Come sa chi mi legge da un po’, non sono proprio un’appassionata della saga di Insidious, più che altro perché, pur stimando moltissimo il lavoro di James Wan dietro la macchina da presa, non posso soffrire la scrittura del suo sodale Leigh Whannel, che mi risulta parecchio indigesto anche come attore. Considerate che Whannel è apparso in tutti e quattro i film targati Insidious, ha scritto ogni sceneggiatura e ha persino diretto un capitolo, il terzo, passato di sfuggita per queste pagine quando curavo la rubrica delle porcherie del mese. Quindi no, non può essere di sicuro tra le mie saghe preferite dell’horror contemporaneo.
Eppure alla fine, i quattro film me li sono visti tutti, un paio persino in sala, sopportando stoicamente l’eccesso di jump scares che li contraddistingue e, spesso anche contro la mia stessa volontà, divertendomi.
Se il terzo film è il peggiore del lotto, il quarto, la cui regia è stata affidata ad Adam Robitel, compie un discreto salto qualitativo in avanti. Nulla per cui saltare di gioia, intendiamoci, ma pur sempre un horror che si lascia guardare. In parte, va riconosciuto al regista di aver cercato di non indulgere più di tanto nella sequela infinita di spaventi improvvisi e di aver almeno fatto un paio di tentativi di creare atmosfera, portandosi dietro il bagaglio acquisito dall’ottimo The Taking of Deborah Logan; però bisogna anche dire che c’è un personaggio chiave in tutta la saga, a cui si finisce con l’affezionarsi. Parlo di Elise Rainer, la sensitiva interpretata da Lin Shaye.
E qui devo pagare un debito con Bloody-Disgusting e con un articolo apparso quale mese fa sulle loro pagine, che mi ha fatto molto riflettere su un paio di questioni.
Lin Shaye è una signora di 74 anni con una carriera alle spalle da attrice di secondo piano in una miriade di produzioni, tra cui parecchie di stampo horror. Non è mai stata propriamente famosa, almeno al di fuori della comunità di appassionati; la si ricordava soprattutto per una breve apparizione nel primo Nightmare, per la sua presenza più o meno fissa nella saga di Critters e per essere stata tra i protagonisti di uno degli horror natalizi più belli di sempre, Dead End. In realtà, è possibile vedere Lin Shaye anche in parecchi film di Walter Hill, quasi sempre sullo sfondo, e non si contano davvero i suoi ruoli televisivi. Ma non si è mai potuto, a ragion veduta, definirla uno di quei nomi in grado di portare la gente in sala.
E poi è arrivato Insidious, e con esso gli incassi stratosferici, la fama mondiale e un ruolo che davvero segna una importante linea di demarcazione per quanto riguarda i personaggi femminili al cinema. Peccato che siano tutti così impegnati a criticare Jason Blum che fa gli horror PG13 brutti e cattivi (io per prima, ammetto le mie colpe) da non essersi accorti di quanto sia quasi rivoluzionaria, nel 2018, una saga dell’orrore che si regge tutta sulle spalle di una donna settantenne. Alla faccia delle scream queen e delle final girl.
La storia del personaggio di Elise è interessante, perché nel primo capitolo, risalente addirittura al 2010, lei muore. Non nasce quindi come protagonista, ma è solo la medium chiamata dalla famiglia Lambert per sbarazzarsi della malvagia entità che li perseguita.
Eppure, il pubblico mostra di amare questa non più giovanissima sensitiva che se ne va in giro per l’Altrove armata di torcia e, nelle sue indagini sul soprannaturale, si accompagna con due tecnici, con qualche decina di anni in meno rispetto a lei, che le fanno da “sideckick” (termine usato più volte nel corso della saga) e svolgono la funzione di alleggerimento comico.
C’è qualcosa, in Elise, che ti porta a fare il tifo per lei, più che per i Lambert, qualcosa che rende Insidious un faccenda personale, un discorso tra lei e le varie manifestazioni malevole presenti nei singoli film.
E infatti, in Insidious: Chapter 2 (2013) Elise ritorna, purtroppo non in vita, ma come guida spirituale del viaggio di Josh Lambert (Patrick Wilson) in quell’anticamera dell’aldilà che è The Further.
Si arriva così al 2015, anno di uscita del terzo capitolo della saga, dove comincia a configurarsi il miracolo che dà il titolo a questo post: essendo Elise morta e sepolta, e avendo i Lambert risolto in maniera definitiva i problemi con i demoni, tocca inventarsi qualcosa di nuovo. O forse no. Forse basta tornare indietro nel tempo, così da ritrovare Elise viva e vegeta e vederla di nuovo alle prese con altri demoni, con altre presenze, con la missione di salvare altre persone minacciate da essere venuti dal regno dei morti.
Con Insidious: Chapter 3, tecnicamente un prequel, la saga diventa proprietà esclusiva di Elise Rainer e, di conseguenza, di Lin Shaye che si ritrova, a 72 anni, al timone di una serie di film che al botteghino fanno faville. Questo non salva affatto Insidious: Chapter 3 dall’essere un film orrendo, ma non è l’argomento principale del mio post.
Parliamo un po’ di numeri, perché non li si può contestare: Insidious costa 1,5 milioni di dollari e ne incassa 97 in tutto il mondo; il secondo film ne costa 5 e ne incassa la bellezza di 161; per il terzo, si aumenta ancora il budget, che arriva a dieci milioni, e totalizza un incasso globale di 112 milioni; l’ultimo nato della saga, The Last Key si attesta sempre su un costo produttivo intorno ai 10 milioni, ma ne fa entrare nelle casse della Blumhouse la bellezza di 166.
C’è quindi soltanto una lievissima flessione con il terzo film (che è infatti il peggiore di tutti) e poi si torna a macinare quattrini a pieno regime con il quarto.
Qualcuno dirà che è il marchio di Insidious a trascinare così tante persone al cinema, qualcun altro che ormai la Blumhouse può mandare in sala due ore di Jason Blum che scrive la sua lista della spesa e garantirsi comunque quel centinaio di milioni di dollari che è ormai lo standard della casa di produzione. Tutto plausibile, ma la gente paga per assistere alle gesta su grande schermo di una che potrebbe essere la loro nonna. Una signora non sposata, senza figli e che di mestiere fa la medium. L’esatto opposto sia dei vari strong female characters (altresì dette eroine cazzute) sia delle scream queen stereotipate che si fanno squartare con tette e culi a favor di macchina da presa.
E volete sapere qual è la cosa più bella? Che non se ne è accorto (quasi) nessuno, perché si tratta di horror dozzinali, su cui non val la pena spargere fiumi di inchiostro come accade ogni volta che qualche tipa in tutina della Marvel tira un calcio nelle parti basse a un maschietto e tutti gridano al femminismo ritrovato; o anche perché, al contrario di molti film e serie tv che fanno dell’empowering femminile una bandiera, alla Blumhouse non si pongono il problema di sbandierare un tubo e fanno le cose con una naturalezza invisibile.
E invece, guarda un po’, Jason Blum, James Wan e sì, Leigh Whannel (cui va dato atto di essere tra i creatori del personaggio) hanno fatto diventare una donna ultrasettantenne, una caratterista di seconda fascia, una che in vita sua non è mai neppure stata chissà quale grande bellezza, una nuova icona dell’horror mondiale, a dimostrazione del fatto che il cinema dell’orrore è un genere all’avanguardia, proprio perché agisce nell’ombra, tra gli insulti e il vituperio di chi ancora sbraita contro la misoginia di una categoria cinematografica che, al contrario, le donne le ha sempre messe al centro della narrazione.
Credo che se si facesse un’indagine approfondita, magari utilizzando il Bechdel Test, sui film dell’orrore dagli anni ’60 a oggi, si avrebbero delle grosse sorprese.
Ma, anche con tutta la mia immensa fiducia nella forza “politica” dell’horror, non avrei mai pensato che, in un contesto cinematografico dove gli adulti sembrano spariti dalla faccia della terra, e dove una donna comincia a essere troppo vecchia verso i 35 anni, ci sarebbe stato posto per un’attrice come Lin Shaye, non come spalla a qualche fanciulla o aitante giovanotto, ma come assoluta mattatrice della scena e con tutti gli altri attori costretti a fare da spalla a lei. Una faccenda talmente unica che persino trovare un corrispettivo maschile contemporaneo è difficile. Mi viene in mente David Bradley in The Strain, ma si tratta di televisione e pur sempre in un contesto corale. No, non c’è nulla che possa essere paragonato a ciò che Insidious ha fatto alla carriera di Lin Shaye.
Non contenta di ciò, la signora ha un’altra decina di titoli da qui al 2019 in pre o in post-produzione e quasi tutti horror o a esso contigui.
Il genere, tanto per cambiare, è più vivo e più in forma che mai, ed è persino avanti anni luce rispetto al cinema più rispettabile, che la vecchiaia l’ha eliminata quasi fosse un qualcosa di cui vergognarsi. Al contrario, la saga di Insidious continua a funzionare proprio perché ha azzeccato il personaggio principale: Elise Rainer, sensitiva settantenne, vi dà il benvenuto nell’Altrove.
Ho veramente amato questo articolo. Purtroppo non ho visto il quarto capitolo (lo recupero il prima possibile), ma non sai quanto sono felice per Lin Shaye. Anch’io la conoscevo per qualche ruolo di secondo piano in vari horror (se non sbaglio in Nightmare era l’insegnante vero?). E quindi sono contento che riesca alla sua età a portare avanti una saga horror che, non sarà perfetta, però riesce a intrattenere (almeno dei tre che ho visto il secondo è quello che ho apprezzato di più).
A me il primo “Insidious” piacque subito moltissimo, specie la prima metà. Aveva dei jump scares (i bambini che correvano in giro per casa, per dire) che mi ricordo ancora, da quanto erano d’impatto. Ma Elise non m’ha mai fatto né caldo né freddo e infatti i film successivi mi son piaciuti poco (il terzo non mi dispiacque, ma solo per il tema della ragazza ‘inferma’). Il quarto lo vedrò in sti giorni. Però sta cosa che allungano all’infinito le stesse saghe (Saw, Insidious, Conjouring, ecc) mi ha proprio rotto le balle. Vorrei qualcosa di originale e veramente spaventoso, ma so già che -ormai- è un’utopia, specie per i miei gusti…
Boh, alla fine l’ho visto ieri pomeriggio, ma ho preso sonno a metà xD
si spreca inchiostro per le tipe in tutina della Marvel solo perchè finora si sono visti solo tipi in tutina. Comunqye articolo interessantissimo
Lin Shaye ha fatto la differenza anche in quella perla di Dead End insieme a Ray Wise 😉
Sì sì, l’ho anche scritto nel post 🙂