
Regia – Kimberly Pierce (2013)
Ultima puntata della rassegna, e ultimo remake “classico” dei primi anni 2000. Sarebbe uscito soltanto, lo stesso anno di Carrie, Evil Dead, che però è già frutto di una concezione differente del guardare al cinema del passato; Carrie è davvero l’ultimo rifacimento realizzato seguendo la scaletta che ormai dovremmo essere abituati a riconoscere, e in effetti arriva un po’ fuori tempo massimo sulla tabella di marcia dell’horror, arriva quando stanno cambiando le cose, quando sulla scena si stanno affacciando i nuovi registi indipendenti, quando si inizia a parlare di mumblegore, quando Ti West ha già diretto The Innkeepers e Lucky McKee The Woman. Tutto questo ha un’influenza sulla produzione di Carrie, a partire dalla scelta della regista, Kimberly Pierce, che arriva dal cinema indie ed è la prima donna a dirigere uno di questi horror ad alto budget (30 milioni di dollari è il costo di Carrie), finanziati dagli studios: in questo caso, ci sono la Screen Gems e la MGM dietro al progetto e, come al solito, si parte con le migliori intenzioni.
I dirigenti delle due case di produzione coinvolti vogliono, sulla carta, portare al cinema un adattamento del romanzo di King più fedele rispetto a quello di De Palma, e chiamano a scrivere la sceneggiatura Roberto Aguirre-Sacasa, che ai tempi non era il rinomato autore di serie tv di oggi, ma soltanto un tizio che aveva adattato The Stand a fumetti. Aguirre-Sacasa presenta la sua sceneggiatura (e mantiene anche il titolo di testa), ma i produttori la fanno riscrivere a Lawrence D. Cohen. Sì, lo sceneggiatore del film del ’76, tanto per andare sul sicuro. E insomma non si capisce se vogliono un nuovo adattamento o un remake, anche se poi il film è, di fatto, un remake con più soldi e più possibilità di mettere in scena l’apocalisse su piccola scala scatenata da Carrie dopo il ballo scolastico. Restano tuttavia delle scorie del tentativo di trasposizione di Aguirre-Sacasa, e poi c’è il fattore Kimberly Pierce che non si può sottovalutare.
Io, nella mia vita, di figuracce e figurette ne ho fatte tante, come tutti, del resto, ma il modo in cui all’epoca ho trattato Carrie adesso mi fa proprio vergognare, perché vedete, odiarlo è facilissimo e non richiede alcuna attenzione ai dettagli o tentativo di capire cosa Pierce stesse cercando di fare, al netto delle pressioni ricevute da parte dei due studios coinvolti. Va tenuto presente che Carrie è un romanzo di coming of age al femminile scritto nel 1973 da un maschio di 26 anni, evidentemente colto da un sacro terrore delle donne, e poi adattato nel ’76 da un altro maschio altrettanto spaventato; viene rifatto una seconda volta nel 2002 (e ne abbiamo di recente parlato), e anche lì, a raccontare la storia di questa giovane donna alla scoperta del proprio potere, ci sono soltanto maschi. Pierce ha quindi l’opportunità di prendere una delle storie più famose della cultura popolare americana contemporanea e darle una prospettiva differente, interna e non più esterna, non impaurita, ma partecipe. È un’occasione che non capita poi così spesso nella vita, e lei ha giustamente scelto di coglierla, nonostante fosse consapevole che non avrebbe mai avuto la libertà creativa dei suoi film indipendenti.
Il tentativo non è del tutto riuscito per motivi indipendenti dalla volontà della regista, non lo può essere perché Carrie, pur con le sue peculiarità, è un prodotto che segue una formula prestabilita, e non solo, deriva dal canovaccio base di ogni teen movie sulla faccia della terra e, di conseguenza, si porta dietro un’eredità più pesante di qualunque film analizzato fino a ora. Carrie è la base di partenza del film adolescenziale così come noi siamo abituati a riconoscerlo: ogni opera ambientata nell’inferno della scuola superiore discende da Carrie e a Carrie è obbligato a guardare, o per seguirne la struttura o per smarcarsene, ma da lì non si scappa. Da questo punto di vista, è anche più pervasivo di IT.
Kimberly Pierce ha quindi per le mani un materiale incandescente, una storia che, a seconda di come la si interpreti, può rappresentare il trionfo assoluto della normatività o la celebrazione di un potere caotico che rade al suolo alle fondamenta una società corrotta.
Uno dei motivi per cui il film è stato più criticato è che non fa paura. La Carrie di De Palma, nel momento in cui si scatena, ricoperta di sangue, nella palestra della scuola, è un puro concentrato di terrore e di panico. Da adolescente timida, impacciata e profondamente segnata dalle angherie subite a scuola e casa, Carrie diventa uno spauracchio da incubo notturno, diventa il mostro che salta fuori dall’armadio. Questo passaggio nel film del 2013 non avviene. Carrie non è spaventosa perché la sua storia viene raccontata dall’interno e non dall’esterno e, se la si vede sotto questa luce, anche la scelta di offrire il ruolo all’allora sedicenne Chloë Grace Moretz acquista molto più senso. A parte che l’attrice è di un’intensità fuori scala, ma è proprio il suo aspetto così poco alieno a rendere più facile il processo di avvicinamento al personaggio operato da Pierce: Moretz non è stramba e inquietante come Sissy Spacek e non ha la spigolosità di Angela Bettis. è una Carrie la cui emarginazione all’interno del sistema scolastico deriva non dal suo aspetto fisico, ma da fattori culturali, che riverberano sull’estetica del personaggio soltanto perché mamma White le impedisce di vestirsi come gli altri, mortificando in questo modo il suo corpo in via di maturazione.
Anche la madre di Carrie, qui interpretata da Julianne Moore (non so se rendo) è ritratta in maniera molto diversa rispetto alle due versioni precedenti: c’è un legame affettivo, reale, profondo con la figlia, che prima non c’era mai stato. È vero che Margaret è la principale responsabile del disagio sociale sperimentato da Carrie, ma perché è lei per prima a provarlo e a esserne vittima. Quando Carrie, poco prima di radere al suolo casa sua e rimanere sepolta sotto le macerie, si rivolge a Sue, le dice: “Ho ucciso mia madre, la rivoglio indietro, ho tanta paura”. Tacendo di come Moretz ti spezzi il cuore in più punti pronunciando quella battuta, nessuno si era mia addentrato così tanto nella relazione che lega Carrie e Margaret, contraddittoria quanto volete, sicuramente abusiva, ma per una volta tanto reale e viva come non era stata neppure nel romanzo di King.
Anche le motivazioni di Sue, che la spingono a rinunciare al prom e a chiedere al suo ragazzo Tommy di portarci invece Carrie, qui sono molto chiare, precise, relative al rapporto di Sue con le sue amiche e con Chris in particolare, e non suonano, come suonavano nel libro e nel film del ’76, come un mero pretesto per far arrivare Carrie alla palestra.
Insomma, Carrie 2013 è la stessa storia, ma raccontata dal punto di vista delle ragazze che la vivono, non dei maschi che le osservano con un misto di desiderio, raccapriccio e timore reverenziale.
Poi quando fallisce, fallisce in maniera fragorosa, come nella scena aggiunta in coda che mamma mia, chi l’ha pensata dovrebbe come minimo essere preso a martellate sulle dita fino a quando non grida pietà e mostra il giusto gradi di pentimento; c’è il solito pippotto inutile che l’insegnante di ginnastica (Judy Greer) rifila a Carrie su quanto sarebbe carina se soltanto si truccasse e sorridesse ancora di più, che già non si poteva sentire nel 2013, figuriamoci nel 2022; in generale, è un film un po’ troppo lungo e con un ritmo tutto sbilenco, che non miscela bene i toni della commedia adolescenziale inseriti un po’ alla come capita, e giusto per fare un po’ il verso a De Palma, con quelli del melodramma horror.
Però funziona lo stesso, riesce a far passare dei concetti di cui non credo si fossero accorti neppure gli stessi produttori, di cui a malincuore devo ammettere che all’epoca, accecata dal reato di lesa maestà, non mi ero accorta io per prima. E mi pare il caso, a quasi 10 anni di distanza, di chiedergli finalmente scusa.
E con questo abbiamo terminato il nostro viaggio nei remake dei primi anni ’00. Spero vi sia piaciuto e vi abbia magari fatto riscoprire qualche film oggetto di odio abbastanza indiscriminato. Ora sono molto indecisa sul da farsi: da un lato mi piacerebbe riprendere la vecchia analisi dei found footage interrotta proprio per dare spazio ai remake, dall’altro vorrei continuare a parlare dell’horror del primo decennio del XXI secolo, andandomi a ripescare tutta una serie di titoli sepolti e dimenticati. Voi che ne dite? Fatemi sapere.
Buongiorno Lucia,visto che ci hai posto il quesito mi piacerebbe poter leggere dei tuoi pezzi riguardanti tutti quei film horror dei primissimi anni 2000 di qui nessuno parla,ovvero tutti quelli che non erano dei remake,perche’ come si sa all’epoca quasi tutto quello che non era un rifacimento di un vecchio film,aveva poche speranze di farsi strada presso il pubblico! Se mi posso permettere,mi piacerebbe ipotizzare dei titoli che personalmente adoro tanto per poter dare una spinta iniziale,l’inglese “The Bunker”,l’irlandese “Isolation”,se parliamo invece di produzioni americane invece adorerei davvero sentire la tua su “Frailty” del compianto Bill Paxton! Un salutone,ciao😸
Guarda, con Frailty mi sa che cominciamo proprio la rubrica 🙂
Ciao Lucia; il film dovrei riguardarlo, all’epoca non mi piacque granché ma era quasi inevitabile, amo sia il libro che il film di de palma. Le tue considerazioni sono interessantissime, la prospettiva al femminile all’epoca non la colsi, irritato pregiudizievolmente dal fatto che a interpretare la protagonista fosse una ragazzina un pò troppo caruccia.
Mi iscrivo a chi reclama a gran voce post lucieschi sugli horror dimenticati dei primi 00ies.
Era inevitabile che non piacesse a nessuno, alla fine è il remake più rischioso di quelli dell’epoca, pure più rischioso di quello di Evil Dead. Non so se sia un bel film, ma ha delle cose davvero interessanti e sono contenta di averlo rivisto cercando di spogliare la mente dai pregiudizi.
a me sembrava che le motivazioni di Sue nel romanzo fossero chiare: si sente in colpa perchè anche lei ha bullizzato Carrie e a differenza di Chris ha una coscienza
Ricordo di aver seguito l’iter di questo film con grande interesse fin da quando fu annunciata Kimberly Peirce alla regia. È vero che il film ha molte cose interessanti, ma secondo me non regge anche a causa dell’eccessiva “pulizia” del tutto, dovuta sicuramente alle ingerenze produttive. Ad esempio il massacro in palestra non ha assolutamente nessun impatto in questa versione. È un vero peccato, perché sono certo che se Peirce avesse avuto mano libera, avremmo avuto l’adattamento definitivo del romanzo.
PS: il remake di “Nightmare” immagino non fosse degno di una rivalutazione, giusto? Io non lo vedo da quando uscì (lo detestai) ma devo dire che sarei stato curioso di rivisitarlo…
L’ho rivisto un paio di settimane fa, il remake di Nightmare, ed è stata un’agonia. Speravo anche io di trovarci qualcosa di buono, ma niente. Una tortura 😀
l’unica idea interessante del remake di Nightmare era il sospetto SPOLIER che Krueger fosse innocente il che lo avrebbe reso una vittima della giustizia sommaria che si vendica, ma è stata subito lasciata cadere
Non lo vedo da quando uscì. Ricordo che non mi era dispiaciuto, ma non molto di più. Magari provo a rivederlo.
Personalmente mi piace il modo in cui negli ultimi tempi parli dei film: personale, politico, attento a valorizzare gli aspetti positivi e interessanti (oltre che i limiti), lasciando stare quello che non ti piace. Per me, quindi, il blog è stimolante al di là del tipo di film, al di là che veda o meno tutte le proposte, al di là che mi riconosca o meno col tuo sguardo. Quindi quando posso leggo sempre volentieri.
Poi, non amando particolarmente il found footage, direi horror primo decennio. Ma mi piace anche se riprendi dei film di cui hai già parlato quando sono usciti (dal 2011 in poi o giù di lì) per maneggiarli di nuovo, capirli meglio, ricollocarli… E’ quello che hai (anche) fatto qui con Carrie.
Ripensando al primo decennio, mi vengono in mente delle cose molto fighe di cui sarebbe bellissimo parlare: The Host, The mist, The house of the devil, The Woods, Ginger Snaps, Shaun of the dead, 28 giorni dopo, Eden Lake, 30 giorni di buio, Lasciami entrare e chissà quanti altri…
Ti ringrazio, perché sto cercando di affrontare il cinema da persona matura, cosa che evidentemente non ero 10 anni fa 😀
Per quanto riguarda i film dei primi 2000, ho una lista di 140 titoli. Ci sarà da ridere!
Daje! 140? Ci sarà da ridere sì. Io ho nomimato dei titoli che mi sono piaciuti molto, che sono a loro modo più o meno “grossi” (però, in effetti, non so quanto abbiano girato film come The Woods o Ginger Snaps in effetti…) quindi sarebbe anche figo, in caso ci fossero, valorizzare titoli sconosciuti ma interessanti! 🙂
Credo di amare troppo la versione del 76 di De Palma e la straniante interpretazione di Sissi Spacek per poter apprezzare davvero questo(anche se Chloe Grace Moretz mi piace moltissimo) . Ed ho completamente rimosso il remake del 2002!!
All’epoca, quando poi mi decisi comunque a vederlo, ammetto di non esserne rimasto per nulla convinto (anche al di là dei difetti oggettivi da te giustamente ricordati) e, credimi, lo avevo già considerato quanto il precedente punto di vista esclusivamente virato al maschile potesse risultare limitante… ma, lo stesso, la scelta di Chloe Grace Moretz -brava e bella attrice, lo dicevo allora e lo ripeto oggi- nel ruolo principale mi aveva lasciato parecchio perplesso: la consideravo una sorta di palese “resa” nei confronti di un pubblico superficiale (non solo maschile), molto più disposto a fermarsi all’aspetto estetico della nuova Carrie che non a riflettere e incazzarsi per l’emarginazione, la repressione e il bullismo di cui era fatta bersaglio… Comunque, proverò a riguardarlo in onore alla tua matura riconsiderazione 😉
I found footage? Vado contro corrente, perché probabilmente sarò l’unico a chiederlo (e qualche anno fa, quando ero più duro nei confronti del genere, forse non l’avrei fatto) ma se riprendessi a farne l’analisi non mi dispiacerebbe…
Ok, è un bel film per giovani, un young adult horror (e quindi piace anche a me:-), un tentativo di stare in un mondo brutto coi superpoteri.
E’ bello da vedere, il cast è ok, la storia fa riflettere (è piena di temi, in realtà), non fa paura in senso visivo, ma la vicenda sì.
Forse il problema è il confronto col precedente. Qui c’è una Carrie diversa, pure teneramente affascinante ma anche diversa psicologicamente e culturalmente dai suoi pari. Non è mai inquietante e piuttosto suscita tenerezza. Non ci sono problemi se non la si confronta con la precedente del 76. Anzi, il misto di ingenuità e bellezza che mostra potrebbe scatenare sentimenti e atteggiamenti emarginanti (o paternalisti) senza mettere in scena per forza una diversità fisica straniante. E’ inoltre una ragazza con la sua personalità (vedi finale).
Se voglio un horror “adulto” raffinato e sorprendente, non posso apprezzarlo, ma come film forte e pieno di spunti per un pubblico giovane allora fila. Ad esempio, dopo la doccia di sangue la conciano come una darkettona col costume da Halloween e dettagli di questo tipo magari non hanno aiutato molto…
Comunque non è male. E, secondo me, Carrie non è morta: è ritornata e si è vendicata da sola di tutto e di tutti qualche anno dopo, con un nuovo nome: Thelma!