Regia – John Carpenter (1980)
Cosa c’entra The Fog con il Women in Horror Month? C’è una risposta semplice e ce n’è un’altra più complessa e articolata: quella semplice è che lo ha scritto e prodotto Debra Hill e quindi rientra comodamente nella nostra mini-rassegna sui film diretti o sceneggiati da donne; quella più articolata riguarda i personaggi femminili del film, ritratti con una modernità sconcertante, e non solo per l’epoca (ha quasi 40 anni, The Fog), in totale controtendenza con i cliché tipici del cinema dell’orrore. Si potrebbe dire che è roba che non ti aspetti dall’inventore dello slasher, da quello che passa per un “regista maschile”, ma dirlo equivarrebbe a essere poco intelligenti, perché Carpenter ha sempre avuto una sensibilità particolare con le donne nei suoi film, solo che questa sensibilità non era mai gridata, mai sbandierata come un proclama. In The Fog, forse proprio grazie alla mano di Hill, è solo più evidente rispetto ad altre opere.
Riassumere la trama di The Fog su questo blog equivarrebbe a un’offesa nei confronti dei miei lettori e quindi mi guardo bene dal farlo, ma ci sono un paio di dettagli importanti relativi allo sviluppo della storia, cui devo accennare per forza di cose. Giuro che sarò breve.
La cittadina californiana di Antonio Bay in procinto di festeggiare il proprio centenario, basato su furto e omicidio ai danni del ricco e lebbroso Blake, è la cornice in cui si svolge una storia corale. Non è un caso, tuttavia, se le due protagoniste su cui Carpenter e Hill puntano i riflettori sono due esterne, due forestiere che non condividono le colpe degli abitanti storici di Antonio Bay: Elizabeth (Jamie Lee Curtis) si trova da quelle parti per caso, perché ha accettato un passaggio in autostop (ci torneremo) e Stevie (Adrienne Barbeau) non è autoctona, ma arriva da Chicago con suo figlio e non sappiamo da quanto tempo abiti nella piccola città. Anzi, diciamo che la guarda dall’alto, dal faro che ha acquistato e da dove manda in onda le trasmissioni della stazione radio di cui è proprietaria. Di lei (come anche di Elizabeth) ci viene detto pochissimo.
È un marchio di fabbrica di Carpenter essere parco di informazioni sul passato dei suoi personaggi. Il che non significa che non abbiano spessore. È solo che i protagonisti carpenteriani sono così funzionali alla storia da non avere bisogno di orpelli che vadano oltre essa o che la precedano. Ne consegue che qualunque dettaglio offertoci dal regista è fondamentale e che la distanza dei due personaggi principali dalla vicenda che ha reso Antonio Bay una città maledetta non è frutto di una casualità, ma di una scelta precisa. Elizabeth e Stevie non portano il peso della colpa, ma ne subiscono lo stesso le conseguenze, da spettatrici innocenti, per così dire, coinvolte nella follia di un’intera comunità che è nata ed è prosperata sul sangue di un gruppo di malati con l’unico desiderio di avere un posto in cui vivere.
È una scelta precisa quella di concentrarsi non sugli abitanti della cittadina in sé, come avrebbe fatto qualunque altro film dell’orrore con lo stesso tema, ma su due outsider non solo per provenienza, ma anche per stile di vita. Elizabeth e Stevie sono infatti quanto di più distante dalla tipica provincia americana teatro di migliaia di film dell’orrore basati su un’invasione esterna. Perché alla fine è di questo che parla The Fog, di un’invasione e, se sostituite i fantasmi molto carnali di Blake e compagni con degli alieni, la sostanza non cambia di molto. È una minaccia, proveniente da un altro mondo, all’ordine rappresentato dalla sacra piccola cittadina in cui tutti si conoscono, con la festa per il centenario, l’anziana signora (Janet Leigh) che organizza gli eventi e rompe le palle alla sua assistente (Nancy Loomis) e la chiesa locale, dove poi si nascondono i segreti più turpi e inconfessabili, e che diventerà l’ultimo baluardo dei nostri nell’assedio finale.
The Fog passa per un film classico, una classica ghost story, e col passare del tempo è diventato un classico del cinema horror, ma possiede dei contenuti, per quanto troppo sottili ed espressi in maniera niente affatto didascalica, che possono essere definiti addirittura dirompenti. È come se facesse il verso a opere con cui lo stesso Carpenter era cresciuto (The Blob potrebbe essere una di queste, se ci pensate e se paragonate le due storie), ribaltandone i contenuti.
In nessun film dell’orrore, e dico davvero, nessuno, una ragazza che fa l’autostop da sola, di notte e poi si porta a letto lo sconosciuto che le ha dato un passaggio, sopravviverebbe fino ai titoli di coda. In The Fog sì. C’è anche una sequenza, che io credo sia stata inserita a bella posta, in cui la terribile bussata di Blake sembra annunciare un attacco e, noi ce lo aspettiamo, anzi, noi lo sappiamo, la conseguente morte di Elizabeth, punita come in ogni horror che si rispetti per il suo atteggiamento disinibito. E invece non succede niente; Jamie Lee arriva tranquilla a fine film, sopravvivendo alla nottataccia. Possiamo anche ipotizzare che ripartirà per il suo viaggio in autostop, che non mi pare il tipo di sposarsi con Tom Atkins e trasferirsi ad Antonio Bay per il resto della sua vita.
E che dire di Stevie, madre single, unica proprietaria della stazione radio, speaker notturna, che non lascia la sua postazione perché sa che la sua voce è l’unica risorsa a disposizione degli abitanti di Antonio Bay per conoscere la direzione della nebbia? Forse l’anomalia rappresentata da Elizabeth è più macroscopica, tanto è stridente il contrasto con altre final girl della storia del cinema horror, ma Stevie è un vero e proprio gioiello di scrittura, per la naturalezza con cui il suo ruolo non viene mai messo in discussione, per come non si fa mai riferimento al padre di suo figlio, per come viene dato per scontato non abbia alcun bisogno della presenza maschile, né a proteggerla né a salvarla né a rassicurarla in nessun momento del film: è infatti sempre da sola al faro e al massimo interagisce per telefono col meteorologo. Se pensate alle innumerevoli fanciulle in pericolo, soccorse da innumerevoli cavalieri dalla scintillante armatura in decine e decine di film con simile ambientazione e sviluppo di The Fog, ecco che l’eccezionalità di un personaggio come Stevie non può non arrivarvi addosso con la velocità di un treno.
Non è solo un fatto di scrittura, nonostante si senta forte lo zampino di Debra Hill (e anche Adrienne Barbeau mise mano in sceneggiatura al suo personaggio): come dicevamo anche in apertura, Carpenter ha dimostrato più volte di essere in grado di dare alle sue attrici ruoli femminili superiori alla media. E questo a partire da Distretto 13 e passando addirittura per Fuga da New York, per non parlare di Fantasmi da Marte. Maestro dell’essenziale, Carpenter non è mai stato considerato un regista “femminista”, forse perché il suo stile conciso e scarno non lascia spazio a proclami o riflessioni o forse perché bisogna prestare un’attenzione che oggi non è più richiesta per guardare un film e tutto deve essere spiegato centinaia di volte, urlato e, se non è abbastanza chiaro, pure accompagnato con sei o sette didascalie. Invece un film come The Fog è l’esempio perfetto di come inserire degli ottimi personaggi femminili in un contesto di cinema di genere. Personaggi reali, differenti, con pregi e difetti, neanche eroici, perché non è di eroi che abbiamo bisogno, ma di donne come Elizabeth e Stevie, di sceneggiatori come Debra Hill, di registi come John Carpenter, ancora oggi, a distanza di quarant’anni. E pensare che all’epoca sembrava così facile.
Wow… Che dire, non lo avevo mai visto sotto questo punto di vista! Sarà che per me è quasi naturale avere un personaggio femminile forte, essendo cresciuto a pane e Alien, ma non mi sono mai sorpreso più di tanto nel vedere donne con le palle nei film. Anzi, l’ho sempre apprezzato.
ottima analisi…
sono d’accordo sul fatto che questo film sia la dimostrazione di come Carpenter non ce l’abbia con le donne (accusa che è stata mossa anche ad un altro grande regista, Brian De Palma)…
ma si veda anche il film (inferiore a questo) Fantasmi da Marte…
e comunque sempre grandissimo Carpenter…
quello dei primi film era davvero eccezionale…
Ciao , film epocale , visto al cinema all’uscita e con colonna sonora pompata al massimo mi ha rimbombato per giorni in testa .
Mi pare anche l’unico in cui madre e figlia hanno recitato insieme , o no ?
Imprescindibile classico con due magnifiche e per nulla stereotipate protagoniste (protagoniste VERE e indipendenti, non spalle passive dell’eroe di turno né vittime designate)… la sinergia fra la scrittura di Debra Hill e la particolare sensibilità di Zio John è davvero perfetta,qui.
Con John Carpenter sfondi una porta aperta, e con women of horror ancora meglio, cmq per me il grande John resta uno dei più importanti maestri del genere horror di sempre 🙂