Non solo siamo appestati e in quarantena. Ora possiamo decisamente definirci decrepiti, perché FInal Destination compie vent’anni. Cosa diavolo sia successo in tutto questo tempo neanche lo so. Mi sembra siano passati cinque minuti da quando mi trovavo a Trieste, a trovare la mia bisnonna, in una camera d’albergo e seguivo le Olimpiadi (le gare dei tuffi, per la precisione) e andò per la prima volta in onda il trailer di questo film. Ora, la cosa interessante è che era interamente composto da reazioni del pubblico, e questo circa sette anni prima che un simile metodo promozionale diventasse la norma per produzioni tipo Paranormal Activity. Non ne sono sicura, ma forse a dare inizio alle danze era stato, l’anno prima, The Blair Witch Project. Se qualcuno se lo ricorda, lasci un commento, grazie.
Questo amarcord per dire che Final Destination è stato un film pioneristico per diverse ragioni ed è arrivato a inserirsi in un panorama horror che viaggiava tranquillo nella brodaglia post-Scream, cambiandone le regole in corsa. Un processo molto simile a quello compiuto da Nightmare nel 1984: lo slasher che diventa soprannaturale.
Ma contestualizziamo un po’ la faccenda: a scrivere e dirigere il film c’era James Wong, che come regista non si può dire abbia dato chissà quale inestimabile contributo alla causa cinematografica. E tuttavia, se si guarda alla sua carriera come autore e produttore, si nota subito che, al contrario, ha dato un decisivo contributo alla causa televisiva, prima di tutto con X-Files (e quel gioiellino di MIllennium, maledetti). Ci sono stati poi American Horror Story e Scream Queens, ma è su X-Files che mi voglio soffermare, perché l’idea iniziale che poi sarebbe diventata Final Destination doveva essere un episodio di X-Files. La sceneggiatura, firmata da Jeffrey Reddick, risale al 1994, si chiamava “Flight 180” e, se volete leggerla, la trovate qui.
Lo script arriva a Wong, che ci vede molto lungo e pensa che sarebbe più adatto a un lungometraggio. Il concetto di farla in barba alla morte è interessante, e anche abbastanza originale. C’è del genio, da qualche parte, e si può sfruttare l’onda del teen horror, che dal 1996 continua a macinare imperterrita incassi.
Le cose stavano, tuttavia, per subire una trasformazione radicale: il già menzionato TBWP avrebbe cambiato la storia del genere e, al posto degli adolescenti alle prese con serial killer mascherati, sarebbero arrivate le telecamere traballanti.
Final Destination arriva quindi a esaurimento di un filone ben preciso, ne sottolinea la stanchezza, la parabola discendente, attenendosi pedissequamente alla sua struttura (personaggi, situazioni, dialoghi, ambientazione), mentre ne rivoluziona i contenuti, ponendosi sul mercato dell’horror come un prodotto unico nel suo genere.
Fateci caso: tutto grida slasher anni ’90, a partire dal poster coi faccioni, passando per la scelta del cast di attori giovani, ma già noti al pubblico di loro coetanei perché apparsi in qualche puntata di qualche serie tv (Ali Larter esordisce in Dawson’s Creek), fino ad arrivare ai cliché dei personaggi, replicati e replicabili all’infinito in qualunque film di questo tipo: il bullo, il buffone, lo sfigato, la final girl e via così; e poi ci sono dei fattori che sparigliano le carte, come la successione delle morti, che non è affatto quella che ti aspetti o i rapporti che si vengono a stabilire tra i personaggi nel corso degli eventi, abbastanza in controtendenza rispetto alla granitica stronzaggine del protagonista medio di ogni slasher del periodo. È un film che poggia su un umorismo macabro oscillante tra la raffinatezza della sequenza con Tony Todd e la sguaiatezza quasi fantozziana di alcune morti (quella dell’insegnante su tutte); c’è quel tanto di consapevolezza da permettere allo spettatore di tenere una certa distanza dalla materia narrata, ma non così tale da rendere il tutto uno smaliziato gioco cinefilo e autoreferenziale. Insomma, Final Destination vive di un delicato equilibrio tra l’adagiarsi sugli stereotipi e forzarli al proprio meccanismo.
Ed è, ovviamente, il meccanismo il punto di maggiore interesse: uno slasher dove l’assassino non è un tizio a caso che ha dato di matto, ma è la morte stessa, che si precipita a tutta velocità verso di te perché sei riuscito a fregarla. E non c’è killer più indistruttibile, non c’è nemico più invincibile della morte. Non le puoi sfuggire, non esiste un luogo sicuro dove nascondersi. Il significato ultimo di un film come Final Destination è molto più esistenziale di quanto non possa sembrare: sgombrato il campo dalle battute, dalle sequenze dal sapore slapstick, dall’interruzione traumatica e violenta della vita di un personaggio messa in scena per scatenare (anche) una risata liberatoria, Final Destination, sornione e seducente come il becchino interpretato da Todd, è lì per ricordarci quanto siamo fragili e indifesi, quanto poco contino i nostri piani, e quanto il più delle volte sia soltanto un capriccio del caso a fare la differenza tra la vita e quell’atroce nulla che aspetta tutti.
Costruire un film così leggero su un concetto che, al contrario, pesa come un macigno, è una questione di classe e mestiere. Renderlo un successo mondiale, capace di dare vita a quatto seguiti (e io ancora spero in altri film della saga) dipende dall’essere arrivati nella nicchia giusta al momento giusto, e ci interessa fino a un certo punto.
In realtà, è la struttura del film che, nella sua già analizzata classicità, nasconde un’anomalia macroscopica in piena vista: Final Destination utilizza la scena del disastro, la cosiddetta scena madre, che in qualunque altro film sarebbe il climax, come un mero pretesto per innescare il meccanismo da slasher soprannaturale. Se lo si guarda senza sapere nulla (come capitò a me in quella fine estate del 2000), si resta spiazzati dal suo sviluppo narrativo: parte come un disaster movie, con tutte le caratteristiche tipiche del sotto-genere, imbastisce una sequenza, anche piuttosto lunga e spettacolare, in cui mostra nei dettagli un incidente che, di fatto, non è ancora avvenuto, poi impiega gran parte del suo secondo atto a fingere di essere una specie di thriller soprannaturale con veggente e soltanto con lo shock della morte del migliore amico del protagonista impiccato nella vasca da bagno, rivela il suo vero genere di appartenenza che, lo ribadisco, è lo slasher tanto quanto lo era per Nightmare on Elm Street.
Con gli anni, e col susseguirsi di film più o meno riusciti, ci siamo abituati a questa struttura, abbiamo anche imparato a non prenderla affatto sul serio, data la deriva sempre più demenziale (e, allo stesso tempo, gore) presa dai seguiti, e abbiamo anche dimenticato quanto fosse brillante la scrittura del capostipite. Non rinnego niente: continuo a ritenere quella di Final Destination la migliore, e più interessante, saga horror degli anni 2000, mi diverto come la povera scema che sono a rivedere soprattutto il terzo e il quinto film, ma dando un’occhiata più critica a questa piccola gemma di inizio secolo, mi sono resa conto che è proprio di un’altra categoria.
Non so se sia una visione particolarmente indicata in questo momento, dato che ci mette di fronte, anche se in maniera grossolana, non lo nego, alla nostra precarietà esistenziale e, come ogni horror che si rispetti, ci porta un sacco di brutte notizie. Ma credo anche che sia un compleanno cinematografico troppo importante, per noi appassionati, per non essere celebrato. E quindi, tanti auguri Final Destination, sei invecchiato davvero bene e, anche vent’anni dopo, riesci a inquietarmi come poche cose al mondo.
Auguri Final Destination, e grazie per avermi fatto scoprire quella dea scesa in terra, Ali Larter.
Davvero una divinità. Tra le opere meritorie di FD, bisogna inserire anche questa!
insieme a Milla Jovovich (Resident Evil: Extinction, Resident Evil: Afterlife e Resident Evil: The Final Chapter,) e al top
Tbwp lo conosco ma ancora non visto.
Questa saga è bella, soprattutto mostra la vera casualità che non ci permette di stare tranquilli
Infatti, con tutto che il tema è trattato in maniera leggerissima, a me ha sempre messo un’ansia pazzesca.
In maniera leggerissima e micidiale allo stesso tempo… le regole sono stabilite dalla Nera Signora, e non c’è modo di sfuggirle: se le sei sopravvissuto per sbaglio la prima volta, non puoi anche decidere il modo in cui farla finita per evitare i suoi crudeli giochetti (ricordo nel terzo episodio -almeno, credo fosse il terzo- quando un ragazzo cerca di spararsi in testa, ma la sua arma s’inceppa senza speranza)!
Tanti auguri a Final Destination (e all’inquietante Tony Todd) anche da me, ovvio…
Da Nightmare riprende anche il concetto chi si salva nel film precedente muore nel prossimo.
Final Destination è un film che mi ha sempre affascinato. Sa intrattenere, sa divertire, ma riesce anche a farti paura per via del suo significato: la morte arriverà sempre e non potrai mai sfuggirle. Un concetto che in molti tendono a sottolineare poco.
Adoro….ogni volta che passa in tv (spesso)non riesco a non guardarlo. Perché…beh perché è divertente, angosciante, spiazzante e rassicurante ogni-singola-volta ☺
Sai la fatidica domanda “Quali sono i film che ti hanno cambiato la vita?”
Ecco, tra i tre o quattro che lo hanno davvero fatto, per me c’è Final Destination.
Te lo giuro, sono vent’anni che non appena sono in una situazione anche solo vagamente sospetta (attraverso la strada, accendo il forno, salgo sulle scale mobili, passo a fianco a uno col martello pneumatico, mi lavo i capelli con un nuovo shampoo, …) una parte del mio cervello si accende e comincia a pensare rapidamente a come la morte cercherà di farmi fuori. E’ una cosa automatica. Un po’ ansiongena forse, ma almeno sono ancora in vita 😀
L’idea di Final Destination è perfetta: mettere in scena in modo accattivante il più grande serial killer di tutti i tempi. Un assassino che, a differenza degli altri slasher, ce l’ha con tutti gli spettatori da quando sono nati.
Insomma, un gioiellino, e il tuo bellissimo articolo (come sempre) gli rende onore. 🙂
Io soprattutto quando guido in autostrada (per colpa del secondo film), se mi trovo dietro a un camion che trasporta roba pericolosa, cerco di cambiare corsia immediatamente 😀
Davvero, ti cambia la vita!
Toc toc, presente. Io c’ero, come si suol dire, quando uscì Final ed anche Blair Witch, visto al cinema, pietra miliare. (Sì, siamo vecchi, quasi più della morte! 😉 ) Non ho ancora mai rivisto né l’uno né l’altro, però, ed è tempo.
Dei seguiti di FD mi par di capire che sei entusiasta… mi mancano, tu che me ne dici? Ne hai scritto qui, immagino.
Eccola! I seguiti sono molto altalenanti. I migliori sono, secondo me, il terzo e il quinto, soprattutto il quinto, che ha un’idea di fondo geniale.
Visti tutti al cinema, per forza 😅
Eheh XD Prendo nota. Immagino che si possano vedere anche solo questi due dopo il primo, senza perdere pezzi fondamentali.
Coraggio, anche stavolta andrà tutto ben… ah, chi è quella tizia con la falce che ci corre incontro?
Sì, il secondo ha un personaggio che si collega al primo, ma poi gli altri sono del tutto scollegati se non per vaghissimi rimandi, nel senso che succede l’incidente di turno e i personaggi sopravvissuti dicono cose tipo: “Ah sì, come il volo 180!”
Sì, “andrà tutto bene” 😀
Al prossimo telo con l’arcobaleno che vedo per strada, me lo metto io il costume nero con la falce 😀
😄 💕
Avevo 15 anni. E avrò visto sto film duecento volte. Buon compleanno a Final Destination!
15 anni… Un tenero virgulto rovinato dal cinema horror 😂😂
L’horror è sempre stata la mia passione. Pensa che da bambina ho iniziato con Candyman e poi non mi sono più fermata 🙂
Se ricordo bene (son sempre 20 anni) Final Destination mi colpì positivamente per due aspetti. Il primo è la presenza/assenza del villain: una Morte che non compare mai su schermo eppure è sempre presente, tangibile. Il secondo aspetto magari è più personale ed è dovuto al fatto che il ruolo della morte non mi era sembrato poi così orribile o malvagio: vedevo un grande conflitto tra il desiderio di sopravvivere dei protagonisti e la necessità di ripristinare l’ordine naturale delle cose.
Sì, nei seguiti la morte assume delle sfumature di sadismo così estreme che la connotazione è di sicuro più malvagia. Ma qui si limita a ripristinare l’ordine naturale delle cose, fa il suo “mestiere”.
(confesso di non aver mai visto i seguiti)
Io ti consiglio di vedere almeno il quinto che è spassosissmo, e per una cosa che non posso rivelarti, ma credo ti piacerà.
Lo guarderò sicuramente, grazie 🙂