Fantasmi per Halloween: The Skeleton Key

 Regia – Ian Softley (2005)

POTREBBE CONTENERE QUALCHE SPOILER

Chiudiamo (forse) questa troppo breve carrellata sugli spettri con un film appartenente alla categoria di quelli che piacciono solo a me. E no, neppure si può parlare di storia di fantasmi tradizionale, ma di un southern gothic con parecchi elementi soprannaturali e la classica magione infestata che è quasi una scusa, quasi un espediente per spingere la protagonista a credere nell’hoodoo, perché se non ci credi non funziona.
The Skeleton Key tuttavia, prima di essere tutte le cose sopra elencate, è un omaggio alla vecchia RKO e a Val Lewton. Ed è forse per questo che mi piace così tanto, anche al di là dei suoi meriti effettivi: si respira quella stessa aria di catastrofe incombente e di ineluttabilità del soprannaturale. Forse è un accostamento che fa soltanto il mio cervello bacato, ma credo che Softley (non l’ultimo degli imbecilli, anche se ci si aspettava da lui una carriera migliore) ci abbia pensato svariate volte, a quel cinema. E non solo alla RKO, ma anche a La Notte del Demonio.
Procediamo con ordine, che altrimenti rischio di incartarmi.

The Skeleton Key è un film che, nel lontano 2005, costa la bellezza di 43 milioni di dollari. Ora, non devo essere io a dirvi che questa cifra è spropositata per un film dell’orrore, ma i primi anni del XXI secolo sono stati un periodo un po’ travagliato e particolare per il cinema horror, dove forse vanno cercati i germogli della rinascita cui stiamo assistendo oggi: il boom del J-horror non si è ancora spento (lo sceneggiatore di questo film è lo stesso dei due The Ring americani), dall’Europa arrivano sempre novità splendide e interessanti e gli Stati Uniti hanno scoperto la gioia del remake, pescando in ogni dove, in casa come all’estero, nel passato remoto come in quello recente. È tuttavia molto singolare spendere 43 milioni di dollari per un film di genere, ed è altrettanto singolare il cast: Kate Hudson all’epoca era una star, anche se ora si ricorda a stento che faccia abbia; ci sono poi John Hurt e Gena Rowlands, e non è che compaiono cinque minuti, sono protagonisti tanto quanto la Hudson. Sembra un’anomalia, questo film, in un genere che gli attori sfruttano come trampolino di lancio o per tentare di ravvivare carriere sul viale del tramonto.

A ben guardare, tuttavia, si scopre che quella di inserire star più o meno importanti in film horror (quasi sempre PG13, quasi sempre più thriller che horror) era una tendenza abbastanza consolidata una quindicina di anni fa. Film come Gothika, lo stesso The Others, il bello e sottovalutato Stir of Echoes, Nascosto nel Buio e via dicendo, hanno tutti in comune la presenza di attori che, in un altro momento, non avrebbero toccato un horror neanche con la canna da pesca. Poi la cosa è andata scemando, il genere è tornato a costare pochissimo e le star a schifarlo per mano di legge e quella strana bestia che era l’horror di serie A è sparita. Ma forse tornerà alla ribalta e molto dipende dal casting del secondo capitolo di IT.
The Skeleton Key è dunque una produzione importante, con un regista niente affatto legato al mondo dei B movie intorno a cui solitamente gravita il genere, investimenti cospicui, attori famosi, ma la mentalità di un vecchio film gotico di quelli che Robert Wise te li girava in una settimana. È un film che ci prova a restare sempre dignitoso e compassato, ma sbraca del tutto nei venti minuti finali, suscitando l’imbarazzo dei critici e il mio sommo divertimento.

Racconta della giovane infermiera Caroline che si licenzia dall’ospizio di New Orleans dove lavora e si fa assumere da un’anziana coppia con una enorme casa in mezzo alle paludi, il signore e la signora Devereaux: lui ha avuto un ictus mentre si trovava in soffitta a fare non si sa bene cosa e lei si prende cura del marito, ma da sola non ce la fa e l’avvocato dei due la convince a prendere con loro un’infermiera.
La casa dei Deveraux è talmente tipica che potrebbe essere utilizzata come simbolo dell’ambientazione southern gothic: un po’ fatiscente ma con ancora le vestigia di un glorioso passato; dotata di un’infinità di stanze, corridoi, porte e cunicoli; immersa in un giardino selvaggio, nonostante la padrona di casa si affanni a curarlo con dedizione, perché la vegetazione è troppo rigogliosa per essere addomesticata; cimeli dei tempi che furono sparsi per ogni dove, da vecchie fotografie a strambi feticci di cui la protagonista (“civilizzata”) ignora l’uso.
Ma nella magione ci sono anche alcuni dettagli in più, come la mancanza degli specchi, di cui restano soltanto dei segni sulle pareti. Già, perché loro hanno il viziaccio di apparire proprio negli specchi e forse sono stati sempre loro a far prendere un colpo al signor Devereaux.

Loro sono i fantasmi di due servitori di colore dei primi proprietari della casa, linciati durante una festa perché colpevoli di insegnare ai bambini bianchi l’hoodoo. Da allora, gli spiriti di Papa Justify e Mama Cecile abitano tra quelle mura e bisogna stare molto attenti a non farli arrabbiare e soprattutto si deve evitare di ficcare il naso in soffitta e di aprire una certa porta sbarrata che nasconde una stanza molto particolare. Tutte cose che, immancabilmente, la nostra scettica e razionale Caroline fa, nonostante i continui moniti della signora Deveraux.
Sembrerebbe tutto molto canonico, raccontato così e, da un certo punto di vista, lo è: Caroline si aggira per casa, ficca il naso dove non dovrebbe, comincia a credere che ci sia qualcosa di soprannaturale e arriva a convincersi che la signora Deveraux abbia appreso l’hoodoo e lo abbia usato per fare del male al marito e ridurlo a un vegetale.
Ed è proprio lì che il film ti fotte e, dopo essere stato per quasi un’ora e mezza dritto sui binari di una narrativa consolidata, sterza di botto e diventa un’altra storia.

C’è una fortissima componente politica, in The Skeleton Key, e mi chiedo come mai non sia stato rivalutato in questi ultimi anni, forse perché non è urlata o sbandierata alla stregua di un comizio, ma è integrata alla perfezione nella struttura del film. Anche questo credo derivi dal fatto che ci troviamo di fronte a un B movie inconsapevole o che non voleva essere tale e finisce per esserlo quasi contro la sua volontà. L’idea degli spiriti di due stregoni di colore morti impiccati che si vestono con la pelle dei bianchi è davvero potente, e forse lo è di più in quanto ingenua, piazzata lì come un colpo di scena proprio nel momento in cui il film, da elegante e sobrio, diventa un tripudio di quella che noi cinefili colti chiamiamo caciara. Ed è deliziosamente perfida la battuta che Mama Cecile, nei panni della povera Caroline, rivolge al marito: “La prossima volta la voglio nera”.

Un film che si basa su un presupposto tanto semplice quanto agghiacciante: credere vuol dire soccombere. In questo, somiglia davvero a un classico degli anni ’40, con l’ingresso del soprannaturale che avviene in maniera graduale, senza grossi scossoni, che cresce e si espande come la lussureggiante vegetazione del giardino di casa Deveraux o come una trappola che lentamente si chiude intorno alla sua vittima designata, portandola proprio dove i carnefici hanno deciso che vada, facendole compiere tutta una serie di azioni che lei (e noi) crede salvifiche e che al contrario sono solo il sentiero verso la rovina. Aggiungete a questo l’atmosfera calda e appiccicosa del Sud, rotta da repentini e furiosi temporali, la parlata strascicata dei personaggi, i terreni paludosi, gli alligatori, il sudore sulla pelle, le location volutamente folcloristiche e avrete un film che butta tutte le sue ambizioni di produzione di serie A alle ortiche e si mostra per ciò che è: un B movie sgangherato e adorabile da gustare ad Halloween.

8 commenti

  1. Non sei l’unica! Piacque molto anche a me, a suo tempo. Ma è una vita che non lo rivedo. Forse è il momento di rimediare…

  2. valeria · ·

    quanto mi piace questo film! adoro l’ambientazione e il twist finale, e ho sempre provato molta simpatia anche per il personaggio di caroline, che si comporta in un modo decisamente più sensato e verosimile di molte altre sue “colleghe” del genere horror.

    (se decidessi di continuare con la “rubrica spettrale”, personalmente ne sarei felicissima! :D)

  3. Un film molto bello, per tanti motivi che, a dirne uno solo, si rischia lo spoiler.
    È un film in cui la fede forse non smuove le montagne, ma le anime sì, poco ma sicuro 😛

  4. No, spiacente ma non piace solo a Te.

    Pensato di recente a questo film mentre guardavo Get Out ma, ovviamente, non c’entra nulla.

  5. a me è piaciuto sin dalla prima volta che l’ho visto, mi ha incollata alla poltrona 🙂

  6. Giuseppe · ·

    Mea culpa, ma non riesco proprio a ricordarlo (e qui ho dovuto rischiare anche qualche spoiler per averne conferma), ragion per cui per me sarà come una prima visione a tutti gli effetti… ecco, magari scoprirei altri interessanti titoli dimenticati se -così, per dire- la rubrica spettrale proseguisse oltre Halloween 😉

  7. L’ho amato tantissimo questo film, e specie la prima volta, beh non me l’aspettavo il risvolto che prende, per me è stata una bella botta. E’ bello tutto dai dialoghi all’ ambientazione, adoro quelle case antiche e decadenti che sembrano decomporsi quanto i personaggi. Non fa paurissima, (The Others mi aveva terrorizzato a morte) ma è bello da seguire, facendo il tifo per la ragazza, anche se si sa che andrà a finire malissimo. Ma non si sa come, e c’è sempre una speranzuola che se la cavi. Bella anche la musica, molto d’atmosfera. Gena Rowlands strepitosa, l’ho adorata in questo film.

  8. A me è piaciuto molto e lo trovo veramente inquietante. Non sono più riuscito a vederlo come The Mist perché mi disturbano nel profondo.

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