima saga che sfracella allegramente gli incassi dal 2013.
Non solo non se la stanno filando in molti, ma anche la critica non è stata tenerissima nei suoi confronti: bassa percentuale su quella fogna di Rotten Tomatoes, un sussiego generalizzato nel giudicarla e, insomma, nulla di nuovo quando si parla de La Notte del Giudizio.
Un concept che io continuo a trovare molto interessante, anche se mai pienamente centrato. Mi ero sempre chiesta cosa sarebbe accaduto portando lo Sfogo dal grande al piccolo schermo, se la possibilità di ampliare il contesto avrebbe giovato o nuociuto all’idea di fondo, se questa sarebbe stata sviluppata meglio, in maniera più credibile.
La risposta è sì e no, perché l’impressione è, al solito, quella che a queste storie manchi sempre qualcosa, che ancora non si sia sfruttato al massimo il potenziale di una delle distopie più vicine alla nostra realtà quotidiana. E tuttavia, la serie si è rivelata migliore di quanto pensassi, sia a livello di mero intrattenimento sia per quanto riguarda i risvolti politici, nel caso specifico meno didascalici e urlati rispetto a The First Purge, ma dati in pasto al pubblico con un’efficacia maggiore.

Dove c’è Fiona, ci sono anche io. Sempre.

A nation of murderers.
Non c’è epitaffio più azzeccato per questa prima stagione, soprattutto se a pronunciare la frase citata è uno dei personaggi chiave, anzi, il personaggio chiave di tutta la vicenda. E qui c’è subito da fare un’osservazione: l’universo di The Purge è smaccatamente statunitense, è difficile pensarlo ambientato in un altro paese e infatti viene sottolineata di continuo (cosa mancante nei film) la natura indigena della festività nota come Lo Sfogo. Per la prima volta, ci è dato di vedere le reazioni di alcuni paesi europei (Inghilterra e Francia) alla notte in cui tutto è lecito, e questo è un risvolto inatteso e degno di nota; è come se ti dicessero che quella è roba loro, che noi non potremmo mai capire in quale modo si sia arrivati a un evento simile, ma neanche se ci concentrassimo per i prossimi cento anni. E quindi sì, gli americani sono una nazione di assassini, a cui basta davvero poco per rivelare la loro natura più profonda.
Solo che esistono vari tipi di assassini, e questa serie vorrebbe riuscire a mostrarceli tutti.

L’impianto di The Purge è quindi corale: seguiamo diversi personaggi nel corso della notte più violenta dell’anno e li vediamo cercare di sfuggire alla morte o tentare di infliggerla o, addirittura, anelarla. C’è chi è invitato per la prima volta nell’alta società, quella dei Nuovi Padri Fondatori e spera di concludere un affare importante proprio durante lo Sfogo, venendo a patti con la propria coscienza; c’è chi sfrutta l’occasione per prendersi una vendetta personale nei confronti del proprio capo; chi sceglie di sacrificarsi affinché gli altri si purifichino; chi, invece, vorrebbe riparare ai torti di una vita intera in appena dodici ore. Ognuno ha le sue ragioni, ognuno ha un’idea differente di cosa significhi la Notte del Giudizio, e ognuno dovrà cambiare il proprio punto di vista, anche a caro prezzo.
Non tutte le linee narrative sono interessanti e non tutti i personaggi hanno il carisma necessario da reggere il minutaggio a loro dedicato. Per esempio, la vicenda dei due fratelli è davvero debole, anche se forse è quella che parte con le premesse migliori; mentre mi è piaciuta molto la storia della coppietta di nuovi ricchi che cerca di infiltrarsi ai piani alti, con conseguenze disastrose.

È anche ingegnoso il modo in cui gli sceneggiatori sono riusciti a collegare tutte le linee narrative tra loro, così da trovarci con i personaggi principali riuniti per il gran finale che, per fortuna, chiude ogni cosa e, se ci sarà una seconda stagione, bisognerà ripartire da zero con nuove storie, nuovi carnefici e nuove vittime. Se ci pensate, un’ambientazione come quella di The Purge è suscettibile di possibilità pressoché infinite. Non c’è niente che non si possa fare, con The Purge; anche una serie di cortometraggi potrebbe essere affascinante. È come un grosso contenitore da riempire a nostro piacimento. Basta rispettare quelle due o tre regole di base, anche molto flessibili, e poi si può scatenare la fantasia e far arrivare la turpitudine a qualsiasi livello ci venga in mente.
In fondo, è per questo che continua a piacermi, nonostante tutto. Per questo e perché è l’unica saga horror cinematografica, e ora anche televisiva, a essere apertamente politicizzata, e non in maniera metaforica o simbolica, ma proprio evidente.

Come scrivevo anche a proposito di The First Purge, si tratta di produzioni per un pubblico molto ampio, che non possono andare troppo per il sottile, ma proprio perché sono costrette a fare a meno della complessità, si rivelano il più delle volte un fedele spaccato dei tempi che stiamo vivendo. Non ci sono di certo le elevate ambizioni di The Handmaid’s Tale ed anche pretestuoso dare a The Purge una qualunque connotazione di destra o di sinistra, termini già di per sé impropri, ma semplifichiamo anche noi: le idee di Bay le conosciamo tutti; ci sono un oscure quelle di Blum, ma non penso sia un pericoloso bolscevico, quindi non si può affermare che The Purge voglia fare propaganda a questa o a quell’altra parte politica. Credo sia piuttosto una riflessione, non so quanto sincera e di sicuro non troppo approfondita, sul carattere di un popolo. Se nei primi film si trattava di chiedersi fin dove un uomo poteva spingersi una volta spogliato dei freni inibitori imposti dall’esterno, ora si è andati oltre e si tratta, più che altro, di indagare il rapporto tra le persone e la violenza istituzionalizzata e persino santificata.

Uso il termine santificata non a caso: esiste, nella serie, un vero e proprio culto dello Sfogo, una religione i cui adepti si offrono volontariamente a chiunque voglia farli a pezzi, poiché credono nella purificazione derivante dalla violenza, e dunque si immolano, sotto lo sguardo benevolo della sacerdotessa Fiona Dourif (sempre sia lodata) per permettere agli altri di sfogarsi.
Quella descritta da The Purge è quindi una nazione dove non solo la violenza è permessa e incoraggiata per legge, ma sacralizzata e tramutata in rito religioso collettivo. Credo sia il risvolto più interessante e originale dell’intera serie. Peccato non lo abbiano approfondito: il culto, un’idea che io avrei reso il perno centrale intorno a cui far girare tutta la stagione, viene relegato in fretta a uno spunto collaterale, e si dà invece troppo spazio a un personaggio un po’ fuori posto, perché eroico nel senso più classico del termine, impegnato a salvare sua sorella, che non fa altro se non cacciarsi nei guai, dopo essere scampata alle amorevoli attenzioni di Fiona.

A parte qualche scelta sbagliata qua e là, un montaggio tra le varie sezioni narrative non sempre preciso (ci sono delle sproporzioni in lunghezza inspiegabili e, a volte, si rischia l’orrido effetto Game of Thrones), un racconto che si poteva esaurire in sei episodi e invece va avanti per dieci, la serie di The Purge si lascia guardare esattamente come si lasciano guardare i film e, se la saga cinematografica sembra non avere alcuna intenzione di terminare, quella televisiva potrebbe rappresentare una valida alternativa per conoscere un mondo ancora tutto da costruire. Insomma, io la seconda stagione la aspetto. Da qui si può solo migliorare.

2 commenti

  1. Cristian Maritano · ·

    L’unica cosa che ho trovato interessante è la oresenza di quella bonazza di Lili Simmons. 💗

  2. Ho rivalutato la saga cinematografica, mi incuriosiva l’idea della serie, recupero

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