Prima di cominciare, sappiate che questo film antologico non è tratto da alcun racconto di Clive Barker: c’è una vaga ispirazione per quanto riguarda la cornice (anche se poi non propriamente di cornice si tratta), e proviene dal solito Book of Blood, primo racconto del primo volume dei Libri di Sangue, e a sua volta prologo e cornice dell’intera collezione di volumi. C’è poi qualche rimando a On Jerusalem Street, che invece chiude il sesto e ultimo volume della serie. Eppure la vicenda centrale, quella che occupa lo spazio più ampio all’interno di un film di quasi due ore, non deriva da Barker, ma è una sceneggiatura originale scritta dallo stesso Braga, in collaborazione con Adam Simon e, udite udite, derivata da una nuova storia inedita di Clive Barker. Quindi lo scrittore ha comunque partecipato al progetto, che fa quasi da apripista a un suo ritorno nel giro dopo anni di assenza.
Ora, io non so bene come siano andate le cose, ma Books of Blood non doveva essere un film, bensì una serie antologica, dove ogni episodio raccontasse una storia differente, tutte derivate dall’immaginario di Barker. Che poi è esattamente il senso dei vari volumi di racconti dei Libri di Sangue.
C’è poi da aggiungere che Book of Blood lo hanno già fatto, e non è neanche così brutto come lo si dipinge.
Alla fine, ci ritroviamo con tre storie compresse in un film da 100 minuti scarsi che somiglia più a un pilota per un eventuale e futuro prodotto seriale che a un film vero e proprio. E la speranza è che Hulu conceda a Braga la possibilità di provarci sul serio, a portare i racconti di Barker sul piccolo schermo in una forma di più ampio respiro, perché le premesse sono ottime. Forse è una prova generale per testare la reazione del pubblico, prima di investire su una cosa a lungo termine. Forse finirà tutto qui.
Books of Blood è formato da un trittico di storie interconnesse, ma ha una struttura un po’ differente rispetto all’antologico con cornice cui siamo abituati: dopo una breve introduzione in cui un sicario si mette sulle tracce di un fantomatico libro (il Libro di Sangue) dal valore inestimabile, nascosto in quartiere periferico di una piccola città, andato completamente in malora per motivi non meglio specificati, facciamo la conoscenza di Jenna (Britt Robertson), giovane donna problematica e sofferente di misfonia e depressione, che scappa di casa quando capisce che sua madre ha intenzione di rispedirla in clinica. Jenna ha da poco subito un trauma, la cui natura non viene resa esplicita fino agli ultimi minuti del film, è ossessionata dall’idea di essere spiata e seguita, e in effetti c’è una strana figura che sembra percorrere il suo stesso tragitto, ma non sappiamo se sia frutto della sua immaginazione o se sia reale. Anche perché Jenna soffre di allucinazioni. Si va a rifugiare in una specie di B&B gestito da un’anziana coppia che la accoglie con tante gentilezza e comprensione, forse troppe.
Il segmento dedicato a Jenna è il più lungo e il più corposo, e non spaventatevi quando ve lo troncheranno a metà, in un momento estremamente drammatico, per introdurre la terza e ultima storia: poi riprende da dove era stato lasciato. Ma se Jenna può contare su un maggiore approfondimento, è proprio questa terza parte, che arriva un po’ a sorpresa e fa impiegare lo spettatore quella manciata di secondi acclimatarsi dopo la brusca interruzione, a restare più impressa rispetto alle altre, forse soltanto perché è la più riconoscibile: una psichiatra che per mestiere smaschera frodi legate al soprannaturale (falsi medium, soprattutto), perde il figlio a causa di una brutta malattia. Poco tempo dopo, conosce un certo Simon (Rafi Gavron); anche lui è un sedicente medium, e le dice di avere un messaggio da parte del bambino morto da poco. Le prove che Simon sia davvero in grado di parlare con i defunti sembrano essere schiaccianti, e la dottoressa, sulle prime molto scettica, finisce per credergli.
Se avete letto i Libri di Sangue, sapete già come va a finire la storia di Simon e della psicologa Mary, e sapete anche che tutti i racconti della serie sono una sua diretta discendenza. È quindi logico che, per quanto breve, il segmento di Simon sia quello dove è più facile trovare Clive Barker così come siamo stati abituati a conoscerlo.
È anche l’episodio più gore e violento, da un punto di vista canonico, nel senso che ci offre quello da un racconto di Barker ci aspettiamo. Ma Jenna è, a mio avviso, molto interessante proprio perché la sua fonte di ispirazione non è il Barker arrabbiato degli anni ’80 e ’90, ma un Barker maturo, recentissimo. Non so se vedremo mai Jenna (la storia di Barker è intitolata Cruelty) in una forma diversa da quella presentata in Books of Blood, magari all’interno della prossima raccolta di racconti da lui annunciata qualche settimana fa su Twitter, ma è di certo uno sguardo privilegiato a una nuova produzione horror dello scrittore, nonché un modo per riprendere familiarità con lui. Va anche considerato che, il prossimo anno, vedremo finalmente Candyman, mentre sono in preparazione due serie tv, una basata su Hellraiser e l’altra su Cabal. Ci sta aspettando un rinascimento barkeriano simile a quello kinghiano? Non lo so. Nel frattempo, tuttavia, credo che Books of Blood costituisca un ottimo antipasto per rientrare nelle atmosfere crudeli e malsane di Barker, dopo che per tanto tempo ne siamo rimasti lontani.
Britt Robertson si conferma un’attrice versatile con un volto che sembra stato scolpito apposta per apparire nei film dell’orrore; anche il resto del cast è all’altezza, con una menzione speciale per i due affittuari della camera dove va a vivere Jenna, capaci di trasformarsi dal ritratto dell’affabilità a quello dell’inquietudine in un battito di ciglia.
Mi sento di imputare a questo film solo delle scelte strutturali un po’ troppo spiazzanti: io sono sempre a favore di disorientare lo spettatore, ma ci deve essere un motivo, se non narrativo almeno linguistico per farlo. E invece qui spezzare a metà la storia di Jenna, inserirci quella di Simon, e poi tornare un’altra volta da Jenna sembra più un trucchetto dozzinale da prestigiatore che una scelta ponderata.
A parte questo, io Books of Blood ve lo consiglio: non l’adattamento che noi lettori di Barker di lungo corso aspettiamo da decenni, ma è un buon passatempo per il mese di Halloween e un modo per riavvicinarsi (o avvicinarsi) a uno scrittore troppo spesso dimenticato.
Ancora non l’ho visto, ma il fatto che l’hai promosso mi spinge alla visione.
Stavo pensando, a parte quelli girati da lui in prima persona e Candyman, quali sono le opere cinematografiche tratte da Barker che meritano la visione? Io ricordo vagamente Dread e, uscito più o meno nello stesso periodo, un accettabile Book of blood, poi il nulla.
A me Dread era piaciuto moltissimo, e insisto col dire che Midnight Meat Train non era così male, se non fosse stato per quegli effetti speciali digitali imbarazzanti.
Poi non mi viene in mente altro, sai?
Hai ragione, Midnight Meat Train è piaciuto molto anche a me.
Ci sarebbe Saint Sinner, del 2002, anche se forse non siamo proprio dalle parti del capolavoro (comunque vedibile)…