
Regia – John Lee Hancock (2022)
E questa, signori, è la seconda fregatura che mi prendo nel corso della maratona di Halloween di Nightmare on Film Street. Come sapete, a me non piace affatto parlare male dei film, ma quando ci si imbarca in queste challenge, è una specie di lotteria, soprattutto se si decide di non limitarsi ad andare sul sicuro, ma di dedicarsi alla visione di cose molto recenti, in alcuni casi appena uscite. La prima fregatura l’ho presa con un film su cui nutrivo enormi aspettative, ovvero You Won’t Be Alone. Possiamo tuttavia affermare che si è trattato di una mezza fregatura: io mi sono annoiata a morte, ma non credo si tratti di un brutto film, anzi. Nel caso di questa trasposizione da un racconto di King, scritta da Ryan Murphy e prodotta da Jason Blum, ci troviamo al contrario nella zona crepuscolare di mediocrità streaming tipica di Netflix, e ci affoghiamo dentro come nel celeberrimo silos riempito di frattaglie di maiali in non so qualche capitolo della saga di Saw. Roba che sarebbe stato meglio vedere qualcosa di veramente brutto.
Il tema richiesto per il Day 27 era Back from the Dead. Non ho voluto andare a recuperare una classica zombata, perché meritiamo meglio di così, e comunque credo che i film di morti viventi davvero belli li abbiamo più o meno affrontati tutti qui sopra, nel corso degli anni. Mi sono andata quindi a cacciare in questa palude di mestizia, perché a me il racconto da cui il film è tratto non è dispiaciuto per niente, e anzi, vi consiglio di ascoltare la versione audiolibro di If it Bleeds letta, tra gli altri, da Will Patton, in maniera tale da tirare fuori almeno un qualcosa di buono dal post di oggi. Vero anche che Mr Harrigan’s Phone con l’argomento della challenge c’entra fino a un certo punto. Non si tratta di cadaveri rianimati, ma di una forma di comunicazione, tramite iPhone, che prosegue anche dopo la morte. Però è Back from the Dead, non Reanimated Corpse, e ci può benissimo stare.
Il film parla di un ragazzino, Craig (Jaeden Martell) assunto da un anziano milionario, il Mr Harrigan del titolo (Donald Sutherland), per leggergli dei libri. Tra i due si instaura un buon rapporto, Craig cresce e, invece di correre appresso alle ragazze e andare in giro con gli amici a sbronzarsi, continua indefesso a passare tre giorni alla settimana a leggere Dickens ad alta voce. A un certo punto, il padre gli regala il tanto sospirato iPhone e Craig ne regala uno a sua volta a Mr Harrigan. Essendo il film ambientato tra il 2004 e il 2008, gli smartphone sono ancora una faccenda abbastanza nuova e sconcertante. Alla morte di Mr Harrigan, oltre a ereditare un fondo fiduciario per il college, Craig eredita anche il telefono, ma commette l’errore di infilarlo nella tasca di Harrigan dopo il funerale. L’uomo viene quindi sepolto con l’iPhone. E Craig inizia a ricevere messaggi dall’oltretomba.
Il racconto di King fila come un diretto, si svolge lungo un lasso temporale più ampio, è estremamente generoso con i dettagli relativi alla piccola città di provincia dove vive Craig e, in fin dei conti, è il classico apologo soprannaturale sul prestare molta attenzione a ciò che si desidera e sulle conseguenze nefaste delle nostre azioni scellerate. E poi c’è tutto un sottotesto appena tecnofobico sul potere che gli oggetti hanno su di noi, su come, nel primo decennio del XXI secolo, in pochi avessero riconosciuto le insidie che si celavano dietro all’avvento degli smartphone, e sul fatto che, signora mia, creano dipendenza e non era molto meglio quando uscivamo fuori a giocare? Bisogna ammettere che King, per bocca di Harrigan, dice anche un paio di cose molto acute sul tema, anche se nel 2020 a fare profezie già avverate siamo un po’ buoni tutti. Al contrario, il film è come se avesse cancellato la parte interessante del racconto e si fosse portato dietro solo questa zavorra che bofonchia sul dove andremo a finire e questi giovani d’oggi.
È un peccato, perché i primi venti minuti non sono affatto male: la recitazione è ottima, Donald Sutherland è sempre una gioia da vedere sullo schermo, e Martell gli sta dietro con nemmeno troppa difficoltà; le interazioni tra i due sono calde, sentite, e ci si crede che si stia instaurando un rapporto di affetto profondo, per quanto sulla carta improbabile. Poi il film comincia a perdere colpi e non si riprende più, si trascina in un anonimato da sottofondo la domenica pomeriggio, si avvita su se stesso e non va più da nessuna parte, malgrado le premesse interessanti.
Ci sono i tipici elementi kinghiani come il bullo che tormenta il nostro protagonista, l’amore per i libri, la mancanza di punti di riferimento adulti, il dolore e il lutto, ma sono molto di maniera, molto buttati lì, senza una vera coesione narrativa. È un insieme di scene prive di collante e se ne esce sonnecchiati e vagamente esausti, chiedendosi come mai Netflix si sia attestata su questa modalità così squallida e comatosa, se c’è speranza di un’inversione di rotta o se, esclusi i grandi autori che ogni tanto iniettano un po’ di vita nel palinsesto, il destino del colosso dello streaming è quello di agonizzare e lasciarsi lentamente morire.
Il Day 28, ovvero oggi, parla di Scariest Scene. Di Scariest Scene potrei fare una top 100 senza alcun timore, ma se devo sceglierne una, allora vado con L’Esorcista III e la sequenza dell’ospedale.
Ciao. Non sapendo di dove postare, ascoltando lo speciale Halloween di Paura & Delirio, ti confermo che anche per me (classe 1977) Dan Aykroyd nel prologo de Ai Confini della Realtà è stato uno shock! ( Insieme alla sequenza finale del videoclip Thriller di John Landis, quando Michael Jackson si volta verso la camera e si scopre che anche lui è un mostro).
“Credo, sempre di più, che nell’eterna lotta tra figli e padri, gli unici a vincere siano i nonni. A distanza. Con discrezione. Quasi immortali, certo indimenticabili.”
OLD PEOPLE
Aveva iniziato Ron Howard nel 1985 (Cocoon) poi, inevitabilmente, dopo il folgorante esordio di Meneghetti col bellissimo Due (2019) – dove un tema oramai inflazionato (l’omosessualità) veniva però declinato con coraggio e sincerità nelle pieghe della terza età – credo si faccia dirimente ingegnarsi in qualcosa di davvero originale e fuori dagli schemi se si sceglie di raccontare attraverso l’horror la silver age. Missione fallita. Peccato, perché le premesse c’erano tutte: lo scontro generazionale (invero più di facciata che reale: oggi la quota 100 la finanziano i contratti precari degli ultra 50enni di Glovo et similia e che corrono in bici per le arterie delle metropoli); gli istituti-lager (l’indifferenza di Ella e Sanna davanti a questo abominio merita la giusta nemesi prevista dal canovaccio); l’invecchiamento della popolazione (ad essere sinceri non ovunque: in Iran l’età media è 32 anni, sempre che il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica si fermi con gli omicidi perpetrati sui manifestanti…). Insomma, le premesse c’erano tutte peccato che poi questo Old People dopo il buon incipit viri nel più trito e scontato e già visto zombie movie (con gli anziani nel troppo facile ruolo dei morti viventi, tutto qui il film). A ciò si aggiunga: personaggi bidimensionali (un certo Alex, la finta adolescente ribelle Laura e il noiosissimo Noah, probabilmente il nipote illegittimo di Mick Hucknall); ancora, una musica extradiegetica davvero invasiva e continui slow motion che svelano disarmante pochezza di idee. Il finale, poi, tragicomico e che fa il verso a T2 col piccolo particolare che tal Andy Fetscher non è l’ex marito della Bigelow. Infine: l’amore salverà il mondo? Ma de che! L’amore fa di più: l’amore costruisce e sostiene l’umanità. E comunque non questa mezza patacca propinata da Netflix.
p.s. Ageismo è un inglesismo e indica la discriminazione nei confronti di una persona in base alla sua età. Forse Back from the Dead può apparire decisamente off topic in un film che ha come tema la terza età ma questa scelta, encomiabile, di affrontare il tema della vecchiaia, tuttavia senza idee e con una banalità tale finisce solo per rappresentare i vecchi (i nostri nonni) come morti viventi pronti a ribellarsi. Nessun monito, nessuna emozione, niente cinema solo tanta prevedibile superficialità in questo che è l’ennesimo bruttissimo zombie movie.
Mi fido e passo.
Ma le storie di incontro e amicizia tra diversità (età, culture…) mi interessano molto. E mi è tornato in mente quanto sia bello leggere ad alta voce per qualcuno, o ascoltare la voce di chi legge per noi.
Per back from the dead invece vi segnalo “The Loneliest Boy in the World”, piccolo piccolo, non perfetto (anzi, e anche chissene) ma a suo modo con qualcosa da dire (e da suggerire, interpretare…).
Questo non centra, ma riflettendo sulla vita e sulla morte, sulla fantasia e il fantastico, sulla meraviglia mista al dolore… in questi giorni pensavo a quanto mi piace questo periodo dell’anno (Halloween e dintorni).
Besos!