The Devil All the Time

Regia – Antonio Campos (2020)

Questa volta ve la faccio facile, così non dovete sbattervi come dei disperati per cercare i minuscoli film indipendenti che segnalo: Le Strade del Male (questo il titolo italiano del film) è disponibile da un paio di giorni su Netflix, e il motivo per cui mi sono precipitata a vederlo è anche quello messo meno in evidenza dalla campagna pubblicitaria di Netflix, ovvero il regista, che aveva diretto nel 2016 un piccolo capolavoro intitolato Christine; Antonio Campos, nato nel 1983 e quindi ancora giovanissimo, si trova qui alla sua prima prova ad alto budget, ma non è di certo un novellino e ha alle spalle una carriera di tutto rispetto in ambito indipendente, anche in veste di produttore dove ha combinato cose egregie. Ma qui lavora con Netflix, in un film tratto da un romanzo di enorme successo e, come se non bastasse, letteralmente infestato da giovani star, tra cui addirittura un attore in forza alle truppe Disney e idolatrato da frotte di ragazzine che a vedere così il loro beniamino potranno subire dei seri effetti collaterali. Magari, che so io, rendersi conto che il cinema è un territorio vasto e tutto da esplorare. Ma andiamoci piano con la fiducia nell’umanità.
Un progetto come questo ti mette un sacco di pressione addosso e il fallimento è sempre lì che ti aspetta sogghignando.
Come se l’è cavata Campos?
La risposta non è del tutto univoca.

Prima di tutto, The Devil All the Time pare un’anomalia, non solo su Netflix, dove è proprio fuori posto, ma in generale per quel che riguarda il cinema ad alto budget: trattasi di film estremamente classico, nei temi e nella messa in scena, quasi un’opera che ti aspetteresti di vedere girata a cavallo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, prima che esplodesse la New Hollywood, ma quando già avevano cominciato a scorrazzare i distruttori di generi cinematografici. E tuttavia la resa delle immagini è quella pulitina e patinata tipica di Netflix, quella specie di standard caramelloso che si nota un po’ in ogni prodotto originale del gigante dello streaming e a cui sono riusciti a sfuggire soltanto Scorsese e Baumbach, ma credo perché entrambi forti del loro essere autori affermati.
The Devil All the Time è un ennesimo tentativo, da parte di Netflix, di essere accettata nell’alta società, ecco: dramma storico di prestigio con cast enorme e pretese intellettuali di un certo rilievo. Il che pone una serie di problemi che di sicuro vanno a detrimento del risultato finale. Dicevamo prima, tuttavia, che il film pare un’anomalia, proprio perché ha il respiro del cinema classico e obbliga, in un certo senso, giovani attori con la faccetta pulita a sprofondare in luoghi molto oscuri, tipo il southern gothic, tanto per cominciare. O il noir, tanto per proseguire.

E insomma, vedere Spiderman che spara in faccia alla gente, in un momento di assoluto impero disneyano, fa un certo, bellissimo effetto, mentre Pattison, a interpretare personaggi viscidi e ambigui ci è abituato, ma lo ha sempre fatto all’interno del circuito “protetto” del cinema indie, e qui è la prima volta che si dà in pasto al grande pubblico in un ruolo spregevole. In altre parole, è lo stesso desiderio alla base della produzione Netflix di piacere più o meno a tutti, quello che l’ha portata a scritturare mezzo mondo anche solo per una particina di pochi minuti, a lasciare il campo libero al regista per sbizzarrirsi a ritrarre le peggiori depravazioni dell’animo umano in un contesto sociale intriso di religiosità fanatica e primitiva, e a usare la rispettabilità dei nomi coinvolti per legittimare il tutto.

Non nascondo che il film presenta dei problemi, soprattutto di ritmo, e con ogni probabilità derivati dalla sua natura eccessivamente letteraria: c’è una insistente voce fuori campo, dello stesso autore del romanzo, Donald Ray Pollock, che ti spiega per filo e per segno le scene che stai guardando, e te ne anticipa alcune di quelle che stanno per arrivare. È vero che The Devil All the Time ha una struttura complessa, ha almeno quattro sotto-trame (di cui un paio messe lì a fare zavorra), per la prima parte si svolge in parallelo su due piani temporali e presenta un certo affollamento di personaggi, ma non è necessario sottolineare per forza ogni singolo passaggio. Esempio senza spoiler: se un personaggio ha una pistola caricata a salve, ha un qualche senso inserire sia il flashback sia la voce fuori campo che ti raccontano il motivo per cui è caricata a salve? Con tutta questa verbosità, dopo un po’ si cominciano ad accusare i 138 minuti del film, e si rischia anche di non godersi fino in fondo la sordida vicenda narrata.

Che, spogliata da tutti gli orpelli, temo dovuti alla volontà non del tutto sbagliata di essere il più fedeli possibile al testo, è gotico sudista puro: un’America a cavallo tra la fine degli anni ’50 e la prima metà degli anni ’60, terra di conquista di predicatori senza scrupoli, assassini seriali, poliziotti corrotti, bulli e padri violenti, dove le donne vivono (e soprattutto muoiono) ai margini, e i maschi dirimono le questioni a suon di pugni e colpi di pistola, dove la fede è un pretesto per ottenere il potere, ma Dio rimane in silenzio ed esige tributi di sangue.
Ma c’è anche una forte componente noir, specialmente nel modo in cui la sceneggiatura mette tutti i personaggi su una strada segnata in partenza, che conduce sempre nello stesso luogo, di solito quello da cui si è partiti. Un destino circolare e già scritto.
Difficile trovare un personaggio maschile positivo, a parte quello di Tom Holland, e sempre fino a un certo punto, mentre le donne sono relegate al ruolo di vittime di una brutalità diffusa che pare l’unica forma di comunicazione possibile. Nessuna di loro ha una qualche parte attiva negli avvenimenti: si limitano a subire il loro destino, anche quando, come nel caso di Riley Keough, sono complici della follia degli uomini che hanno accanto.

The Devil All the Time non è certo il capolavoro che Netflix cerca di spacciare in giro, non la porterà a fare man bassa agli Oscar 2021, persino in un’edizione già povera per cause di forza maggiore, e resta un’operazione parzialmente discutibile segnata dal suo mettere insieme facce note, così che lo spettatore perda tempo a riconoscere questo o quello o a cercare di ricordare dove diavolo lo ha visto. Questo senza togliere nulla a tutti gli attori, dal primo all’ultimo, che danno interpretazioni fenomenali, Holland e la giovanissima Eliza Scanien (vista in Piccole Donne e Sharp Objects) in testa. E devo ammettere che Holland mi ha davvero sbalordita, perché tira fuori un’intensità da star male, e non credevo proprio fosse nelle sue corde. Mi dispiace un po’ per la mia Haley Bennet, che apparirà sì e no una decina di minuti, e ancora di più per Mia Wasikowksa la cui presenza sullo schermo dura ancora di meno e sta lì a fare volume, credo.
Ma, a parte queste considerazioni sul cast, The Devil All the Time è un film che, pur con tutti i difetti e i problemi elencati in questo post, ha un’anima nera e crudelissima che pulsa sotto la patina commerciale dell’operazione e, in alcune sequenze, fa sconfinare il film nell’incubo e nell’orrore senza compromessi. Tutto merito di Campos, che qualcosina di se stesso è riuscito a portare anche qui.
Quindi mettetevi comodi, sprofondate nei vostri divani e state pronti a questo viaggio lungo e un po’ claudicante nel Sud degli Stati Uniti. Se sarete in grado di scorgere quell’anima nera di cui sopra, non ne uscirete indenni.

4 commenti

  1. Blissard · ·

    Leggendo la trama ho pensato a un polpettone indigesto, ho preferito defilarmi.
    Visto che lo consigli, però, magari una chance potrei dargliela.

    1. Devi avere voglia di buttare 138 minuti e devi sopportare lo stile Netflix, ma secondo me ne vale la pena.

  2. Maria Rosaria Verde · ·

    A me è piaciuto

  3. Una pellicola che devo ancora recuperare ma che già dal trailer mi aveva sorpreso perché effettivamente era un prodotto atipico per Netflix. Cercherò di vederlo il prima possibile visto che ero già incuriosito e la tua recensione non ha fatto altro che aumentare questa curiosità.

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