Regia – Stanley Kubrick (1980)
Ed eccoci qua, subito ad affrontare la sfida più difficile da quando ho aperto il blog. In teoria, il secondo film tratto da un romanzo di King è l’adattamento televisivo a firma di Tobe Hooper de Le Notti di Salem, ma ne avevamo parlato anni fa, e quindi mi tocca Shining, che io non lo so chi me l’ha fatto fare, mannaggia alle pessime idee che mi vengono. Unica nota positiva: da qui in poi, è tutta discesa.
Ho pensato tanto, in questo mese, a come affrontare un articolo su un film di cui si è discusso, in sedi molto più titolate della mia, fino allo sfinimento: ci sono libri, documentari, decine e decine di interpretazioni, di studi, oceani di inchiostro e tonnellate di byte, su Shining. Davvero, cos’altro volete sapere? È un film così perfetto che quasi ti irrita, che a ogni visione ti salta agli occhi (e alle orecchie) un particolare nuovo, qualcosa che non avevi notato la volta precedente, e va sempre a finire che non riesci a smettere di pensarci.
Cosa può fare un’umile blogger di fronte a un pezzo così ingombrante di storia del cinema?
Niente. Come non poté fare niente King quando uscì il film e ne rimase deluso, prendendosi pernacchie e sberleffi vari a destra e a manca; lui, lo scribacchino ignorante e sempliciotto, incapace di apprezzare il Vero Genio.
Non fraintendetemi: da giovane, ho riservato a King la mia dose di frizzi e lazzi, perché insomma, sei ridicolo se ti incazzi per la faccenda delle siepi animate e non riconosci un capolavoro neanche quando ti esplode in faccia. Poi, col tempo, ho iniziato a comprenderne le ragioni, che sono molto più profonde di un paio di capitoli tagliati o della morte di un personaggio che nel romanzo sopravvive; questo non mi ha fatto amare meno l’opera di Kubrick, per carità: si possono capire le motivazioni di uno scrittore quando vede il suo lavoro trasformato in qualcosa di estremamente distante (addirittura opposto) dalle sue intenzioni e, allo stesso tempo, apprezzare lo stravolgimento, considerarlo addirittura migliorativo.
E tuttavia trovo il rapporto tra lo Shining romanzo e lo Shining film una faccenda abbastanza interessante, e ancora relativamente poco discussa, perché è sacrilegio solo pensare di prendere sul serio le proteste di King. Quindi, invece di rivedere il film (che so a memoria, taglio per taglio, inquadratura per inquadratura), ho riletto il libro, cosa che mai avevo fatto, e io King tendo a rileggerlo spesso: quando questo non accade è perché mi lascia freddina e, in alcune circostanze, mi annoia.
Avevo in effetti il ricordo preciso di essermi un po’ annoiata quando, da ragazzina, avevo affrontato Shining (romanzo) per la prima volta; ho imputato la faccenda alla mia giovane età e ho pensato che, passata la quarantina, forse sarei stata in grado di apprezzarlo di più.
E invece no: ho fatto fatica a finirlo e mi sono chiesta cosa mai ci avesse trovato Kubrick per arrivare a volerne fare un film.
Abbiamo detto, nel post su Carrie, che la storia degli adattamenti dei romanzi di King è una storia di progressiva soggezione nei suoi confronti. Mano mano che la sua fama cresceva, i lettori aumentavano, i libri venivano ristampati in centinaia di lingue ed edizioni, il cinema ha sempre più assunto un atteggiamento più guardingo. Il che si è concretizzato in un’ingerenza sempre maggiore di King nella produzione dei vari film; quando poi persino la critica letteraria ha iniziato a rivalutare l’opera del Re, e il fandom da social network si è messo lì col fucile puntato ogni volta che un suo romanzo veniva portato sul grande o piccolo schermo, la soggezione ha raggiunto livelli di guardia. C’è da dire che la qualità dei film ne ha tratto giovamento, ma questo è un argomento per un altro post.
Nel caso d Shining, la soggezione è al contrario: è Kubrick che mette in soggezione King, pure giustamente. Il fatto che il più grande regista vivente scelga proprio il tuo romanzo per farne un film, dovrebbe essere sufficiente per buttarsi in ginocchio e ringraziare, a maggior ragione se scrivi libracci per pervertiti e analfabeti.
Per fare un esempio, sarebbe come se oggi, Paul Thomas Anderson decidesse di adattare I Vermi Conquistatori.
Ma torniamo al nostro Shining: cosa può averci trovato Kubrick? Io credo nulla, o meglio, un grosso contenitore vuoto in cui inserire il suo cinema e la sua particolare concezione di film horror.
King aveva in mente di scrivere un romanzo gotico americano, dove alla classica infestazione in un castello si sostituisce un vecchio albergo che, come tutti i luoghi infestati, tira fuori il peggio da chi va ad abitarci, soprattutto se già mentalmente fragile. C’è tantissima Hill House (ma anche Hell House e la casa di Burnt Offerings), in Shining, nel senso di un brutto posto che decide di prenderti e non ti lascia più andare, e poi sì, logicamente, c’è anche quell’indagine su quanto di “intrinsecamente sbagliato” esiste nella personalità umana che interessava a Kubrick del genere horror.
Eppure non è che sia un libro così riuscito: si capisce dove King voglia andare a parare, si capisce cosa voleva fare col personaggio di Jack Torrance, si capisce il suo arco narrativo di redenzione, ma è difficile condividere lo spazio di quasi seicento pagine con un borioso alcolizzato convinto di essere una specie di dono di Dio alla letteratura, che abusa psicologicamente e fisicamente di moglie e figlio ed è comunque il protagonista, quello a cui dovrebbe andare la nostra simpatia. E non perché non possano esserci protagonisti negativi, ma perché Jack è esattamente ciò che accusa il suo datore di lavoro di essere nella prima riga del romanzo: un piccolo stronzo intrigante. E non che non gli altri due personaggi con cui ci troviamo a vivere chiusi nell’Overlook le cose vadano meglio: Danny è un bambino di 5 anni che ragiona, agisce e spesso si esprime addirittura come un adulto e nessuna precocità lo dispensa dall’essere poco più di un espediente narrativo; la povera Wendy, invece, è il tipico personaggio femminile di contorno dei primi romanzi di King, una mogliettina in stato di preoccupazione e ansia perenni, resa irritante dal desiderio di King non far passare Jack come il totale testa di cazzo che invece è.
E quindi Kubrick, prendendo questo romanzone elefantiaco, ha fatto l’unica cosa possibile: svuotarlo di ogni umanità (tranne che per Wendy, la cui intensità isterica la rende l’unico personaggio con cui lo spettatore riesce a stabilire un contatto), mostrare sin dall’inizio che il signor Torrance è un pazzo furioso che di sicuro farà del male alla moglie e al figlio (se non ne ha già fatto), rendere Wendy e Danny terrorizzati dal primo fotogramma in cui appaiono e, in generale, smontare l’intero impianto narrativo messo in piedi da King, realizzando così uno degli horror più teorici della storia del cinema.
Si capisce allora il risentimento di King: lui aveva scritto quello che riteneva essere un grande omaggio al gotico americano; aveva già fatto una cosa simile, con molto più successo, nel 1975 con Le Notti di Salem, ma in quel caso l’oggetto dell’omaggio era stato Dracula, che forse era più nelle sue corde rispetto a Shirley Jackson. Vedersi fare sistematicamente e volutamente a pezzi la struttura gotica del suo libro deve essere stato un dolore enorme. E mi domando come sia possibile non avere cognizione di un dolore simile, quando siete i primi che strepitate e puntate i piedini da fan quando una trasposizione non rispecchia, finanche nelle virgole, i vostri sacri testi preferiti.
C’è chi ha detto che Kubrick ha capito il romanzo di King meglio di King stesso. Ecco, io non sono d’accordo con questa valutazione: Kubrick ha preso un libro che si atteneva in maniera scrupolosa a un certo canone di genere (il gotico), proponeva una situazione di partenza e anche di chiusura (l’arco narrativo di Jack con il sacrificio volontario finale) altrettanto canoniche, e l’ha piegato alla sua immagine dell’orrore; se per King l’Overlook è un brutto posto, perché è infestato, Kubrick lo trasforma in uno spazio allo stesso tempo fisico e mentale dove è lo stesso concetto di realtà a essere irrimediabilmente obsoleto. In altre parole, King fa una distinzione molto netta tra reale e soprannaturale, mentre Kubrick non la vuole fare. L’Overlook hotel era infestato da prima che i Torrance ci andassero o è Jack a portare i fantasmi nell’albergo? Che è cosa ben diversa dal dire che gli spettri sono nella mente di Jack, asserzione che non tiene conto dello spazio cinematografico dell’Overlook. Uno spazio parallelo, quasi un altro universo che ti tiene in trappola, non un semplice (per quanto affascinante) brutto posto. E forse Kubrick si avvicina alle astrazioni di Shirley Jackson anche più di quanto non avesse fatto King.
In conclusione, possiamo tranquillamente fare pace col fatto delle siepi: le siepi non hanno nulla a che vedere con la mancanza di apprezzamento di King per il capolavoro di Kubrick. È più, credo, un discorso del genere cui le due opere appartengono, gotico il romanzo, horror il film, generi contigui, a volte sovrapponibili, ma ognuno con una propria identità.
Shining è un horror moderno: la rinascita del cinema dell’orrore cui stiamo assistendo in questi ultimi cinque o sei anni deve tantissimo a Shining; è un film i cui risultati nel progresso del genere sono diventati visibili oltre trent’anni dopo la sua uscita. Non perché non sia mai stato citato prima (non sono una mentecatta), ma perché la sua struttura è diventata organica all’horror contemporaneo.
È quindi naturale che il film faccia parte del nostro immaginario più del romanzo, è naturale che l’abbia eclissato, ma è altrettanto naturale che King abbia ancora il dente avvelenato nei suoi confronti, senza che noi dobbiamo per forza burlarci di lui per questo.
E ora vado a nascondermi piena di vergogna in un angolo e a meditare sulla mia inadeguatezza. Che Dio mi perdoni.
hai fatto un’analisi da standing ovation. se mai dovessero chiedermi quale sia il mio horror preferito, credo risponderei ‘shining’. in occasione dell’uscita (chiamiamola estesa) di quest’anno ho riletto il romanzo e visto per la prima volta la miniserie, che è letteralmente una fotocopia del libro; devo dire che, a parte una cgi da far accapponare la pelle e quella perenne sensazione da film hallmark con spruzzi d’horror, non mi è dispiaciuta un’interpretazione di jack thorrance completamente diversa da quella (a mio avviso perfetta) di nicholson, forse perché la mia scena preferita in tutto il libro è quella in cui jack dice a danny: ‘scappa e ricorda che ti ho voluto tanto bene’ (piango ogni volta, sono senza speranza), scena che ovviamente non aveva alcuno spazio nella narrativa di kubrick per tutta una serie di motivi. e niente, capisco la delusione di king nel vedersi stravolgere un’opera così personale in qualcosa di totalmente freddo e straniante, ma come faccia ancora oggi a sostenere che kubrick non abbia girato un horror, va al di là della mia comprensione. detto ciò, ho apprezzato molto di più ‘doctor sleep’ (romanzo, il film ancora mi manca) rispetto a ‘shining’, anche solo per il fatto che è molto più facile voler bene a danny che a jack. concludo dicendo che questo dev’essere uno dei rarissimi casi in cui è andata bene a tutti: per i puristi del romanzo, autore incluso, esiste la miniserie. per tutti gli altri (con un po’ più di buon gusto XD) esiste quel capolavoro di kubrick. meglio di così!
Definire la miniserie un film hallmark con spruzzi horror è un colpo di genio, e me lo salvo per quando dovrò scrivere il post a essa dedicato. Ovviamente ti citerò!
ahahahah me onorata 😀
E tutto questo senza contare che in una delle stanze dell’Overlook Hotel c’è David Bowman, vecchio, col Monolito che incombe ai piedi del letto.
Ottima Lucia, un applauso sentito per il coraggio; con l’audacia della gioventù ho scritto di Shining nella mia tesi di laurea a 20 anni, oggi non me la sentirei neanche sotto tortura, e ho persino terrore a rileggere quello che scrissi all’epoca. Ricordo solo che, con supponenza, sostenni che Kubrick mise a nudo le regole della suspense e le ribaltò sia “in eccesso” che “in difetto”; roba che solo un coglioncino con il biberon che ancora gli sporgeva dalla bocca poteva considerare brillante.
Riguardo al difficile rapporto King-Kubrick hai scritto benissimo; probabilmente tutto nasce dal fatto che King c’ha messo tanto di sè nel libro da non riuscire a valutarne la qualità in maniera oggettiva, e per questo il fatto che Kubrick l’abbia trattato come un libraccio (cosa che peraltro non è, è solo un ipertrofico romanzo horror non esente da tratti pulp) e l’abbia stravolto lo ha lasciato ferito, amareggiato e incattivito. Kubrick peraltro era uno stronzo, non credo fosse il tipo da spiegare all’autore i motivi del suo agire, così come non era tipo da esimersi a fare rigirare alla povera Shelley Duvall 50 volte la stessa scena.
La povera Shelley Duvall ci è finita letteralmente al manicomio per la stronzaggine di Kubrick (e di Nicholson) su quel set. In pratica sono stati mesi e mesi di torture psicologiche. E, prima o poi, bisognerà anche ricominciare a discutere se questo far soffrire le pene dell’inferno agli attori (che poi, in questi casi, sono quasi sempre donne) possa essere cosa giustificabile da un presunto genio.
Solo che se provassi davvero ad affrontare una questione simile, credo che verrei linciata.
Ti difendo io.
Non a parole, a sprangate.
Anch’io sguaino la spranga. Genio o non genio, abusi e violenze rimangono tali, e a un Kubrick e a un Friedkin che maltrattano le loro attrici per girare “scene a effetto” preferisco di gran lunga Richard Donner che, nella scena della ampolla col pesce che cade in The Omen, mette un pesce finto perchè non vuole uccidere un animale per il suo film. Cribbio siete registi, non c’è scritto da nessuna parte che l’Arte giustifichi la violenza, se no lo snuff movie sarebbe la forma di arte più alta esistente.
Ma la stessa cosa si può dire per le scene di sesso imposte alle attrici (o agli attori molto giovani). Mi ricordo le polemiche su La Vita di Adele (che infatti non mi ha mai convinta) e, in generale, su tutti i film del suo regista, con i racconti delle attrici coinvolte che venivano sbeffeggiati, nel migliore dei casi, perché “come ti permetti, con la tua pudicizia borghese, di voler fermare il processo creativo di un genio?”
Spesso si tende a dimenticare che gli attori sono esseri umani, con le loro fragilità e non sono delle marionette da usare a piacimento.
Secondo me questo voler giustificare ogni cosa, basta che dietro ci sia un artista, è uno dei peggiori retaggi del Romanticismo.
Se mai decidessi di affrontare un tema del genere, ovviamente mi avresti al tuo fianco. Anche perché mi piacerebbe che qualcuno lo affrontasse – oltre da una prospettiva di genere – anche dal punto di vista di Laurence Olivier: invece di torturare gli attori, o convincerli ad autotorturarsi – perché purtroppo gli uomini difficilmente si sono spesi in difesa delle loro colleghe in passato – non si potrebbe chiedere semplicemente loro di recitare? Che è proprio quello il mestiere: rendere credibile qualcosa che non è vero. Se pretendo che sia vero, forse è perché non ho alcun rispetto per la professione…
Ci vorrebbe la lucidità necessaria a non farsi conquistare troppo dai nostri stessi idoli; inoltre ci vuole anche la capacità di contestualizzare le situazioni: per esempio, andare a girare un film in condizioni proibitive, siano esse climatiche o ambientali (Fitzcarraldo, La Cosa, The Abyss), mette tutti in condizioni di stress estremo, e questo è un conto; girare in un teatro e torturare appositamente un attore è una follia che, credo, oggi non passerebbe più su nessun set.
Eppure, appellandosi al “genio” dei torturatori, sono molti ancora oggi quelli che giustificano certi comportamenti…
Il caso più recente è quello di Kechiche, che nel suo Mektoub, My Love: Intermezzo, ha girato una lunga scena di sesso mettendo in condizioni di forte disagio la sua attrice protagonista. Era già successo con La Vita di Adele. Ma niente, lui è il grande autore, lui può tutto.
E, senza arrivare così lontano, di recente Emilia Clarke ha dichiarato di essersi sentita molto poco a proprio agio a girare le scene di nudo sul set di GoT.
Diciamo che oggi la tortura psicologica è stata sostituita con la forzatura a girare scene di sesso e, se le attrici protestano, sono delle bigotte.
Il caso di Shelley Duvall me ne ricorda un altro, ancora più estremo: quello di Isabelle Adjani, messa a durissima prova da Żuławski sul set di Possession, …
Grandissima, hai scritto un post meraviglioso (io ne avevo scritto sul blog anni fa. Quando ero ancora così incosciente da osare parlare di Shining, Arancia meccanica e The Addiction, pura follia XD).
Faccio outing e dico che anche io, mi perdoni King, ho trovato Shining un romanzo pesantissimo da finire e non certo perché “Kubrick è meglio”, ma proprio per le stesse ragioni che hai elencato tu; rileggendolo, ho trovato molto migliore Doctor Sleep, una reale e profonda riflessione sul senso di colpa e i fantasmi del passato, più che la storia di uno stronzo che se la crede e che si redime solo all’ultimo.
Anche io ho preferito di gran lunga Doctor Sleep a Shining (romanzo), l’ho trovato più maturo, più riflessivo e con un personaggio raccontato molto, ma molto meglio.
Grande recensione. Di cosa avevi paura? Sei brava. Se uno è bravo, è bravo. Poi se sei un tennista bravo che affronta Nargiso di solito vinci. Se sei un tennista bravo che affronta Federer di solito perdi. Ma perchè lui è Federer. Mica toglie nulla alla tua bravura.
Detto questo: sul romanzo sfondi una porta aperta. Doctor Sleep è uno dei (non molti) King “da vecchio” riusciti. Shining è uno dei (non molti) King da giovane non riuscitissimi.
Lo stesso King tra le varie “critiche” all’ opera di Kubrick afferma che il suo romanzo finisce nel fuoco, il film nel ghiaccio. (Uau, Stewie, il fuoco come metafora di redenzione! Ma come siamo colti laggiù a Bangor!).
Sia chiaro che prendoppelculo Stephen con AFFETTO INCOMMENSURABILE.
Anche sulla fanbase e sulla soggezione dovuta al Maestro ormai riconosciuto Autore , altro strike.
Hai scritto tu stessa l’assordità di volere in IT seconda parte “quella scena lì” (sospetto che più che devozione al Maestro molti lo sarebbero andati a vedere solo per il gusto di un’ orgetta con adolescente, ma forse è perchè sono un misantropo). C’è un’altra scena (non perchè sia “forte”, ma perchè centrauncazzo) in The Stand (edizione completa) con Pattume che fa quell’effetto lì.
Forse Stewie ha una scimmietta che ogni tanto gli dice “metti una bella sodomia, qua. Così, perchè mi va”. Sospetto che sia la stessa scimmia che gli faceva pretendere gli Ac/Dc come colonna sonora e un camion con la faccia da Golem. Perchè sì. Perchè ha veramente una meravigliosa testa da adolescente. Meravigliosa, ma da adolescente.
Parlando di personaggi. Sì, nel libro Jack Torrance è malriuscito. Nel film diventa un archetipo, la Redenzione mandiamola pure in pasto ai porci, ma come archetipo è riuscito.
E’ uno dei tanti libri “personali” che Stewie ha fatto per esorcizzare il suo alcolismo. Pensa a Tommyknockers (altro titolo italiano così a muzzo). Lì il poeta era riuscito un po’ meglio come personaggio. La redenzione pareva un po’ meno fasulla.
E Kubrick cosa fa? Kubrick fa quello che gli pare perchè lui è Kubrick. Altrochè il marchese del Grillo. E fa bene. Io ho sempre avuto l’idea che fosse (il film) una gigantesca presa in giro dello spettatore. Presa in giro stimolante e a fin di bene. Diciamo che con tutti gli spiegoni che mettono negli “horror for dummies” degli ultimi almeno 20 anni, The Shining è l’antispiegone per eccellenza.
L’antidoto definitivo.
Chi apre quella cella frigorifera dove Wendy ha rinchiuso Jack se son tutte allucinazioni?
Esempio a caso.
Eh niente, volevo farti i complimenti, mi è venuto da scrivere un po’ sull’amatissimo King e mi è venuto facile. Mi è venuto da scrivere un po’ sul venerato ma non amato Stanley e mi è venuto impossibile.
Complimenti raddoppiati.
Io anche ho scritto, alla fine, più su King che su Kubrick. Mette in soggezione, c’è poco da fare. Che poi, mi mette mille volte meno in soggezione, che so io, Bergman, su cui forse è ancora più difficile scrivere, che Kubrick.
Credo e temo sia un problema dei rispettivi fan club, che sono poi quelli che mi spaventano.
Sottoscrivo a 100 Luca Bardovagni: ci saranno anche recensori-Federer in giro al confronto coi quali ti nasce una sovrana soggezione e riverenza, e va benissimo così, ma al tempo stesso tu rimani una Agassi, mica una parvenu che passa di qui per caso – se poi Agassi non ti torna o non ti garba, trova pure un esempio più adatto, ma il senso è quello.
Con me vinci facile, certo, ma diciamolo lo stesso: penso anch’io che Shinning-King non sia il suo top, e abbia difetti di base un po’ grossi, e che per converso Shining-Kubrick sia un masterpiece. Eppure, Kubrick mi ha sempre affascinato per la maestria ma lasciato altrettanto freddina come King, seppur per motivi diversi. Leggendoti, però, riesco a vederlo con altri occhi e con un piacere che da sola non saprei infondervi: mica poco, ragazza.
No no, mi va benissimo Agassi! ❤
A me interessano i rapporti difficili e controversi, e mi interessa soprattutto il fatto che a Kubrick fosse consentito disprezzare apertamente la sua fonte letteraria e che l'oggetto di tale disprezzo dovesse pure stare muto.
Sono dinamiche molto particolari e di solito avvengono al contrario.
Fossero tutte così “inadeguate” le recensioni online, l’internetto sarebbe pieno di Roger Ebert!
Splendida analisi.
Chapeau.
Grazie ❤
Lucia non potevi scrivere articolo migliore su shining, che è da sempre il mio horror preferito, praticamente è l’horror perfetto, per me rappresenta il must dei must insieme a Dawn of the Dead dei film horror ^_^
1) Nasconderti piena di vergogna in un angolo? Ma non c’è il benché minimo motivo per farlo…
2) Meditare sulla tua inadeguatezza? E dove sarebbe, quest’inadeguatezza? Io non la vedo, eh!
3) Nemmeno Dio avrà niente da perdonarti, visto il livello (ottimo) del post che sei riuscita a scrivere su Shining: non un gran romanzo di King ma un grandissimo film di Kubrick, con comprensibile scorno dello scrittore qui surclassato dal regista… dai, che alla fine almeno un po’ di soggezione nei suoi confronti ce l’hai fatta a superarla 😉
Eh, ma Kubrick è tosto sul serio. Più che altro perché se ne è parlato e se ne parla tanto, pure troppo!