Che ci volete fare, ho il dente avvelenato, ma cerco comunque di usare la mia rabbia in maniera costruttiva e, durante lo scorso weekend lungo, mi sono detta: “Vediamo se riesco a trovare almeno un film di zombie o affini recente che funzioni meglio di The Sadness”. Non ne ho trovato solo uno, ne ho trovati più di un paio, anche perché a funzionare meglio di The Sadness per quanto riguarda struttura, storia e personaggi, non ci vuole poi moltissimo. E poi mi sono incaponita sullo scegliere opere che non provenissero dagli Stati Uniti. Insomma, ho fatto una scorpacciata di infetti e morti viventi e, dopo una scrematura, i vincitori sono i due film di cui parliamo in questa double feature, rubrica che mancava da un po’, perché la sua esistenza è possibile solo quando mi capitano due film che si possono accoppiare. In questo caso, me la sono proprio andata a cercare.
Cominciamo facendo un salto in Uruguay, paese che tante soddisfazioni ci ha dato l’anno scorso con lo slasher The Last Matinee, e andiamo a vedere cosa sta combinando Gustavo Hernández, regista de La Casa Muda nel 2010. Il suo ultimo film, Virus 32, è stato distribuito sul mercato internazionale dalla solita Shudder, che sta mostrando una certa attenzione anche nei confronti dell’horror proveniente da paesi diversi dagli USA, con mia enorme soddisfazione.
Virus 32 racconta di una pessima giornata in quel di Montevideo: di punto in bianco e, grazie Grande Cthulhu grazie, senza alcuna spiegazione o analisi sociologica da miserabili, un virus trasforma le persone nelle solite belve assetate di sangue. Tecnicamente non zombie, ma proprio come in The Sadness, vittime di un’infezione che ne aumenta l’aggressività. Hernández ci risparmia gli stupri, ma non ha alcun problema con la ferocia e con il gore, anzi. E neppure col mettere i minori in pericolo, e pure qualcosa di più, solo che tutte queste nefandezze lui le mette al servizio di una storia e di un paio di personaggi per cui provare quel minimo sindacale di interesse atto a non terminare la visione con la mascella slogata a forza di sbadigli. Credo anche che, a occhio, abbia lavorato con un decimo del budget a disposizione di Jabbaz, facendo un lavoro migliore sotto ogni punto di vista.
Seguiamo Iris (Paula Silva) che fa la guardia notturna in un centro sportivo abbandonato ed è costretta a portarsi dietro la figlia undicenne a causa di un disguido con l’ex marito. Agli infetti non ci vorrà molto per fare irruzione all’interno del centro, mentre Iris e la bambina, separate all’interno dell’enorme edificio, dovranno lottare per sopravvivere e trovare un rifugio.
Il film di chiama Virus 32 perché questi infetti, dopo aver attaccato qualcuno, se ne vanno per 32 secondi in animazione sospesa prima di tornare ad attaccare di nuovo. Questa è l’idea più originale messa in campo da Hernández, ma non viene sfruttata poi a dovere, se non per una sequenza molto tesa verso la fine. Non è eccessivamente importante, tuttavia, e quando si parla di zombie e simili, l’originalità è parecchio sopravvalutata. Virus 32 pesca da parecchi film del passato più o meno recente, da 28 Giorni Dopo (da cui plagia allegramente la colonna sonora) fino addirittura al remake di Dawn fo the Dead, con uno spunto rubacchiato sì a Snyder, ma realizzato qui con molta più intelligenza e senza coprirsi di ridicolo.
È un buon prodotto di matrice pandemica, che si ferma a pochi passi dall’essere davvero bello, ma sfrutta in maniera magnifica la sua ambientazione in una sola location, ma divisa in varie sezioni di questa gigantesca palestra in disuso con lunghi corridoi abbandonati, sotterranei allagati e piscine svuotate.
Ha inoltre una regia molto dinamica e, se vi ricordate La Casa Muda, dovreste sapere già a che tipi di evoluzioni andate incontro. La scena d’apertura è una lunghissima (finta) ripresa senza stacchi che finisce sul porto in fiamme di Montevideo e, da sola, vale la novantina di minuti scarsi che, se vi andrà, dedicherete al film.
Se non fosse per la solita morte violenta di gatto, sarebbe uno di quei piccoli film da portare nel cuore.
Dall’Uruguay ci spostiamo in Australia per il sequel di Wyrmwood: Road of the Dead, ribattezzato nel 2014, anno della sua distribuzione, “Mad Max con gli zombi”. Wyrmwood: Apocalypse arriva la bellezza di 7 anni dopo il suo predecessore, è diretto dallo stesso regista, Kiah Roache-Turner, e ci fa ritrovare tutti i personaggi sopravvissuti ai tempi dello scoppio di una delle apocalissi zombie più bizzarre e caciarone della storia del cinema. I morti viventi (o infetti, non è del tutto chiaro se siano morti o vivi) hanno infatti respiro e sangue infiammabili e sono utilizzati come fonte inesauribile di carburante, sviluppo narrativo tipicamente australiano, bisogna dire. Mentre i due fratelli protagonisti del primo Wyrmwood sono ancora in viaggio lungo la strada, i paramilitari loro antagonisti che hanno preso il potere in un outback infestato di zombie, rapiscono i superstiti e li portano in alcuni bunker allestiti a laboratori, dove dei sedicenti scienziati dicono di star lavorando a una cura.
Wyrmwood: Apocalypse è meno road movie rispetto al primo capitolo di questa mini-saga a base di esperimenti folli e motori ad alimentazione anomala, però è lo stesso un gran divertimento, un vero e proprio antidoto alla seriosità mal riposta di The Sadness e un viatico per tutti gli orfani di Z Nation, con cui condivide lo stesso atteggiamento scanzonato e farsesco nei confronti della materia.
Non manca la violenza, com’è logico, e lo splatter la fa da padrone in parecchie circostanze, solo che è tutto così sopra le righe e così giocoso che non crea alcuna sensazione di fastidio o di disagio. Wyrmwood: Apocalypse è una commedia d’azione, piena di personaggi pittoreschi e situazioni surreali, ribaltamenti di campo continui, ambiguità nello stabilire chi siano i buoni e chi i cattivi, e soprattutto ricca di inventiva e arte di arrangiarsi con un budget sotto la soglia del ridicolo.
Rivedere Bianca Bradey nel ruolo dell’ibrida mezza zombie e mezza umana Brooke è sempre una gioia, ma anche i nuovi protagonisti che si affiancano ai vecchi funzionano e ispirano simpatia istintiva.
È un film rozzo e brutale, come moltissimi horror australiani, selvaggio e rumoroso, proprio come un motore che carbura a fiato di zombie.
Anche qui, niente di eclatante e niente per cui gridare al grande miracolo del cinema estremo, dono di Dio per noi poveri miscredenti. Ma almeno sa quello che vuole, è naturalmente figo senza atteggiarsi a esserlo, racconta tutto ciò di cui abbiamo bisogno in meno di un’ora e mezza, titoli di coda compresi e non è mai pretenzioso.
Spero che abbia successo e facciano un’altra decina di film ambientati nello stesso universo e spero che la Midnight Factory, invece di perdere tempo appresso a Jabbaz, lo porti il prima possibile in Italia, come ci ha portato il film del 2014.
Due titoli interessanti, certo più di The Sadness (nonostante anche in Virus 32 non si tratti dei classici morti viventi)… be’, è il caso di dire che c’è ancora un po’ di vita fra gli zombie 😉
Ma ci sarà sempre. Basta saperli prendere nel verso giusto. Se fatto bene, un classico film di zombie non ti annoia mai.
Concordo 👍