Riprendiamo le vecchie e sane abitudini di una volta, con il giochino delle somiglianze e delle analogie, cercando sempre di non scivolare nello scontato. Con Something in the Dirt è più complesso del solito (ma forse lo dico ogni volta perché ormai sono anziana e gli anziani tendono a ripetersi), perché questo tipo di fantascienza cosmica non è molto diffuso al cinema, e quando invece ci affacciamo sul versante horror, si scivola subito nel lovecraftiano a base di tentacoli, che a me piace, sia chiaro, niente in contrario e grandissima tifosa dei tentacoli, però non è la cosa che cerchiamo. Se avete visto il film di Benson e Moorhead, credo che il paragone più immediato sia quello con Primer, e quindi il film del 2004 non sarà presente in questa lista, perché a me piace complicarmi la vita. Vediamo cosa è uscito fuori e speriamo che vi piacciano le mie scelte o che siano dei consigli di visione utili.
Andiamo, come sempre, in ordine cronologico.
1. Quatermass and the Pit – Regia di Roy Ward Baker (1967)
La collaborazione tra la Hammer e Nigel Kneale (per tacere del regista più innovativo a disposizione della celebre casa britannica) porta a questa abbuffata cosmica che sembra la semplice vicenda della scoperta di un’astronave aliena nella metropolitana di Londra, ma in realtà nasconde qualcosa di molto più vasto, antico e minaccioso. Ora, vasto, antico e minaccioso sono proprio i tre aggettivi che mi vengono in mente per descrivere i fenomeni osservati dai due protagonisti di Something in the Dirt. Poi certo, siamo nel 1967 e non nel 2021, il film della Hammer deve dare una spiegazione complessiva al tutto (anche se, per l’epoca, resta sempre un qualcosa di irrisolto, di profondamente perturbante, anche dopo i titoli di coda) e avere una struttura narrativa ancora tradizionale, ma i territori sono gli stessi, la paura generata dal doversi confrontare con l’ignoto in un tutta la sua enormità anche. So che di Quatermass and the Pit ne ho parlato allo sfinimento, ma credo anche che non se ne parli mai abbastanza.
2. Cigarette Burns – Regia di John Carpenter (2005)
Facciamo un bel salto in avanti di quasi quarant’anni e andiamo a rispolverare una delle cose più belle mai dirette dal Maestro in persona. Cigarette Burns non è tecnicamente un film, anche perché dura meno di un’ora; fa parte della serie tv ideata da Mick Garris Masters of Horror e andata in onda su Showtime per due stagioni, dal 2005 al 2007. Era una serie antologica, molto simile, come impostazione, a Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities, ma con un quindicesimo del budget e per il piccolo schermo dei primi anni 2000, quindi con tanta miseria e poca considerazione artistica. Cigarette Burns è l’ottavo episodio della prima stagione e racconta della ricerca da parte di un collezionista di film rari di una pellicola maledetta. Se conoscete e avete visto questo mediometraggio, non avete bisogno di sapere altro per farvi venire i brividi al solo ricordo; se non avete idea di cosa sto parlando, meglio così, i brividi vi verranno appena ci metterete le mani sopra. Cosa ha a che spartire con Something in the Dirt? C’è una ricerca sembra girare a vuoto, un mistero che non ha soluzione, una fitta trama di collegamenti e cospirazioni, e come ciliegina sulla torta, il fattore metacinematografico che in entrambi i film rappresenta quasi un portale per far entrare nel nostro mondo cose che sarebbe meglio tenere fuori.
3. John Dies at the End – Regia di Don Coscarelli (2012)
Tutto questo porre l’accento sui misteri dell’universo, sull’orrore cosmico e su quanto siamo mingherlini e indifesi rispetto all’eternità rischia di farci dimenticare che Something in the Dirt, per quanto feroce, è anche una commedia, anzi, una specie di buddy movie che racconta l’amicizia tra due persone alle prese con un qualcosa di molto più grande di loro. John Dies at the End, pur con tutta la follia scatenata di Coscarelli, racconta esattamente questo, ed è un film horror cosmico-caotico, nel corso del quale si assiste a un accumulo di indizi, di fenomeni, di manifestazioni del soprannaturale che avvengono senza alcuna spiegazione e semplicemente perché è data per acquisita l’idea di vivere in un mondo pieno di enigmi e di bizzarrie assortite: ci si può scivolare dentro senza nemmeno rendersene conto, ma nel momento in cui ci capita di posare gli occhi su una di queste cose strambe e inspiegabili, ecco che poi, a catena, cominciamo a vederne altre, a sperimentarne altre, a subirne altre. Il meccanismo è più o meno lo stesso di Something in the Dirt, e comunque io John Dies a the End lo vedrei a prescindere.
4. Time Lapse – Regia di Bradley King (2014)
Restando sempre nell’ambito del cinema indie camera e cucina perché i soldi per altri ambienti non ce ne sono, questo piccolissimo film sui viaggi nel tempo è passato un po’ troppo inosservato, e io lo trovo molto ingiusto. Racconta di tre amici che scoprono un apparecchio capace di fotografare il futuro, sintetizzando al massimo e senza addentrarsi in descrizioni troppo particolareggiate. È davvero un film minuscolo, cervellotico e intricato, ma a differenza anche di Primer, che ha fatto un po’ da modello a tutti questi prodotti a basso budget con lo scopo di mandare in pappa il cervello allo spettatore, sta anche molto sui personaggi, non mira soltanto a stordire con il meccanismo da mal di testa. Ed è un po’ anche quello che fa Something in the Dirt: alla fine, ciò che conta è il rapporto tra i due protagonisti, il modo in cui la scoperta soprannaturale (la chiamiamo così per comodità, perché non è proprio il termine corretto) influisce su di loro, li logora, li deteriora e, allo stesso tempo, deteriora la loro relazione. Insomma, se il mumblecore incasinato fa per voi, Time Lapse dovreste proprio recuperarlo.
5. Black Mountain Side – Regia di Nick Szostakiwskyj (2014)
Per chiudere, ce ne andiamo nel gelo canadese in compagnia di un gruppo di archeologici alle prese con uno strano artefatto sepolto nel ghiaccio e risalente a qualche migliaio di anni addietro. Ovviamente, quando si trovano strani artefatti sotto strati e strati di ghiaccio bisognerebbe girare al largo o al limite chiamare un esorcista, e invece questi si mettono a studiarlo e, ben presto, la struttura comincia ad avere effetti molto particolari su di loro. I membri dello staff nativi se ne vanno, i rifornimenti dalla civiltà smettono di arrivare, l’isolamento gioca brutti scherzi e le cose prendono una piega sinistra e violenta.
Anche questo film è molto piccolo, dalle risorse molto limitate e fatto con niente. Però credo sia l’unico, tra quelli presenti nella lista, a fare davvero paura, perché anche Carpenter, volutamente, non mira poi a spaventare, ed è più una riflessione filosofica sul cinema e sullo sguardo. E voi lo sapete, la zampata horror finale ce la dovevo mettere per forza. Mi ricordo che all’epoca è stato ignorato bellamente e persino io l’ho recuperato con un certo ritardo rispetto all’anno in cui è uscito. Non commettete l’errore di sottovalutarlo perché è una discreta esperienza da incubo.
Che bel post!
Time lapse mi manca.
Grazie! A me Time Lapse ai tempi piacque un sacco. Strano e davvero povero, però interessantissimo!
Non riuscirò mai a dire “stavolta li conosco tutti”… 😉
Segno… e tanta voglia di rivedere Cigarette Burns e John dies at the end…
Non centra ma lo scrivo qui perché sono quasi tutti film di cui ho letto nel blog: nei mesi scorsi ho recuperato The Banishing (molto bello), Agnes (inaspettato), Slumber Party Massacre 2021 (divertimento e non solo…).
Ho rivisto Non si sevizia un paperino (dopo molti anni: mamma mia…) e ho pensato che sarebbe fico riparlarne.
Per caso ho scoperto una horror comedy degli anni 80 che non conoscevo che mi ha divertito notevolmente (e che ho pure trovato interessante): Once Bitten (“Se ti mordo sei mio”, tipo…)
Besos!
Non ho visto Something in the Dirt ma da quel che scrivi e dai lavori precedenti di Benson e Moorhead c’è molto in quest’ultimo loro lavoro dei temi e delle atmosfere di They Look Like People di Perry Blackshear (2015), anch’esso alla fine un più sci-fi weird dal budget limitato con al centro il tema di una amicizia tra due uomini caratterialmente distanti; e poi ancora l’ossessione e il complotto… Ripescherei anche El Incidente (2014) che è condito della stessa salsa cervellotica e intricata (come dici) di Timelapse (sebbene il finale spieghi anche troppo) ma con la componente amicizia (due fratelli e una famiglia) assente. Che dire degli horror ambientati nei ghiacci? Sono tra i miei preferiti e partono già con un punto di vantaggio, lì nel gelo dove il protagonista è sempre è solo il bianco, bianco “capace di accrescere quel terrore fino all’estremo” e che “adombra i vuoti e le immensità crudeli dell’universo” per dirla alla Melville e, ogni volta, con la speranza che ripetano il miracolo de La Cosa.
Di Quatermass and the Pit non se ne parla mai abbastanza, vero, e qualche volta andrebbe ricordata anche la miniserie BBC del 1958 che, pur dandoci un finale più netto rispetto alla versione cinematografica, non attenua il senso di inquietudine e la necessità di tenere alta la guardia nei confronti dell’ignoto 😉
Per il resto, recupererò sicuramente l’unico titolo che sono matematicamente certo di non aver ancora visto e cioè Black Mountain Side (a Time Lapse, però, credo di dover comunque dedicare una seconda visione più approfondita dato che alla prima ho fatto un po’ di fatica a star dietro al tutto, lo ammetto)…