Regia – Steve Miner (1999)
Io questa rassegna l’ho fatta quasi esclusivamente per parlare di due film di Steve Miner; il primo è Lake Placid, il secondo è una sorpresa, ma se vi fate due conti, credo vi verrà molto facile capire di cosa sto parlando. Lo sapete, io per Miner nutro un affetto smisurato e credo si tratti di uno dei mestieranti e artigiani del cinema horror più sottovalutati di sempre, uno che ha avuto persino la prontezza di spirito di sopravvivere agli anni ’80 e ha diretto il suo lavoro migliore proprio alla fine degli anni ’90, uno strambo monster movie che è scritto in parte come una sit-com e in parte come una screwball comedy, che non lesina affatto in gore e ha delle dinamiche narrative che si muovono in direzione opposta rispetto al classico film di creature feroci: qui, invece di accoppare la bestia, il gruppo di eroi di turno cerca di salvarla. Certo, non è un qualcosa che avviene pacificamente e senza contrasti, ma è raro che una serie di personaggi molto eterogenei e in conflitto tra loro arrivino a trovare un’unità nella salvezza di un mostro e non nella sua morte. Per dire, in Jaws funziona al contrario.
Il mostro in questione è un gigantesco coccodrillo che, non si sa per quale motivo, si ritrova in un lago del Maine. Nella prima sequenza del film, tronca a metà un sub con un morso, anche se nessuno vede l’animale; in quel che resta del cadavere del sommozzatore, viene trovato un frammento di dente e, per analizzarlo, arriva una paleontologa da New York, interpretata da Bridget Fonda, che tre anni dopo si sarebbe ritirata dalle scene spezzandomi il cuore. La affiancano lo sceriffo Brendan Gleeson, il capo del dipartimento locale di caccia e pesca Bill Pullman e, a concludere l’idilliaco quartetto, il ricco e squinternato esperto di coccodrilli Oliver Platt.
Il coccodrillo appare in tutto il suo splendore, per la prima volta, dopo circa quaranta minuti. Nel frattempo ha mietuto un’altra vittima, ha rovesciato un paio di canoe e fatto cadere in acqua Bridget Fonda un paio di volte, oltre ad aver lasciato teste di alce mozzate a galleggiare sulla placida superficie del lago.
Ma, pur essendo una presenza minacciosa, resta sullo sfondo, non è lui a riempire il film; al contrario, sono i personaggi, le interazioni tra loro, le schermaglie, il conflitto tra i diversissimi mondi di provenienza e lo scontro di mentalità opposte di gente costretta dalle circostanze a collaborare.
E qui bisogna dire due parole sullo sceneggiatore di Lake Placid, David E. Kelley, qui agli inizi di una lunga carriera televisiva, e principale responsabile dei dialoghi brillanti e sarcastici, che si prendono gioco con acume degli stereotipi di genere e regalano degli scambi di battute da citare a memoria. Lake Placid, prima che un classico monster movie, è un battibecco continuo, tra i quattro i personaggi principali, impegnati a dirsene di tutti i colori mentre cercano di fermare il coccodrillo, con l’aggiunta di una strepitosa Betty White, totem televisivo prestato alla serie B, qui in un piccolo ruolo, ma capace di mettere tutti a tacere non appena entra in campo.
Quando mi chiedono per quale motivo io sia così affezionata a un filmaccio come Lake Placid, di solito rispondo che si tratta di una razza molto particolare di film, quella che dà l’impressione di un enorme divertimento sul set da parte di ogni persona coinvolta, dalla star all’ultimo dei runner, e che questo divertimento viene restituito agli spettatori sullo schermo. Lake Placid è un film molto consapevole di se stesso, dei suoi mezzi, dei suoi limiti. Un film di grande mestiere, che combina l’adrenalina della caccia al mostro con il calore umano di personaggi adorabili. Seriamente, passerei ore e ore della mia vita a vedere Bridget Fonda che prende a schiaffi Brenda Gleeson urlandogli di non tirarle addosso teste mozzate. È, a suo modo, poesia.
Miner arriva a dirigere Lake Placid dopo una carriera quasi ventennale in cui è passato attraverso quasi ogni genere cinematografico: esordisce, come tutti sappiamo, nell’horror, con il secondo capitolo di Venerdì XIII, che è anche il migliore dei seguiti del bamboccione di Crystal Lake, ma poi si ritrova al timone di drammi, commedie, film sentimentali, nonché di parecchie serie televisive, per tornare periodicamente a casa, e cioè all’orrore, ogni volta che se ne presenta l’occasione. Miner non è un autore, lui fa quello che gli si chiede e ha, come obiettivo principale, quello di portare a termine il film stando nel budget previsto. Ha una padronanza enorme del mezzo, è abituato a gestire film piccoli e grandi. Insomma, è il classico regista solido e affidabile, categoria quasi del tutto sparita dal cinema perché trasmigrata nelle serie tv. E infatti lui non ha mai smesso di lavorare: come tanti suoi colleghi, ora se ne sta tranquillo a dirigere episodi di 50 minuti e a incassare l’assegno, anche se pare abbia un film in pre-produzione per il 2021.
Questo per dire che uno come Miner, Lake Placid lo potrebbe girare con la mano sinistra e un occhio solo: in fin dei conti, con questi attori in scena, con una sceneggiatura ottima, con Stan Winston che ti realizza il coccodrillo, puoi davvero limitarti a una regia competente e tutto andrà bene anche senza di te.
E infatti, quando leggo in giro recensioni di Lake Placid, il povero Miner viene messo in un angoletto: tutti sono presi a magnificare il cast, i dialoghi, gli effetti speciali efficacissimi nonostante l’economia, di Winston, e sono cose verissime, per carità, le ho dette anche io. Però, se a me dovesse mai venire in mente la balzana idea di mettermi a dirigere e volessi imparare l’arte della disposizione degli attori nell’inquadratura in relazione ai movimenti della macchina da presa, quello che in gergo viene chiamato blocking, ecco, credo che mi studierei Lake Placid fino a farmi sanguinare gli occhi.
Le scene d’azione di Lake Placid sono fluide e scorrevoli; si capisce tutto quello che succede anche quando devi raccontare di una mucca appesa a un elicottero e usata come esca per un coccodrillo di 9 metri che precipita in acqua con tutto l’elicottero (tranquilli, la mucca sopravvive, grazie a Dio), mentre la bestiaccia arriva a terra e attacca gli uomini disposti sulla riva per sparare i dardi coi tranquillanti, Bridget Fonda viene scaraventata per la quindicesima volta nel lago, Oliver Platt rischia la vita incastrato nei rottami dell’elicottero, e Pullman e Gleeson devono decidere se abbattere il gigantesco rettile o mantenere la promessa di lasciarlo in vita.
Ma non è in scene come questa che viene fuori la maestria di Miner, perché, per quanto complicate, sono sequenze quasi da ordinaria amministrazione. La maestria di Miner viene fuori quando è invisibile.
Viene fuori quando hai tre attori su una barchetta e devi raccontare l’evoluzione delle dinamiche tra loro in una sola inquadratura, facendoli spostare avanti e indietro, mandandoli a fuoco o fuori fuoco in un gioco di perfetti contrappesi che sono di natura narrativa: i dialoghi di Kelley, per quanto ben scritti, non avrebbero la stessa forza se Miner non avesse fatto la scelta di raccontare i personaggi in questo modo. Ed è una costante nelle scene di dialogo che si ripresenta lungo tutto il film: quando Gleeson finisce nella trappola messa da Platt, quando i quattro trovano a terra l’alluce di una delle vittime, quando si ritrovano a casa di Betty White per interrogarla, e via così, ogni volta che c’è un piccolo cambiamento nei rapporti, ogni volta che una relazione progredisce o fa un passo indietro, Miner te lo mostra attraverso la disposizione degli attori, quasi che Lake Placid fosse, più che un B movie col coccodrillo gigante, uno spettacolo teatrale.
Poi magari sono matta io, ma provate a farci caso, perché è vero, Miner non è affatto un grande regista, ma è uno da cui si può imparare tantissimo, uno che sa immediatamente identificare il linguaggio di cui una storia ha bisogno. E ci ritorneremo a breve, su questo discorso del linguaggio giusto da utilizzare.
Ma ora cambiamo argomento, anzi no, restiamo sugli horror lacustri, marittimi o vacanzieri, perché ho un annuncio da fare che riguarda anche Lake Placid: Paura & Delirio è pronto a lanciare la sua estate al mare. Con Davide abbiamo selezionato una ventina di film e sta a voi votarli. I quattro che riceveranno più voti avranno una bella puntata del podcast dedicata a loro. Intanto noi cominciamo giovedì prossimo con Lo Squalo, perché compie 45 anni, ma il proseguimento della rassegna dipende da voi.
Per votare, non dovete fare altro che andare qui. Avete a disposizione ben 4 opzioni: fatele fruttare.
Buona estate a tutti.
tu non sai l’urletto di gioia che ho lanciato quando ho visto che la recensione di oggi era su questo film 😀 che dire, lo adoro. ripensando a certe scene comincio a ridere da sola come una demente. tra l’altro mi hai dato una scusa perfetta per riguardarlo, un po’ perchè in estate ogni scusa è buona per un film sulle bestiacce acquatiche, un po’ perchè sono davvero curiosa di dare un’occhiata a quella questione delle inquadrature/dinamiche dei personaggi. non ci avevo mai fatto caso ma ora ci presterò attenzione!
sono ripetitiva, ma ci tengo a ribadirlo: recensione splendida, grazie 😀
Lake Placid va rivisto ogni estate perché sì, perché fa bene all’anima e se ti ho dato una buona scusa, allora questo blog serve a qualcosa 😀
Io adoro questo film. Secondo me è un onestissimo esercizio avventuroso. Ma il sottotesto omoerotico tra Gleason e Platt lo vedo solo io?
No no, è evidente che si amano.
Ciao, mi piace la parte su ‘gente che si diverte come matta a girare un film strambo’. Sai cosa mi diede quest’impressione? (non c’entra nulla con Lake Placid) “Cose preziose” con Von Sydow che sta sopra le righe dal primo all’ultimo minuto.
Cose Preziose mi ha dato l’impressione di un gran divertimento da parte del cast, Von Sydow in testa, mentre il regista si cagava sotto dall’ansia 😀
Votato il sondaggio intanto. Vabbè The Fog lo metto solo per sentirti parlare di The Fog, eh.:D
Dici così perché vuoi sentirmi fare propaganda nazi-femminista su Debra Hill.
ADORO la tua propaganda nazi-femminista. (mi sono riletto prima di votare la tua rece sia di The Fog che di “la forma dell’acqua”, comunque…sono abbastanza orgoglione di aver notato n po’ di cose talmente evidenti da essere sottili nell’Opera Carpenteriana che hai notato anche te. Per gli haters di Del Toro “Perchè HA VINTO LI OSCARS! SI E’ VENDUTO!!!111!!! HA BEVUTO ALLO SANGUE DELLO CAPITALE111!!!11!! posso dire solo : Sfi-ga-ti.E chi scrive non lo considera il miglior film di Del Toro..)
Penso anche io che non sia il miglior film di del Toro, però è il film della mia vita, e io non riesco affatto a essere obiettiva 😀
Diciamo pure che ormai Lake Placid lo conosco a memoria, ma lo rimetto in lista comunque, per fare più attenzione a quello che ogni volta ho visto senza arrivare a capirlo davvero: l’evoluzione delle dinamiche fra i protagonisti mostrata attraverso la disposizione degli attori nell’inquadratura (e, se questo non basta per fare di Miner un grande regista, mi sembra sufficiente per considerarlo un regista piuttosto in gamba 😉 )…
Ah, come mi mancavano quei bei sondaggi capaci di mettermi in difficoltà! Vado subito a votare!
Però, dai, questo era un sondaggio più facile: con 4 possibilità a disposizione non bisogna fare enormi sacrifici. O almeno spero 😀
Eh, ma per me è stato comunque un grande sacrificio non poter votare almeno la metà dei degni titoli proposti 😀