A Wounded Fawn

Regia – Travis Stevens (2022)

Quando, qualche mese fa, è uscito Fresh, mi sembrava dii essere precipitata in una delle varie versioni de L’Invasione degli Ultracorpi, perché stava piacendo parecchio a un gran numero di persone, mentre io proprio non riuscivo a capire cosa ci fosse di così esaltante, ma neppure cosa ci fosse di così sbagliato da avermelo fatto andare di traverso. Ci ho anche scritto un articolo per riuscire a capirlo e non credo sia particolarmente soddisfacente. Ci voleva un film della Madonna come questo per farmi capire quanto fosse deficitario Fresh nel raccontare una vicenda con delle premesse molto simili. La prima differenza macroscopica che si nota è che Stevens (che al terzo film da regista non ha sbagliato un colpo) per raccontare la sua storia ci mette meno di 90 minuti, mentre Fresh dura quasi due ore. Ma la chiuderemo qui con i paragoni, che non sono mai troppo eleganti. Mi serviva giusto per farvi notare come spesso i piccoli film poco strombazzati sono in realtà molto più interessanti di quelli a proposito dei quali si chiacchiera tanto, e per segnalare alla vostra cortese attenzione che Travis Stevens non è più soltanto uno da tenere d’occhio (ma già non lo era dopo Jakob’s Wife), ma uno dei più solidi ed eclettici registi horror del circuito indipendente. 

Bruce (Josh Ruben) è un assassino seriale di donne giovani e belle. Le conosce perché lavora nel mondo dell’arte e, nello specifico, si occupa di comprare all’asta dei pezzi pregiati. Lo vediamo in azione la prima volta dopo aver perso in una contrattazione la scultura intitolata “La furia delle Erinni”, che avrà in seguito una certa importanza per la trama del film. Dopo aver assistito al primo omicidio commesso da Bruce (il primo del racconto, non della sua presumibilmente lunga carriera), conosciamo l’altra protagonista di A Wounded Fawn, la gallerista Meredith (Sarah Lind); di lei capiamo che è uscita da un po’ da una relazione abusiva, che sta cercando di riappropriarsi della sua vita e che ha conosciuto un uomo interessante, ci è uscita qualche volta, e ora si prepara a passare il fine settimana nella sua casetta di villeggiatura. 
L’uomo è ovviamente Bruce, e qui dovremmo già essere edotti su quello che sta per accadere una volta arrivati nella “cabin in the woods”, ma non è così, ve lo assicuro, perché quella che comincia nella seconda metà del film è una delle esperienze più deliranti, allucinatorie, liberatorie e catartiche mai messe su pellicola. 

Non ho detto pellicola a caso: quel matto di Stevens ha girato A Wounded Fawn in 16mm, e chiunque possieda un paio d’occhi se ne accorge al fotogramma numero uno, perché è vero, è anche giusto, che siamo abituati al digitale, che può essere bellissimo, pulito, offrire possibilità infinite a chi ha budget ridotti e permettere a chiunque di fare il proprio film in cortile, ma quando il nostro sguardo si posa sulla pellicola, ci rendiamo conto della diversità, della pasta, della profondità, del calore emanato dalle immagini, e non c’è niente da fare.
A maggior ragione in un film come questo, la cui estetica è pesantemente influenzata dal cinema sperimentale anni ’70 da un lato, e dal Giallo italiano dall’altro. C’è anche un genitore tre, a voler essere precisi: Evil Dead, soprattutto il secondo capitolo. Immaginate che Ash sia un pezzo di merda e le entità che lo perseguitano siano le sue vittime, e avrete un quadretto abbastanza chiaro dell’andazzo preso da a Wounded Fawn. Non credo sia casuale che il protagonista si chiami Bruce. 

Il 2022 è stato un anno molto intenso per l’horror, da parecchi punti di vista, e per le tematiche più disparate, ma possiamo dire che la violenza di genere sia stato un argomento molto battuto. I due film che hanno affrontato meglio la questione sono Resurrection e, appunto, A Wounded Fawn, ed è singolare che entrambi scelgano una prospettiva profondamente weird e antirealistica. Più quieto, anche più centrato se vogliamo, Resurrection, più esplosivo, caotico e disordinato il film di Stevens, un regista che, se riflettiamo sulle sue opere precedenti, di violenza di genere ha sempre parlato, psicologica o fisica.
A Wounded Fawn ha anche la peculiarità di inserirsi in un filone che con il discorso sulla violenza di genere ha sempre flirtato, ovvero quello del “ritratto del serial killer”. Quanti individui tormentati, sempre o quasi maschi, tristi e sofferenti abbiamo visto deragliare nell’omicidio e quasi trattati dai rispettivi registi con pietà ed empatia, di solito o perché la mamma non voleva loro abbastanza bene o perché qualche femmina sconsiderata aveva commesso l’imperdonabile errore di non dare loro retta. Il nostro Bruce, qui, è sicuramente un individuo tormentato: vede una strana figura mascherata da gufo che lo spinge a uccidere, o così dice, dato che noi guardiamo tutta la storia attraverso i suoi occhi, ma Stevens ci tiene a far precedere il suo primo omicidio da una lunga sequenza durante la quale la sua futura vittima lo castra a livello metaforico, da un punto di vista professionale. E qui torna il vecchio adagio: la più grande paura degli uomini è che le donne li ridicolizzino, quella delle donne è che gli uomini le ammazzino.

Alla fine, Bruce può fingere di essere spinto a uccidere da una misteriosa creatura piumata che emette una luce rossa, può dunque inventarsi tutte le motivazioni “poetiche” che desidera: Stevens la verità dei fatti ce la mostra subito, e non ci lascia alcun dubbio. È un predatore che, per circostanze di natura (forse) soprannaturale, si ritrova a essere la preda, in una lunga e terribile nottata nel corso della quale le Erinni in persona prendono vita, assumono le sembianze delle sue vittime, e lo mettono di fronte alle proprie miserie, alla propria meschinità, al disgustoso, ignobile essere umano che è.
È difficile sposare il punto di vista di un personaggio così esecrabile senza tuttavia generare nello spettatore alcuna forma di coinvolgimento nei suoi confronti. Per questo Stevens, che è uno molto intelligente, inserisce una sezione centrale in cui la prospettiva non è quella di Bruce, ma quella di Meredith e del suo progressivo accorgersi che nella casa dove dovrebbe passare un fine settimana, qualcosa non torna. E non torna per due motivi: il comportamento di Bruce, sempre più erratico e stravagante (diciamo così), e alcuni fenomeni inspiegabili che avvengono all’esterno; voci, apparizioni, luci che si accendono da sole, rumori, come se lì fuori ci fosse qualcuno pronto ad aggredire la giovane coppietta. Meredith non sa che lì fuori non c’è nulla di minaccioso, ma al contrario, ci sono le sue alleate. 

A Wounded Fawn è un testo pieno di sfaccettature, che mischia il cinema sui serial killer con l’horror soprannaturale, con il revenge movie e impacchetta il tutto in una cornice mitologica allo scopo di creare un’orgia visiva che assorbe completamente l’ultima mezz’ora di film e incanta, terrorizza, diverte ed esalta lasciandoti in preda a un delizioso sbalordimento. Si aspetta la prossima trovata, la prossima follia, la prossima tortura inflitta a Bruce e, ogni volta, le nostre aspettative vengono superate in un crescendo delirante. Potrebbe mettere a dura prova chi non digerisce bene una forma di linguaggio così sperimentale e sregolata, ma se un minimo siete degli appassionati del cinema horror più caotico degli anni ’70, allora andrete in visibilio come è accaduto a me, che se soltanto avessi visto questo film prima della fine dell’anno, lo avrei piazzato nella top 3.
Perché non è facile mettere in scena un’opera che sappia essere allo stesso tempo rigorosamente teorica e visionaria (scusate, ancora non lo avevo detto), che sappia intrattenere e sconvolgere, che non voglia essere innocua (Fresh, sto parlando con te) e anzi, scelga, con precisione e coerenza, di sfidare lo spettatore e metterlo di fronte a un qualcosa di ostico e bellissimo. Insomma, io ve lo dico: A Wounded Fawn è una furia e non potete in alcun modo sottrarvi alle sue grinfie. 

4 commenti

  1. Blissard · · Rispondi

    Bellissima recensione.
    Io avevo le aspettative a mille, lo avevo sentito magnificare in ogni dove e (forse per questo) la delusione è stata cocente. Detto francamente, l’ho odiato, soprattutto per le immense possibilità che, IMHO, butta clamorosamente a mare.
    Ti riporto quanto scrissi post-visione:

    Pervaso da sacro furore sedizioso, Travis Stevens orchestra la storia di un serial killer disseminando il set di opere d’arte e di fugaci apparizioni di creature soprannaturali, utilizzando un registro ondivago tra il thriller di grana grossa, lo splatter psichedelico di certi prodotti nipponici e il parossismo caustico de La Casa e sperando che il tutto finisca con l’avere una sua coerenza interna.
    Il risultato è un pasticcio folk horror carente nelle premesse (tutto questo bailamme si riduce all’usurato cautionary tale “donne, attente agli uomini, non fate le stupide e non fidatevi!”) e insoddisfacente negli sviluppi, non privo di un certo gusto estetico ma indisponente nel suo complesso.

    Dopo avere letto la tua rece mi è venuta (un po’) di voglia di rivederlo, ma non so se lo farò a breve.

  2. Sei un po’ troppo dura con Fresh, non credo che Fresh avesse voglia di fare altro che intrattenere – senza pretese – più di quanto abbia fatto, ad esempio, Run Sweetheart Run; tra l’altro la decisione di puntare sulla impalpabile Edgar-Jones ci dice molto su cosa guidava le scelte della Cave (anche La Ragazza della Palude, che si allontana dal suo romanzo con atmosfere un po’ troppo melò e romance deve molto di questo alla bella ma inconsistente attrice inglese).
    A Wounded Fawn è un’opera compiuta, ambiziosa, straniante e la chiave di lettura, secondo me, sta già nella citazione in esergo di Leonora Carrington: “All’improvviso mi accorsi di essere mortale e tangibile e che potevo essere distrutta” perché la grande paura degli uomini è (sempre stato) il potere delle donne, come ricorda alla fine anche Meredith/Tisifone a Bruce (Il potere delle donne nel Medioevo è un saggio di George Duby e, ne I peccati delle donne nel Medioevo, ancora lo storico degli Annales nel ripercorrere le tare e i difetti che gli uomini ascrivono al “secondo sesso” trova spazio anche l’indocilità verso la tutela maschile: stiamo ben al di là del timore di essere ridicolizzati). C’è un senso di inferiorità e, quel potere che l’uomo non possiede, egli si ostina e illude di potersene appropriare strappandolo. Uccidendo.
    Nel lavoro di Stevens (due atti, il primo preparatoria al secondo, non complementare) tutto è studiato a tavolino: il protagonista, Bruce, di cognome fa Ernst come Max uno dei padri del surrealismo e, nella vita, compagno di… Leonora Carrington. E c’è molto del surrealismo in questo lungometraggio dove i processi dell’inconscio e della psiche nel secondo atto prendono il sopravvento sulle sensazioni appena accennate del primo: sotto questo punto di vista A Wounded Fawn lo accosterei a Men (dal tema della violenza di genere, in Garland più psicologica alla Resurrection all”’orgia visiva”; dalla “cornice mitologica” alla scelta di offrire una predominanza cromatica alla visione: rossa per Stevens, verde per Garland). Solo che là dove Men era esteticamente ricercato sino al calligrafico (gli faceva difetto anche un eccesso di didascalismo) A Wounded Fawn è visionario, sincero. Davvero un bel film, resta da capire come su IMDb abbia appena 5,5. Ma tant’è.

  3. GRAZIE per avermi fatto scoprire questa perla!

  4. Qualsiasi riflessione il cinema possa offrire sulla questione “violenza di genere” è ben accetta. E capisco anche possano piacere la grana anni 70 e le deviazioni weird. Fatico però a condividere l’entusiasmo verso un film che non dice nulla di nuovo e sceglie di farlo con modalità già viste, è recitato da cani, e sfocia spesso nel ridicolo involontario (penso agli effetti speciali (volutamente?) cheap, alle chiappe alla piastra, alle (simpatiche) “interiora con occhioni” del gufo etc.), autosabotando fin da subito qualsiasi tentativo di procurare inquietudine. Un paio di trovate visive azzeccate nella seconda parte bastano a rendermi curioso riguardo i prossimi lavori di Stevens, ma non a fargli raggiungere la sufficienza.
    (Per quello che conta, trovo AWF più paragonabile a Men che a Fresh, nelle premesse e nello sviluppo delirante. Li ho preferiti comunque entrambi, nettamente, ad AWF)

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