Ognuno di noi ha dei meccanismi che aiutano a superare i momenti critici. Io mi rifugio nei film, che sono un rifugio molto comodo quando si è forzati a restare tra quattro mura. Credo anche di non essere l’unica a farlo, come credo di non dire un’assurdità totale se scrivo che il cinema mi dà sempre un barlume di speranza; sì, persino i film di cui mi occupo qui sul blog, anzi, forse soprattutto quelli, per motivi che ho spiegato centinaia di volte e, se non li avete ancora capiti, molto probabilmente avete sbagliato blog.
Un film che mi ha dato tanta speranza è stato proprio questo The Wolf’s Call (è il suo titolo internazionale), un solidissimo thriller sottomarino di produzione francese, con una trama che è un po’ un incrocio tra Caccia a Ottobre Rosso e Crimson Tide, e diretto con un stile molto vicino a quello del mio amato Tony Scott.
Mi ha dato speranza in un’utopia che coltivo da un po’ di tempo, e di cui ricevo segnali positivi a intermittenza, quella del blockbuster europeo in grado di dare del filo da torcere ai corrispettivi americani. È un discorso che abbiamo già fatto ai tempi del colossal norvegese The Wave, filmone catastrofico che ha addirittura partorito un seguito (The Quake), nel 2018. No, ancora non l’ho visto. Sì, penso di recuperarlo proprio in questi giorni, se riesco.
Il mio sogno, la mia utopia, dicevamo, è di vedere questo tipo di blockbuster spuntare a ogni angolo d’Europa, magari anche in una prospettiva futura di coproduzioni tra i vari paesi, con cast internazionale e molti più soldi a disposizione. Un cinema popolare, di massa, di genere, in grado di dare vita a una vera industria cinematografica di matrice europea. Sì, sarebbe un sogno.
Non che i francesi siano nuovi a questo tipo di cose. Besson, sempre sia lodato, ha cercato di portare avanti un progetto molto simile, prima come regista e poi come produttore, ma senza grande fortuna. Anche The Wolf’s Call, nonostante costi una ventina di milioni di euro e racconti una storia che, negli Stati Uniti, necessiterebbe di un budget almeno sei volte superiore, non è proprio riuscito a sfondare: in patria ha incassato 12 milioni, cui ne vanno sommati altri 12 dalla distribuzione internazionale. Ha comunque coperto i costi portandosi a casa quei 4 milioncini di ricavo che non fanno schifo a nessuno. Ma ancora non è possibile parlare ragionevolmente di blockbuster, non con queste cifre.
Ad allungare, tuttavia, la vita di un film così, ci sono le piattaforme streaming, e infatti Wolf’s Call è arrivato su Netflix e, dalle recensioni che leggo in giro, sta piacendo davvero tanto. Peccato che non sia possibile reperirlo su Netflix Italia; non ne conosco le ragioni, forse c’è di mezzo un fugace e quasi invisibile passaggio in sala da noi nel giugno dell’anno scorso, e di conseguenza, qualche bega distributiva. La speranza è che sia reso disponibile il prima possibile, perché, e ve lo scrivo in grassetto, se vi piace il genere non potete perdervelo per nessun motivo al mondo.
Il protagonista del nostro film è il giovane Chanteraide (Francois Civil), un militare della marina francese dotato di udito prodigioso, e quindi impiegato al sonar nei sottomarini. Nel corso di una missione al largo della Siria, Chanteraide intercetta un segnale che, sulle prime, classifica come un capodoglio, ma in realtà è un altro sottomarino che porta allo scoperto la presenza dei francesi e, per poco, non causa la fine tragica della missione e la morte dell’intero equipaggio.
Sconvolto dal suo errore, il ragazzo torna a terra e comincia a indagare sullo strano segnale. E non posso dirvi altro se non che ci ritroveremo ad affrontare, a bordo di due sottomarini francesi, il solito vecchio spettro della guerra nucleare e della distruzione globale. Ah, quanta nostalgia.
I primi quindici minuti del film, tutti vissuti tra gli angusti spazi del sommergibile Titan e le profondità marine dove quattro sommozzatori devono tornare a bordo, sono di una tensione che ti inchioda alla poltrona e ti impedisce di staccare gli occhi dallo schermo. L’impressione è davvero quella di essere tornati ai tempi in cui si andava sott’acqua con Sean Connery o Denzel Washington e si tremava a ogni scricchiolio delle paratie e si sussultava a ogni bip del sonar. Mi rendo conto, solo adesso, che quel tipo di cinema mi era mancato tanto, e vederlo fare da noi (sì, considero, nonostante tutto, l’Europa un noi), mentre negli USA è stato quasi abbandonato, mi fa ben sperare per il futuro di un genere troppo spesso sommerso dall’ondata di cinecomic che, oramai, sembrano essere l’unico modo in cui l’industria hollywoodiana è in grado di sopravvivere.
Tuttavia, se l’ambientazione e gli snodi drammatici sono estremamente collaudati, tanto che potremmo anticipare ogni mossa dello sceneggiatore, lo stesso non si può dire per la figura del protagonista e per alcuni dettagli fondamentali, che rendono The Wolf’s Call un’opera con una sua autonomia rispetto ai vari modelli cui comunque trae ispirazione.
L’eroe non è un valoroso soldato o il capitano del sottomarino, ma un ragazzotto che non passa il test per tornare in missione perché trovano tracce di cannabis nel suo esame delle urine; Chanteraide non è un uomo d’azione, tutt’altro. Ha soltanto una caratteristica datagli in dono dalla natura, ovvero un udito prodigioso che diventa l’unica possibilità di salvare il mondo sull’orlo di un conflitto nucleare. Gli altri personaggi, gli eroi, gli ufficiali, sono tutti comprimari, tra cui spicca un Mathieu Kassovitz in gran spolvero nel ruolo dell’ammiraglio della flotta. Ma si tratta, appunto, di elementi collaterali, in un film che passa, per prima cosa, attraverso le nostre orecchie, dato che il sentire e identificare un determinato oggetto nell’acqua fa, in certe circostanze, la differenza tra la vita e la morte dell’equipaggio.
Nel buio degli abissi non si hanno occhi, l’esterno è un nulla sconfinato di pressione insostenibile, ed è il suono a indicare la direzione, a individuare i pericoli, a dirci a cosa stiamo andando incontro. Non è quindi tanto l’atto di eroismo fine a se stesso il fulcro della vicenda, quanto la capacità di un tecnico di individuare il vascello giusto al momento giusto.
Inutile dire che il sonoro la fa da padrone e va sottolineato il lavoro enorme del reparto per conferire al film il massimo di realismo e immedesimazione possibili.
Ve lo assicuro, tratterrete il fiato in più di un frangente e il silenzioso inseguimento, come il duello finale, tra sottomarini, vi esalterà come non accadeva dal 1990.
Se, come me, non potete vivere senza la vostra dose di film ambientati a bordo di quelle trappole mortali chiamate sottomarini, e quindi siete in astinenza da troppo tempo, io vi consiglio di recuperare questo Le Chant du Loup senza pensarci neanche un istante. Vi addolcirà la quarantena, è una promessa.
Praticamente quello di vedere dei blockbuster europei è anche il mio di sogno. Sarebbe veramente bello vedere varie nazioni collaborare per potare avanti progetti simili. The Wave è stata una grand esopresa e anche Il Primo Re prometteva bene. Chissà, magari tra qualche anno potremo avere qualcosa di simile.
Per il resto il film è veramente interessante e soprattutto mi colpisce molto la scelta del protagonista, che si differenzia parecchio dai film di questo tipo.
L’ambientazione degli abissi poi è un’ambientazione che mi affascina molto e che trovo sempre magnifica.
sembra davvero niente male…mi metto subito in caccia! 😀
(the wave, scoperto grazie al tuo blog, rimane tuttora uno dei miei catastrofici preferiti. the quake mi è piaciuto tanto quanto il primo, quindi te lo consiglio caldamente, anche se con l’avvertenza che i norvegesi quando vogliono sanno essere davvero crudeli…XD)
Anche The Wave aveva i suoi bei momenti di crudeltà. Comunque, ora so cosa vedere stasera! 😀
Oh, è proprio bastardissimo The Quake, porca miseria!
vero? molto più di “the wave” secondo me. già tutta la prima parte ti fa venire un groppo in gola (e il fatto di mostrare il protagonista in preda a depressione e sindrome da sopravvissuto è, a mio parere, una strada anomala e coraggiosa che un film americano difficilmente avrebbe percorso: gli eroi “ammeregani” non si abbandonano a queste futili manifestazioni di debolezza XD). poi in più ti piazza quella morte che proprio non ti aspetti. e niente, io ci sono rimasta XD
Tutta la prima parte con quel ritmo lento, l’evoluzione del protagonista, il personaggio, bellissimo, di sua moglie, e poi la mazzata in fronte.
In un film americano non sarebbe mai successo..
ecco perché bisogna tenersi stretti questi film quando escono 😀 già il fatto che siano stati distribuiti da noi costituisce un piccolo miracolo XD
Produzione francese (e da quelle parti ci sanno fare eccome) per una sorta di mix fra Caccia a Ottobre Rosso e Crimson Tide… non male, direi!
Almeno ti fa distrarre un po’ da questa situazione. Spero 🙂