
Regia – David Gordon Green (2022)
La giornata di oggi ha un tema piuttosto vago e non facile da decifrare: The G.O.A.T. che sta per The greatest of all time. Ora, il problema è la natura di questo greatest: l’horror più grande di tutti i tempi? Il regista? Il franchise? Il personaggio? Credo che la scelta sia assolutamente libera, e anche se così non fosse, chi ci verrà mai a controllare? Di conseguenza, ho deciso che The greatest of all time è Jamie Lee Curtis, e che qualcuno si azzardi a contraddirmi.
Inoltre, non potevo far passare ottobre senza scrivere qualcosa sull’ultimo capitolo, definitivo, della storia di Michael e Haddonfield: è una storia che, nel bene e nel male, accompagna gli appassionati di cinema horror, e non solo, da più di 40 anni. Per molti di noi, ha coinciso con l’intero arco della propria esistenza. Di sicuro ha coinciso per me, che sono nata l’anno di Halloween. E, in questo senso, Halloween stesso è The greatest of all time.
L’anno scorso, in occasione dell’uscita di Halloween Kills, e in seguito alla reazione scomposta del fandom, azzardavo un paragone tra il secondo capitolo della trilogia di Green e The Last Jedi, in parte perché il secondo capitolo di una trilogia è quello difficile per antonomasia, in parte perché Kills è stato parecchio controverso. Ero evidentemente giovane e ingenua: non potevo sapere quanto sarebbe stato controverso Ends, quanto veleno si sarebbe trascinato addosso e quanto coraggio avrebbe dimostrato nell’andare contro ogni aspettativa, nel ripudiare il fan service, nel voler portare, magari in maniera un po’ goffa, una saga slasher, che slasher è sempre stata, in una direzione completamente nuova.
Quello che si capisce, a voler guardare con attenzione la trilogia nel suo complesso, e senza pregiudizi di sorta, è che si tratta di una storia unica, meditata e studiata con attenzione alle origini. Quando la Blumhouse ha deciso di resuscitare Halloween lo ha fatto avendo in mente un progetto. Cosa che, per esempio, la Disney non è stata in grado di fare.
L’ovvia ripercussione sui singoli film è una coerenza ferrea, tanto che se a qualcuno un bel giorno venisse in mente di fare una sorta di supercut dei tre film, ne uscirebbe una vicenda unica, compiuta e rotonda. Che può piacere e non piacere, anche perché è un processo niente affatto tradizionale, che arriva a rinnegare il genere stesso di appartenenza di Halloween, che porta la nozione di Uomo Nero da nemesi individuale a fantasma collettivo e, seguendo proprio la scia del tanto vituperato Kills, pone il personaggio di Michael su un piano diverso. Non è più o non è mai stata una faccenda a due tra Michael e Laurie: è tutta Haddonfield ad aver patito l’impatto di quella terribile notte di Halloween del 1978. Con questo approccio, salta interamente la nozione di final girl e cambia la concezione di Male, perché non lo si può più circoscrivere. Una volta abbattuto il dualismo, una volta stabilito che il problema è di una intera comunità, il male può propagarsi indisturbato e diventare ancora più insidioso.
Se Halloween Kills era il film di Michael, quello in cui il nostro assassino mascherato era l’assoluto protagonista e mattatore, qui appare poco. Per difendere il film dai detrattori, alcuni fan hanno pubblicato il minutaggio riservato a Michael nel film di Carpenter del ’78 e in questo, sottolineando come sia più ampio oggi rispetto ad allora. Non hanno tuttavia considerato che Ends dura una ventina di minuti in più del capostipite, e che quindi sono calcoli che lasciano il tempo che trovano e, soprattutto, non rendono giustizia all’intento del film, che consapevolmente e non per errore o puro accidente, sposta il fulcro del racconto su un altro personaggio, quello di Corey (Rohan Campbell), segnato in maniera indelebile non tanto da Michael, quanto dall’alone di terrore e crudeltà che questa figura ha sparso intorno ad Haddonfield e ai suoi abitanti.
Il vero protagonista della storia è appunto Corey: senza fare spoiler, Halloween Ends ricorda moltissimo, come impostazione narrativa, un altro film di Carpenter, anche quello mai troppo osannato, ovvero Christine. E qui mi taccio, perché ho già detto troppo.
Laurie, dal canto suo, è molto presente, all’apparenza pacificata, ma anche lei segnata da una relazione difficilissima con la sua stessa comunità, arrivata ad accusarla di essere la causa scatenante della follia di Michael e di tutto ciò che Haddonfield ha subito negli ultimi 40 anni e passa. Abbiamo poi la nipote di Laurie che forse è il personaggio più complicato, perché a lei Michael ha davvero tolto ogni cosa, e la sua risposta al trauma può anche risultare poco comprensibile. Tutto ruota intorno a questi tre personaggi e al loro rapporto con una città che si è incattivita e tratta i suoi elementi fragili con un disprezzo assoluto. Un piccolo centro che vive del ricordo di Michael, del suo ritorno, della strage che ha compiuto e che, a ogni Halloween, paga un tributo di sangue e dolore al proprio demone.
Il male non muore stanotte, perché il male non muore. Mai. Si propaga, è contagioso, entra nelle case, avvelena le persone, le cambia dall’interno. È questo il male, non un tizio armato di coltello e con una maschera. Il tizio può al massimo essere un simbolo e, come tale, va abbattuto, dimostrando che i mostri possono essere sconfitti. Ma il male in quanto tale no. Con quello, soprattutto se collettivo, è necessario venire a patti.
Detto ciò, Ends qualche problemino ce l’ha pure: è troppo corto, nel senso che alcuni passaggi narrativi risultano forzati e repentini e ci sarebbe stato bisogno di qualche minuto in più per dare loro il giusto respiro; rischia davvero di mettere troppa roba compressa in meno di due ore e, per quanto io sia sempre a favore della sintesi e della brevità e non ami particolarmente i mastodonti cinematografici che ti costringono a invecchiare in sala, in questo caso specifico, avrei voluto più tempo da passare in questa città e in compagnia di questi personaggi, perché se dai tutta questa importanza al contesto e poi, per ragioni di minutaggio, lo approfondisci il minimo indispensabile, rischi che, a conti fatti, ti manchi qualche pezzo del mosaico.
In compenso, la nostra greatest of all time ha uno scontro finale con Michael da mettersi a piangere e una conclusione degna di lei e di quello che ha significato il suo ruolo per il cinema horror dal ’78 a oggi.
Nel complesso, il bilancio che mi sento di fare di questa nuova trilogia è più che positivo, soprattutto per il coraggio dimostrato nell’abbandonare gradualmente il fattore nostalgia, nel non essere affatto compiacente nei confronti dei fan e nell’aver dichiarato, in maniera ufficiale che no, Halloween non è uno slasher.
Insomma, non è poco. Può starvi sulle scatole, ma non è affatto poco.
Nina Harltey, booty woman, non ci pensa affatto di ritirarsi (e per fortuna, aggiungiamo) ma per il Boogeyman, altrimenti noto come Michael Myers, è davvero giunto il tempo di andare in pensione, appendere la maschera al chiodo. E per fortuna – anche qui – direi. Se l’esperimento di Halloween Kills era riuscito: audace e coraggioso nel soggetto proposto (affrontare il tema del male spostandone l’attenzione dal suo aspetto ontologico, metafisico a storico: la ferocia umana, rintracciabile universalmente in ogni individuo ed epoca entra nella nella società); estremo, ancora, nella rappresentazione: il secondo capitolo della trilogia di Green è ferocissimo, la violenza brutale e mostrata senza pudore né compiacimento. Dunque cosa non va in questo Kills? Secondo me che non aggiunge nulla al lavoro precedente, non lo completa (perché il discorso era chiuso in sé) né mette i puntini sulle i (ogni cosa era a suo posto): così stancamente si mette a reiterare topoi già visti anche perché, dopo Cane di Paglia (1971), è davvero complicato aggiungere qualcosa di originale sull’argomento. Green ha fatto l’errore una volta raggiunto l’obiettivo prefissato (con Kills) di non tacere: un po’ come avviene quando al bar la ragazza carina che hai approcciato ha accettato l’invito a passare la notte con te. Silenzio! Una parola in più (Ends) non può che rovinare tutto.
GOAT negli ultimi anni sembra la parola più inflazionata dopo resilienza, e dobbiamo essere resilienti per non avere le scatole piene di questi lemmi che a furia di ripeterli hanno perso significato, facendosi quasi flatus vocis e nulla più. Ho molti GOAT, oggi il mio stato d’animo sussurra The Wicker Man, naturalmente quello diretto da Hardy non l’obbrobrio successivo con l’anodino Cage e la ex Sue Lyon di fine millennio, la deliziosa (anche di nome) Leelee Sobieski. The Wicker Man che si candida anche come best twisted ending, a mio avviso The Others (2001) dopo Una pura formalità (1994) e Il senso di Bruce per i bambini arriva un poco fuori tempo massimo.
Un terzo capitolo (probabilmente non conclusivo) che fa discutere parecchio, in effetti. Pur non avendolo ancora visto, però, ho l’impressione che Green non tenda tanto a voler ridimensionare il ruolo di Michael Myers in quanto personificazione del Male, quanto a tentare di riprendere e portare avanti -a mo’ di omaggio- un discorso interrotto ai tempi della saga originale: parlo di Halloween 4 – Il ritorno di Michael Myers, dove appunto si prospettava la possibilità che il nostro boogeyman potesse trasmettere ad altri la sua inumana malvagità…
E io che, a secco di slang, stavo già ripensando a due film “caprosissimi” da condividere con voi (“El dia de la Bestia” e “Black Sheep”)…
Sarà per un’altra messa (nera) in scena… anche se (spoiler) il finalone con lo “scapegoat” ci sarebbe anche…
Jamie Lee ovviamente batte tutto e tutti, dagli Avengers a King Kong. Come vi raccontavo l’altra volta, per me l’immagine più forte del primo Halloween non è l’assassino, ma lei nel disperato finale.
Anche se il mio G.o.a.t. di oggi è… il J.C. (con stampelle, ironia e tenera amicizia) di Dimensione Terrore!
Su Halloween, innanzi tutto mi avete illuminato: tre film potrebbero essere addirittura troppo pochi per affrontare bene tutto quello che c’è dentro, compresa la dimensione “di comunità” che prende Michael. Forse ci voleva una mini-serie come Midnight Mass (o proprio Flanagan per far risaltare di più storie, sfumature e personaggi).
I film son belli, super guardabili ma non mi hanno preso “dentro” (nemmeno quest’ultimo). Di testa però ci stanno alla grande tutte le considerazioni di questa e dei precedenti post e il plauso per l’operazione. Ecco, forse questi film mi hanno preso “di testa”. Sto cercando di capire perché…
Io che guardo i film per quello che mi danno emozionalmente (e come uno strano specchio interiore: ormai ogni racconto che mi prende mi riporta in qualche modo, direttamente o indirettamente, ad esperienze, incontri, relazioni… vissuti) ritorno sul (spoiler) finale che è forse il momento che mi ha colpito e inquietato di più. La comunità che distrugge unita il “male” che essa stessa ha prodotto l’ho vissuta come una specie di alter ego del mostro: se Laurie forse si libera e sconfigge il suo incubo, la sua comunità (che spinge un ragazzo fragile a di diventare un killer e incolpa del male la vittima che combatte l’ombra della strega) è un gruppo che non cambia, che non si guarda dentro e che rimane capace di uccidere (fisicamente o psicologicamente) anche senza che ci sia in giro l’uomo nero. La “catarsi” che vivevo anch’io in quel momento mi dava anche uno strano e sinistro fastidio.
Poi ho anche pensato a questo: se Michael ci ha accompagnato per tanti anni e, in fondo, ci ha fatto crescere e riflettere sul male, ora potremmo anche fare a meno di lui. Per sempre. Chissà, forse anche questo ci costringerebbe a fare dei passi avanti come narratori, spettatori, persone.
Vado a vedere come mai la porta sul retro è aperta.
Torno sub…
Besos!
Stranamente questa volta proprio non siamo d’accordo (non è vero perché nei podcast parlate sempre male del Kingkong del ‘76 che è bellissimo e spero prima o poi di spiegarvi perché da Kingkongolo patentato, a proposito un episodio sul King e la sua evoluzione ci starebbe). Il problema di Ends secondo me è proprio scritto male, faceva parte di un progetto già dal primo? Forse ma è proprio venuto male. Ci sono delle idiozie di sceneggiatura che lasciano a bocca aperta a cominciare da Laurie, purtroppo. Nel primo della trilogia è barricata in una casa fortezza mentre Micheal è in carcere perché non si sa mai, in questo Micheal è in giro da qualche parte dopo essere sparito alla fine di Kills e lei è così serena da intagliare zucche di Halloween, non ha nessun senso. L’idea del male che pervade la città e quindi può essere trasmesso è un spunto che rimane a accennato. E poi stravolgere la figura di Micheal è una scelta pessima. Micheal è quello che sopravvive alle pallottole e alle mazzate e per 3 quarti del film si lecca le ferite, forse è realistico ma Micheal è misterioso e sovrannaturale (nel primo film della nuova trilogia distrugge la faccia di uno con un pestone) e lo si riduce ad un assassino normale coi suoi acciacchi (e in ‘sti anni com’è sopravvissuto? Mangiando topi nel suo nascondiglio?) Son proprio rimasto deluso, già kills nn mi aveva entusiasmato perché puzzava un po’ di fascio. Si è voluto fare il passa più lungo della gamba parlando di massimi sistemi senza averne la capacità e riducendo tutto in maniera semplicistica (ci sono un sacco di altre cose secondo me dal suicidio di Corey che Laurie vuole uccidere, gli spara ma poi non vuole e piange etc etc). Mi tengo il primo che ho rivisto l’altra sera e aveva messo delle premesse che mi hanno un po’ illuso. D’altronde nessun Halloween è arrivato a 3 film di seguito con successo 😁. Grazie comunque per lo sbattimento che ti fai perché il tuo blog e i tuoi podcast son sempre eccellenti.
Innanzitutto grazie <3.
Sul film in sé, io credo che sia controverso e ci sta perfettamente che non piaccia, ci mancherebbe. A me questa trilogia è piaciuta tantissimo. preferisco Kills a Ends, devo ammetterlo, secondo me è più compatto e feroce. Ma se la guardo come un film unico, mi sento di battere le mani.
Avendo visto i tre Halloween di Gordon Green in sequenza (in occasione della maratona Halloween organizzata da una nota catena di cinema) devo dire che tra le prime due pellicole e il capitolo finale si nota uno stacco (sarà magari il balzo in avanti di quattro anni che fa la storia) si avverte. Detto questo anche a me Ends è parso un film coraggioso, che può piacere o meno, e soprattutto ben girato (penso alla sequenza della festa da ballo e Corey che una volta toltosi la maschera da spaventapasseri incontra la madre del bambino). Probabilmente mezz’ora in più di girato avrebbe aiutato a dipanare alcuni aspetti rimasti irrisolti o poco approfonditi (ma verosimilmente Ends non sarebbe piaciuto lo stesso). Nota a margine: ho letto che Gordon Green aveva pensato in fase di sceneggiatura ad un finale ambientato nella fabbrica Silver Shamrock di Santa Mira, ricollegandosi ad Halloween III, il che probabilmente avrebbe fatto incazzare ancora di più i fan, ma che io avrei trovato geniale. Su YouTube peraltro si trova il montaggio della sequenza finale da parte di un fan che fa proprio riferimento a questa possibile svolta.
Bella recensione, come sempre.
Grazie!
Mezz’ora in più sarebbe stata perfetta. Io avrei firmato col sangue per avere mezz’ora in più, e anche per avere quel finale
Un finale a Silver Shamrock avrebbe anche potuto fungere da spunto ideale per riprendere il progetto abbandonato ai tempi di Halloween III (sequel ambientati ad Halloween a scadenza annuale, slegati dalla figura di Michael Myers)…