Fantasmi per Halloween: Le due case sulla collina

Venerdì vi ho mentito: la rassegna sui fantasmi non è finita e anzi, avremo anche un post domani, in via del tutto eccezionale per il palinsesto del blog. Ma Halloween ha deciso di cadere di martedì e io non posso che adeguarmi, giusto?
Vado a memoria ma, nonostante ne abbiamo parlato tante volte, non mi pare di aver mai dedicato un articolo intero a un film di William Castle (contradditemi se sbaglio: non ho voglia di spulciare sei anni e mezzo di post), una lacuna che andava colmata a ogni costo.
Tra i cialtroni che hanno fatto grande la storia del cinema, Castle è forse il più cialtrone di tutti, ma anche il più geniale, nel suo essere un totale cialtrone.
Produttore, regista, attore, sceneggiatore (lo sapete che lo script de La Signora di Shanghai è suo?) e grande uomo d’affari, Castle arriva relativamente tardi nel mondo delle produzioni horror di serie B e per la precisione nel 1958 con Macabro, quando alle spalle aveva una rispettabile carriera di regista di drammi, film d’avventura e film bellici. Lo si tende a ricordare per i trucchi dozzinali con cui amava promuovere i suoi horror, dai sacchetti per il vomito alle assicurazioni sulla vita per eventuali morti di paura durante la proiezione, dai “visori per spettri” ai marchingegni elettronici sotto ai sedili per farli vibrare durante i momenti più concitati del film.
Certo, è un’aneddotica interessante, divertentissima e anche rievocata con nostalgia da Joe Dante nel suo film migliore, ma Castle non era solo questo: era un regista in grado di girare un film dell’orrore in poche settimane e di portare a casa sempre risultati più che dignitosi, quando non eccellenti; era uno che sapeva come far paura, anche a prescindere dai trucchetti; era uno che aveva scoperto il meta-cinema ancora prima che questo termine esistesse, insieme alla rottura della quarta parete; più di tutto il resto, Castle ha lasciato un segno profondo nell’immaginario di un’intera generazione di registi che a lui si sono ispirati ed è tra gli inventori del linguaggio dell’horror moderno.

La Casa dei Fantasmi (House on Haunted Hill) è il suo secondo horror, con protagonista Vincent Price e un’apertura da brividi: schermo nero e diversi secondi di urla e suoni raccapriccianti. Il film contiene anche uno dei primissimi jump scares propriamente detti della storia del cinema, l’apparizione della vecchia cieca alle spalle della povera Nora (Carolyn Craig), una cosa che deve aver fatto saltare fino al soffitto milioni di spettatori dell’epoca, non abituati  a questo genere di cose.
Anche La Casa dei Fantasmi aveva il suo meta-trucco: uno scheletro luminoso che veniva fatto fluttuare sulle teste della platea alla fine del film, ma non ha molta importanza. Ciò che stupisce, guardando questo antico B-movie è la modernità del racconto, una versione cinica delle Old Dark House degli anni ’30, dove i fantasmi sono l’ultima cosa di cui avere paura e la vera minaccia è l’avidità.
Price interpreta un miliardario che organizza una festa per il compleanno della sua quarta moglie (le altre sono tutte defunte) in una casa infestata e offre a ogni invitato 10.000 dollari per passarvi la notte. In caso di morte, i soldi saranno equamente ripartiti tra i superstiti. La lista degli invitati comprende sei persone che hanno un disperato bisogno di denaro, chi per pagare dei debiti di gioco, chi perché deve mantenere un’intera famiglia da sola, chi perché conduce uno stile di vita superiore alle sue effettive possibilità.
Passata la mezzanotte, le porte della casa verranno sbarrate e non si potrà più tornare indietro.

House on Haunted Hill è un piccolo film del terrore con una coerenza ferrea e, anche se realizzato quando Castle ancora non aveva ancora perfezionato i suoi marchi di fabbrica (manca, per esempio, l’intervento diretto del regista che si mette a chiacchierare con il pubblico nel bel mezzo del film), ne riassume molto bene la poetica, in quanto l’intero film è un gigantesco trucco dei suoi, una macchinazione nella macchinazione, orchestrata dal personaggio di Price che potrebbe quasi essere considerato l’alter ego del regista.
Il film si basa sull’assunto che la suggestione sia un’arma potentissima e, anche se in realtà c’è ben poco di cui aver paura, è la nostra mente a creare l’orrore. Del resto, tutto il cinema di Castle si basava sulla forza della suggestione di un pubblico forzato a collaborare dopo essere stato manipolato a dovere.
La Casa dei Fantasmi ha dalla sua alcune sequenze difficili da dimenticare, oltre quella che abbiamo già citato: l’apparizione del fantasma della moglie del miliardario alla finestra, ripresa poi pari pari da Tobe Hooper in Salem’s Lot (e a sua volta ripresa da Muschietti in IT), lo scheletro che esce dalla vasca piena d’acido, la mano che spunta da un angolo del corridoio e va a tappare la bocca di Nora, la testa nella valigia e via terrorizzando. Mi piacerebbe avere una macchina del tempo per tornare indietro al 1959 e assistere alla reazione del pubblico.
Il film fu un tale successo da spingere Hitchcock a dirigere, anche lui, un horror. Stiamo parlando di Psycho e c’è una certa giustizia poetica nel fatto che lo stesso Castle avrebbe poi firmato una delle migliori imitazioni del capolavoro di Hitchcock (per alcuni aspetti addirittura più audace del prototipo), Homicidal, nel 1961.

Facciamo un bel salto di quarant’anni in avanti e arriviamo al 1999, quando Robert Zemeckis e Joe Silver fondano la Dark Castle Entertainment, casa di produzione ispirata sin dal nome a William Castle. E infatti i primi due film della Dark Castle sono due remake del nostro geniale cialtrone preferito, House on Haunted Hill e I 13 Spettri.
Sto per dire una cosa che farà andare di traverso questo blog e la mia persona in generale a molti, ma io possiedo con gioia e orgoglio il dvd di entrambi i film e ho sempre preferito, come approccio ai rifacimenti, quello della Dark Castle rispetto a quello della gemella (e più famosa) Platinum Dunes. La Dark Castle nasce proprio dall’amore per il cinema di serie B e, al netto della modernizzazione dei temi e dello stile, entrambi i remake possono essere considerati degni discendenti dei loro progenitori.
Se però I 13 Spettri è un filmetto da due lire, che intrattiene il giusto ed è riservato solo agli affezionatissimi o ai feticisti del genere, House on Haunted Hill è un filmaccio in piena regola, estremamente adatto a una maratona della notte di Halloween, magari in una doppia visione con l’originale.

Dirige William Malone, che prima di naufragare miseramente, era stato anche una mezza promessa per il cinema horror, ed era comunque attivo dagli anni ’80, mentre il cast è composto da gente del calibro di Geoffrey Rush (nel ruolo che fu di Vincent Price e il cui personaggio si chiama proprio Price) e delle divine Famke JanssenAli Larter; in un piccolo ruolo, c’è persino spazio per Jeffrey Combs che affetta corpi a tutto spiano e, insomma, cosa volete di più da un remake di fine anni ’90?
House on Haunted Hill (in Italia, Il Mistero della Casa sulla Collina) è un omaggio sentito e affettuoso al cinema scalcinato di Castle, un film che devono tutti essersi divertiti molto a fare, con gli attori affiatatissimi, soprattutto Rush e la Janssen, gigioni al massimo nell’interpretare due coniugi che si detestano e fanno di tutto per ammazzarsi a vicenda.

Al posto della classica casa infestata dell’originale abbiamo un manicomio abbandonato, teatro di una sanguinosa rivolta dei pazienti contro un medico (Combs) che si divertiva a farli a pezzi; Rush è sempre un miliardario che offre una cifra cospicua a chi avrà il coraggio di passare la notte del compleanno di sua moglie tra le mura dell’ex manicomio, ma il suo personaggio è in qualche modo approfondito: è infatti diventato ricco gestendo luna park con trucchi ai limiti del possibile, tra ascensori che fanno finta di precipitare e binari delle montagne russe che si staccano facendo volare via i vagoni e l’abilità nel creare queste giostre molto particolari gli torna utile per riempire la casa di trabocchetti. Peccato solo che questo aspetto venga dimenticato in fretta e si opti invece per un’incursione diretta nei territori del soprannaturale puro. Come dice uno dei malcapitati invitati alla festa: “La casa è viva e tutti noi moriremo”.

La differenza sostanziale tra il film di Castle e il suo remake è tutta qui: nel primo i fantasmi non c’erano, nel secondo sì. Si perde dunque quel discorso sulla suggestione e sul potere del racconto del terrore che costituiva l’anima stessa dell’opera del ’59. Nel rifacimento del ’99 l’idea alla base è che a nulla valgono i reiterati tentativi di fregarsi del signore e della signora Price contro le forze soprannaturali che agiscono all’interno del manicomio. In parole povere: niente riesce a fotterti più di un fantasma vendicativo e incazzato nero. Che, se ci pensate, è infinitamente meno sofisticato rispetto a quello che era riuscito a fare Castle con un terzo dei soldi e con dei mezzi molto rudimentali.
Con questo non voglio dire che Il Mistero della Casa sulla Collina non sia uno spasso: lo è dall’inizio fino all’ultimo quarto quando deraglia del tutto in un tripudio di orrida CGI anni ’90 che io non so all’epoca cosa avessero in testa quando mandavano in giro questa roba impunemente, magari pensando fosse bella. Ma, se si esclude il finale che trascende i confini dell’umana decenza, è uno spettacolo dignitoso, molto splatter e con qualche anticipazione di quello che sarebbe stato lo stile del cinema dell’orrore nei primi anni del secolo che ancora doveva cominciare: accelerazioni, tagli rapidissimi, movimenti a scatti dei fantasmi che precedono di qualche anno quelli di Samara (tanto per fare un esempio) e qualche ammiccamento alla nascente codificazione del genere found footage.
Niente di eclatante, niente di paragonabile al gioiellino di Castle, ma godibile e rispettoso quanto basta.
Se volete celebrare degnamente Halloween, recuperateli entrambi e, già che ci siete, fate un monumento nel vostro giardino a William Castle. Se lo merita tutto.

2 commenti

  1. Giuseppe · ·

    Hai davvero quei due dvd? Beh, cosa posso dire a riguardo… nervi d’acciaio e puro sprezzo del pericolo! 😉 Scherzi a parte, tanto ho amato gli originali quanto proprio non mi è riuscito di fare altrettanto con i loro remake (anni fa ti avrei manifestato una moderata preferenza per I tredici spettri, ma più passa il tempo meno il film mi appassiona) nonostante la partecipazione di signori attori e signore attrici, specialmente per quanto riguarda Il Mistero della Casa sulla Collina: ho l’impressione che i tributi all’indimenticabile e indimenticato talento di William Castle funzionino molto meglio sotto forma di omaggio alla Dante -appunto- o di singole citazioni alla Hooper e alla Muschietti che non di remake aggiornati. Poi chissà, se Malone l’avesse girato nel momento di suo massimo splendore (nel decennio precedente) ci sarebbe magari potuto scappare pure un quasi- capolavoro…
    P.S. Quasi quasi mi riguardo anche 13 Ghosts in Illusion-O… van bene anche i classici occhialini 3D di carta, se li si usa una lente per volta (come il ghost viewer/remover originale) 😉

    1. Quello che tu dici è assolutamente e perfettamente comprensibile e anzi, ragionevolissimo 😀
      Solo che io, forse perché ero una giovincella, forse perché sedotta dai battibecchi Rush/Jannsen, non riesco a non voler bene al film del ’99.
      Che, è ovvio, non c’è neppure da mettere in paragone con l’originale, ma ho sempre trovato una visione molto gradevole.

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