Orrore e Guerra: Death Watch

 Regia – M.J. Basset (2002)

Ho aperto questo blog nel 2011 (come crescono in fretta, signora mia) ed è da allora che voglio fare una piccola rassegna di horror bellici. Che mi piacciano i film dell’orrore non dovrebbe essere una novità, ma sono anche una grande appassionata di film di guerra e, quando i due fenomeni si presentano contemporaneamente, sono una cinefila dell’internet felice. Peccato che sia una cosa poco comune. Il materiale non è tantissimo e, a volte, è persino scadente. Però si può tirare comunque fuori qualcosa di buono, andando a rimestare tra pellicole meno note. Dopotutto, interpretando la definizione alla larga, anche Predator è un horror militare. E forse lo è persino il film che ha dato il nome al blog.
Per iniziare, però, voglio parlarvi di un’opera che, per motivi a me oscuri, non ha mai avuto la considerazione e il seguito che merita: Deathwatch, un film inglese ambientato durante la Prima Guerra Mondiale sul fronte occidentale, rappresenta l’esempio più classico di horror bellico, perché sovrappone le brutture tipiche della guerra a una minaccia soprannaturale che su queste brutture prospera e cresce. Non esiste un luogo più adatto allo scatenarsi del male di una trincea, mentre i soldati stanchi e spaventati, sono le vittime ideali. Lo abbiamo già visto ai bei tempi di The Devil’s Rock, solo che qui le cose si fanno un po’ più serie e cupe.

Dopo una cruenta battaglia, nove soldati inglesi si ritrovano al di là delle linee nemiche, distanti dalla loro unità e persi in mezzo alla nebbia. Trovano un complesso sistema di trincee tedesche, abitato soltanto da tre soldati, due dei quali vengono subito uccisi, e il superstite fatto prigioniero, e rimangono bloccati lì, impossibilitati a contattare il comando.
Il tedesco loro prigioniero cerca di avvisarli che, in quella trincea, c’è qualcosa che non torna, ma le barriere linguistiche, unite alla diffidenza naturale nei confronti del nemico, sono insormontabili e i nostri nove protagonisti vanno incontro a una serie di eventi inesplicabili, che finiscono per metterli l’uno contro l’altro e a scatenare una piccola guerra privata nel contesto già di per sé tragico della Prima Guerra Mondiale e della vita da trincea.

Ecco, se c’è una cosa che Deathwatch fa bene, meglio anche di altri film strettamente bellici e dedicati allo stesso periodo, è restituire una rappresentazione molto fisica e concreta dell’ambiente delle trincee durante il conflitto: basset sceglie di far svolgere gran parte del suo film sotto la pioggia. Di conseguenza, i soldati sprofondano nel fango, che ne ricopre divise e pelle, in un incubo monocromatico virato al marroncino che si stempera soltanto con gli improvvisi scoppi di gore, che sono pochi, data l’esiguità del budget, ma efficacissimi e rivoltanti. Cunicoli infestati dai topi (e c’è una sequenza in particolare, che coinvolge proprio i topi che credo non riuscirò a dimenticare finché campo), sporcizia, freddo, desolazione. Questi elementi, riprodotti con estremo realismo, sono la vita quotidiana dei soldati protagonisti; aggiungerci anche il soprannaturale causa un vero e proprio sovraccarico di orrore, che poi è forse il motivo principale che ha reso l’horror bellico una rarità. Difficile trovare qualcosa di più spaventoso rispetto allo starsene giorni e giorni ad annaspare tra fango, pioggia e cadaveri aspettando solo di morire.

È intelligente quindi l’uso fatto da Basset dell’entità malevole (o presunta tale) che infesta la trincea tedesca: è uno specchio delle atrocità subite e perpetrate dai soldati quotidianamente. Fino agli ultimi istanti del film non è mai chiaro, infatti, se ciò che accade sia solo il frutto dello stato mentale ed emotivo, a voler usare un eufemismo, anomalo dei soldati o se ci sia veramente qualcosa che non appartiene a questo mondo, nella trincea.
Soprattutto, qualora fosse davvero presente uno spirito, un demone o quello che volete voi, cosa lo ha generato? È una rifrazione del dolore di tutti i soldati? La voce unica di tutti i morti su quei campi di battaglia? O è una creatura maligna che si nutre di violenza e ha fatto di quel contesto orribile il suo territorio di caccia?
Sono domande a cui non avrete una risposta, potrete solo ipotizzare e scegliere l’ipotesi che più si avvicina al vostro punto di vista.
L’assenza di spiegazioni, ma anche di un senso compiuto alle vicende che vediamo svolgersi sullo schermo è un valore aggiunto al film: caos che irrompe e dilaga privo di motivazioni, che si abbatte sulle teste di quei poveri nove soldati con la stessa incomprensibilità degli ordini che li spingono all’assalto. Tanto che il personaggio principale (Jamie Bell) è quello che viene definito un “vigliacco”, solo perché vorrebbe evitare di morire come uno stronzo. E anche ammazzare non gli piace più di tanto.

Basset, che dopo un altro ottimo film come Wilderness, sarebbe uscita dai confini della Gran Bretagna per approdare a Hollywood con pessimi risultati e che ora è stabilmente impiegata in televisione, mostra al suo esordio un talento fuori del comune nel costruire un’atmosfera che puzza di morte e putrefazione. Di film sulla Prima Guerra Mondiale ne ho visti parecchi, ma nessuno come questo mi ha fatto sentire intirizzita, fradicia fino alle ossa e immersa nella più totale abiezione. Il tutto narrato come se fosse la vita più normale del mondo, accettata dai soldati con la rassegnata consapevolezza del fatto compiuto, quasi un tempo precedente alla guerra non esistesse e non fosse destinato a esistere un tempo successivo.
E qui, prima di concludere, devo invitare chi non ha visto il film a non proseguire nella lettura perché mi lancerò in un’interpretazione ardita del film. Ergo, ci saranno SPOILER. 

C’è la possibilità che i nostri soldati siano tutti già morti durante la battaglia che apre il film e che la trincea nemica in cui si vanno a rifugiare sia una sorta di purgatorio dove le loro anime vengono giudicate dal tedesco (il vero e unico “spirito” della vicenda) e spedite in paradiso, ovvero fuori dalla trincea, o all’inferno. Una sequenza in particolare deporrebbe a favore di questa ipotesi: Jamie Bell si perde nei tunnel e ritorna al punto di partenza, dove vede gli altri soldati già morti e una copia di se stesso che lo fissano.
Certo, può essere un po’ tirata per i capelli, ma l’idea di militari morti in guerra che devono riviverne l’orrore anche dopo che i loro corpi hanno cessato di esistere è affascinante, ha molto a che vedere con il concetto di un ciclo di violenza e abbrutimento che si perpetua all’infinito e chiama sempre nuove vittime e mi sembra una metafora abbastanza efficace della guerra stessa.

Per il resto, solita splendida parata di attori inglesi in gran forma, tra cui spicca un Andy Serkis bastardo e belluino come mai in tutta la sua carriera, ma neanche quando ha interpretato una scimmia; due o tre scene da farsela nei pantaloni; un tasso di crudeltà elevatissimo, per un’ordalia bellica che è difficile da togliersi dalla testa, e quell’atmosfera umidiccia e lurida, quel grigiore fisico ed esistenziale, quell’azzeramento di qualsivoglia prospettiva futura che fanno di Deathwatch non solo uno degli horror migliori a tema militare mai realizzati, ma anche uno dei più realistici.

8 commenti

  1. You had me at Andy Serkis, dopo avere saltato lo spoiler con un triplo salto carpiato. Ovviamònte non è ne su Netflix né su Prime Video, mortacci loro -.-

    1. In realtà è stato praticamente introvabile fino a qualche tempo fa. Sono film complicati da recuperare perché non hanno avuto successo e non se ne è parlato abbastanza.
      Però Serkis è un peccato, perché Serkis, in questo film, spacca svariati culi 😀

      1. Dopo averlo visto concordo con la tua interpretazione “spoilerosa” e aggiungo che mi è piaciuto davvero tanto.
        Poco gore ben dosato, tantissima atmosfera, attori della madonna, in una parola: grazie! 🙂

  2. Giuseppe · ·

    No, non mi pare proprio un’idea tirata per i capelli visto che l’avevo avuta anch’io (e fin dalla prima visione) 😉
    Tanto bello quanto sottovalutato questo DeathWatch, sicuramente molto più riuscito (e più marcatamente soprannaturale senza per questo stonare con il suo crudo e spietato realismo da trincea, tutt’altro) del quasi coetaneo The Bunker. E Andy Serkis fa davvero paura…
    P.S. Se non ricordo male, l’espediente escogitato da Basset per ricreare uno spirito di corpo militaresco tra gli attori fu quello di farli lavorare sul posto, costruendo di persona i propri “alloggi”, mentre Jamie Bell veniva tenuto in disparte -per così dire- così da abituarlo alla diversa mentalità richiesta dal protagonista rispetto agli altri veterani della truppa…

    1. Sì, il povero Bell si è fatto tutte le riprese in stato di emarginazione ed esclusione 😀
      Però, alla fine, è stato efficace. Si sente che non fa parte del tutto del gruppo, che invece è molto affiatato!

  3. SaulVerner · ·

    Ottimo film e concordo con la tua spiegazione, che mi pare la più logica. Si trova il DVD a pochi € se uno lo vuole guardare in Inglese: https://www.amazon.it/Deathwatch-Edizione-Regno-Unito/dp/B000096KJ9/ref=sr_1_1?s=dvd&ie=UTF8&qid=1522162562&sr=1-1&keywords=deathwatch

  4. Non ricordo qual era questo! Quello del bunker sotterraneo?

  5. Filippo · ·

    Come sempre complimenti per riuscire a trovare questi buoni film di nicchia (di quelli poco conosciuti) a loro volta nella nicchia degli horror.
    Per rimanere in tema, un’ altro film che mescola guerra e horror è l’ episodio “L’ultimo coraggio (Yellow)”, diretto da Robert Zemeckis, del film “Incubi” (quello del 1992 per la televisione) con Kirk Douglas, Lance Henriksen e Dan Aykroyd. A dire il vero non è proprio horror ma più del tipo “Ai confini della realtà”. Poi una vaga commistione fra genere horror e guerra c’è anche nell’episodio numero 6 “Candidato maledetto (Homecoming)” della prima stagione della serie Masters of Horror.

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