Mi è capitato spesso, nel corso di questo anno così strano, di leggere che per l’horror sarebbe stato un momento particolarmente mediocre. Ora, a parte che non è così, perché basta scorrere all’indietro le pagine di questo blog, ma considerando che i grossi film annunciati non sono proprio usciti, pure troppo bene ci è andata, e la fioritura di film indipendenti a bassissimo costo che hanno potuto godere di una visibilità maggiore rispetto al solito, dove sarebbero stati schiacciati da nomi più importanti, è forse uno dei pochissimi effetti positivi di questo casino pandemico che stiamo vivendo.
Questo per dire che stanno per arrivare un paio di film il cui peso sarà fondamentale quando si tratterà di giudicare a posteriori l’anno di cinema horror, ma per oggi noi ci concentriamo su un qualcosa di davvero minuscolo, che sta qui a dimostrare quanto il genere, imbastardito, sporcato, spesso irriconoscibile, sia più vivo che mai, nonostante certa gente voglia soltanto lamentarsi senza avere la minima cognizione di ciò che accade all’interno del genere che millanta di amare.
Un film minuscolo con un’attrice gigantesca, Azura Skye, una faccia nota, da caratterista, vista in tanti film e in tante serie, ma mai veramente riconosciuta. Qui, dopo aver instaurato un rapporto di completa fiducia con il regista esordiente (!) Kapsalis, regala un’interpretazione che, per intensità e sofferenza, sarebbe da accostare a quella di Essie Davis in The Babadook, ma forse è ancora più complicata da caricarsi sulla schiena, dato il personaggio pieno di piccole idiosincrasie che lo portano molto vicino alla sgradevolezza.
Holly, questo il nome della protagonista, è una donna con una vita all’apparenza invidiabile: sposata con due figli, fa la professoressa di letteratura al liceo, mentre il marito ha avuto un importante avanzamento di carriera ed è diventato dirigente del supermercato dove lavora. Se messa in confronto a quella scapestrata della sorella Claudia (Ashley Bell), con seri problemi di alcolismo e depressione, Holly è una donna realizzata e felice.
Se solo non ci fosse quella maledetta insonnia, unita alla sensazione di essere invisibile. E quel topolino che da qualche giorno si è introdotto in casa.
Holly la notte non dorme. Occhi spalancati accanto al marito, pronta a chiamarlo quando suona la sveglia, ad alzarsi, a preparargli i vestiti da mettere, a occuparsi della colazione dei due figli, e persino a sentire le paturnie della madre per telefono, su una torta di mele da infornare per fare una sorpresa alla sorella. È la sua routine, scandita dalle mattinate a scuola, la spesa il pomeriggio e il ritorno a casa in tempo per essere un po’ ignorata dai pargoli, aspettare il rientro del marito, far cenare tutti e poi mettersi a letto. Senza dormire. Oppure, prendere la macchina e andare a farsi un giro notturno, tanto per placare l’angoscia di questa vita invidiabile.
E può succedere che, una notte, dopo una riunione di famiglia particolarmente tesa, si perda il controllo.
The Swerve è, sulla carta, un film molto semplice: fa parte di sicuro di quel filone basato sul progressivo disfarsi della sanità mentale del personaggio principale; in questo caso abbiamo una donna alle soglie della mezza età che soffre già di suo di disturbi del sonno ed è una bomba a orologeria senza che nessuno tra le persone che ha intorno se ne renda conto: il marito non solo minimizza, ma reagisce con stizza quando i problemi di Holly vanno a disturbare la sua quotidianità; i figli la trattano a metà tra una sguattera e un fastidio; la sorella la usa come sfogo per la sua crudeltà e il resto della famiglia a stento la vede. Così, Holly appare più come una larva, un guscio vuoto, che un essere umano, e la supposta normalità è soltanto quella percepita da chi non vuol vedere come stanno realmente le cose, perché gli è comodo così. In The Swerve non c’è alcun evento scatenante, a parte la presenza del piccolo roditore in cucina, ma c’è una lenta erosione che tuttavia, quando il film comincia, ha già fatto gran parte dei danni.
In un certo senso, noi assistiamo alla coda finale di un processo che deve essere cominciato anni prima.
È un film da incubo perché non c’è neppure spazio per agire: tutto è irreversibile, giunto al capolinea, irrimediabilmente compromesso. Non c’è neanche da arrabbiarsi con gli altri personaggi perché non capiscono; è sterile, anche se capissero ora sarebbe tardi. L’orrore sta nel riconoscersi in quest’ombra che cammina e tenta, nonostante tutto, di essere ancora funzionale, di andare avanti ad automatismi perché non ci sono alternative; vederla scivolare sempre più in basso, accorgersi che, per molti aspetti, non è così diversa da noi, dal nostro andare avanti come sotto ipnosi.
Paradossalmente, Holly è quella che non sembra avere alcun bisogno di aiuto; al contrario, è sua sorella Claudia quella problematica, quella che attira e monopolizza l’attenzione della famiglia con le sue manifestazioni plateali di disagio. Ciò che affligge Holly è più sottile, meno comprensibile, viene spazzato sotto il tappeto perché non lo si saprebbe gestire.
E, come abbiamo detto all’inizio del post, esplode come una bomba a orologeria.
Kapsalis è al suo primo lungometraggio, ma non è un ragazzino. Viene naturale domandarsi dove sia stato nascosto fino a ora e, sentendolo parlare, si ha la netta sensazione di avere a che fare con un grandissimo appassionato e conoscitore dell’horror. Definire The Swerve horror è forse un briciolo riduttivo, ma di certo fa parte di quella branca del cinema dell’orrore contemporaneo che la critica ama chiamare post-horror, ma in realtà esiste da sempre e potrebbe essere incasellato nello schedario dedicato all’horror psicologico. Ho pensato parecchio a Repulsion, mentre lo guardavo, perché c’è questo accanimento su un personaggio prigioniero della sua stessa mente, e sempre meno in grado di distinguere i fatti dalle sue proiezioni. Non sappiamo nemmeno se ciò che Holly vede, in alcune circostanze, succeda davvero o no. Il marito la tradisce? Forse. Ha davvero mandato fuori strada un’auto con dei ragazzi a bordo? Non si sa.
Eppure, ciò che ho più trovato interessante nella messa in scena di Kapsalis è il suo rimanere sempre ancorato alle minuzie del quotidiano, il non voler fare assolutamente ricorso a un linguaggio onirico, neppure parlando, di fatto, di disturbi del sonno. The Swerve è un film molto concreto e con le radici ben affondate nella realtà, il che forse fa ancora più male, perché noi per primi non riusciamo a tirare una linea netta di demarcazione tra sonno e veglia, e quando il terribile (in senso buono) finale arriva, speriamo fino all’ultimo che non stia accadendo sul serio.
Si tratta comunque di un film che consiglio di maneggiare con cura, perché potrebbe rovinarvi diverse giornate di fila, in particolare in questo periodo. Ma se ve la sentite, e solo se ve la sentite, guardatelo: è l’ennesima prova dell’immensa vitalità dell’horror indipendente, e se il genere sta a galla anche nel 2020, è merito di registi come Kapsalis e colleghi. Mandiamogli tutto il nostro amore.
Aggiunto alla lista dei film da vedere (tanti).
Grazie 🙂
Siamo qui apposta per farvi impazzire tutti! 😀
Introvabile immagino😥😥😥
Diciamo che i Italia è inedito, ma lo si può trovare…
Fotta a mille (se mi si scusa la scurrilità), vado alla ricerca.
Grazie Lucia
Ma figurati! E venerdì arriva Possessor!
Mi sai dire come faccio a starti dietro? 😉
Comunque si va alla sua ricerca, ovvio (poi, semmai, deciderò se è il caso di vederlo ora o di lasciarlo decantare per tempi migliori)…
Guarda, certe volte mi domando io come faccio a star dietro a me stessa 😀
Mentre leggevo immaginavo una situazione simile proprio a quello che poi ho trovato scritto dopo: “per molti aspetti, non è così diversa da noi, dal nostro andare avanti come sotto ipnosi” e ho pensato che in questo momento non è proprio un film che riuscirei a digerire con facilità, nonostante mi sembri molto interessante, anzi moltissimo. Io poi per anni ho sofferto di insonnia, quindi potrei davvero prenderla male XD
La rappresentazione dell’insonnia è perfetta. io ho avuto problemi a dormire per tutta l’estate e gran parte dell’autunno e mi ci sono rivista tantissimo.