Dieci Horror per un Anno: 1964

Altra annata abbastanza fuori del comune, questo 1964, che non mi aspettavo essere così ricco. Come tradizione per gli anni ’60, c’è un po’ di tutto, con un occhio di riguardo nei confronti delle produzioni italiane e giapponesi, mentre i soliti Corman, Castle e Fisher tengono comunque il punto per ricordarci a chi è davvero appartenuto il decennio. Siamo all’apice del gotico, inglese, americano e italiano, e nel frattempo si gettano i semi per quello che verrà dopo. Si tratta, in altre parole, di un momento entusiasmante per il nostro genere preferito e non vedo l’ora di farne un riepilogo con voi.

1. 5 Corpi senza Testa – Regia di William Castle (Uscito negli USA il 19 Gennaio del 1964)

Uno degli effetti di quel capolavoro di Che Fine Ha Fatto Baby Jane? è stata la nascita della cosiddetta hagsploitation, ovvero un filone che vedeva protagoniste attrici un po’ avanti con gli anni, di solito nel ruolo di psicopatiche e assassine, ma anche di vittime di crimini brutali, come vedremo più avanti in questo stesso post. Le due protagoniste del film di Aldrich, Joan Crawford e Bette Davis, divennero le star di questo particolarissimo sotto-genere e, per quanto potesse essere considerato umiliante, per delle dive di quel calibro, apparire in produzioni di serie B, era comunque un modo per rivitalizzare carriere un po’ appannate, dato che Hollywood non è mai stata troppo tenera con le donne che invecchiano.
Strait-Jacket (questo il titolo originale) vede Joan Crawford impegnata a interpretare un’assassina che esce di prigione dopo vent’anni e cerca di riallacciare i rapporti con la figlia, mentre, intorno a lei si consuma una serie di delitti efferati.
È il classico B movie alla Castle, forse anche più spudorato degli altri, preceduto dalla solita campagna pubblicitaria molto sopra le righe. Joan Crawford è divina, anche con un’accetta in mano, soprattutto con un’accetta in mano.

2. L’Ultimo Uomo della Terra – Regia di Ubaldo Ragona (Uscito negli USA l’8 Marzo del 1964)

Prima, e ancora imbattuta, trasposizione di Io Sono Leggenda, questo splendido film diretto da un regista italiano e girato a Roma, è stata una delle principali influenze (insieme ovviamente, al romanzo di Matheson) per Romero e i suoi morti viventi. Inutile raccontarvi la trama, perché la conoscete tutti e, se non la conoscete, avete sbagliato blog. La faccenda curiosa relativa a questo film, è che a Matheson non piacque il risultato e finì per firmare la sceneggiatura con uno pseudonimo, pur ammettendo che si trattava dell’adattamento più fedele del suo libro; al contrario, Price era molto affezionato al film, ma lo scrittore era certo che il suo fosse un caso clamoroso di casting sbagliato.
Oggi, L’Ultimo Uomo della Terra è considerato un vero e proprio classico del genere e, nonostante differisca in molti punti dalla sua controparte letteraria, è superiore sia a The Omega Man sia a, non ne parliamo proprio, il film con Will Smith del 2007.

3. Two Thousand Maniacs! – Regia di Herschell Gordon Lewis (Uscito negli USA il 20 Marzo del 1964)

Fin’ora, quando abbiamo parlato del padrino del gore, abbiamo sempre trattato i suoi film con una certa sufficienza, certi che neppure Lewis stesso se ne avrebbe a male: non ha mai pensato di essere un artista o di fare del buon cinema. Il caso di Two Thousand Maniacs! è un po’ diverso, solo un po’ però. Il film ha infatti non soltanto il merito, già più volte ribadito, di aver superato i limiti di ciò che era lecito mostrare in campo, ma ha inaugurato il filone dei bifolchi assassini che si accaniscono contro bravi ragazzotti di città in cerca di svago. Insomma, in tutta la sua demenza, è un piccolo survival ante litteram, e certi meriti vanno rivendicati e mai sottovalutati. È anche, da un punto di vista strutturale, il migliore e più coeso film di Lewis, quasi avesse deciso di imparare (quasi) a dirigere per l’occasione.

4. Sei Donne per L’assassino – Regia di Mario Bava (Uscito in Italia il 10 Aprile del 1964)

E vabbè, ma che vi devo dire ancora su Bava e sul primo, vero Giallo “ufficiale” della storia del cinema italiano? Sono molto legata a questo film, per motivi personali, famigliari e affettivi: ormai dovreste saperlo che la storia della mia famiglia e quella di Mario Bava si sono incrociate più volte, ma i motivi per cui ritengo Sei Donne per l’Assassino uno dei fondamentali per lo studio della storia del genere, diciamo uno di quei dieci film da cui non si può prescindere, è che è uno sfoggio di classe dal minuto uno al minuto ottantotto. Ed è, soprattutto, un film che compie il miracolo di non essere datato, di non invecchiare mai. Nel suo essere un meccanismo di pura tensione, sembra girato l’altro ieri e ancora dà un sacco di filo da torcere a tanto cinema contemporaneo.

5. Lady in a Cage – Regia di Walter Grauman (Uscito negli USA il 10 Giugno del 1964)

Anche Olivia de Havilland ha i suoi trascorsi horror, anche a lei è toccato partecipare a un film di serie B per mostrare al mondo di essere ancora in grado di portare pubblico in sala a, tenetevi forte, 48 anni. Sì, perché nella grande Hollywood dell’epoca, a quell’età eri finita. E invece no, perché l’horror è gentile, l’horror ti accoglie, l’horror ti offre sempre una seconda occasione. Ed ecco Lady in a Cage, dove la nostra passa una pessima, e torrida, giornata estiva bloccata nell’ascensore interno al suo appartamento in seguito a un blackout. E non è sola: a tenerle compagnia c’è un gruppo di teppisti animati da cattivissime intenzioni.
Lady in a Cage è un film che ti inchioda allo schermo e non ti fa respirare. Provatelo e poi ditemi.

6. La Maschera della Morte Rossa – Regia di Roger Corman (Uscito negli USA il 24 Giugno del 1964)

Dacci oggi il nostro Corman quotidiano, e dacci anche il nostro Poe-film, che non ne abbiamo mai abbastanza. È incredibile come, in quel periodo storico, si fosse in grado di raggiungere un tale livello di magnificenza visiva con budget ridottissimi. Ma d’altronde è anche normale, quando hai una produzione cormaniana e, a dirigere la fotografia, ci trovi nientemeno che Nicholas Roeg.
Di questo film, infatti, ricordo soprattutto i colori che riempiono gli occhi fino a farli lacrimare. Per quanto mi riguarda, si tratta del punto più alto raggiunto dalle sedicenti trasposizioni di Corman da Poe. Raramente si è visto, nell’ambito della serie B, qualcosa di visivamente più bello.

7. Danza Macabra – Regia di Antonio Margheriti e Sergio Corbucci (Uscito in Italia il 4 Luglio del 1964)

Che anni ’60 sarebbero senza un bel goticone italiano e senza Barbara Steele?
Corbucci in realtà non è accreditato, perché lasciò il set dopo appena una settimana e venne sostituito da Margheriti, ma mi piace comunque ricordarlo.
Anche qui c’entra Poe, anzi, è proprio uno dei personaggi del film, interpretato da Silvano Tranquilli, già in coppia con Steele per L’Orribile Segreto del Dottor Hichcock.
Danza Macabra ipotizza che i racconti di Poe prendano tutti spunto da fatti realmente accaduti e un povero giornalista scommette con lo scrittore di riuscire a passare la notte in un castello infestato. Com’è logico, tutto andrà storto e finirà in tragedia.
È un film raffinato ed elegante, uno dei più interessanti della breve e intensa storia del gotico all’italiana. E Barbara Steele è, al solito, di una bellezza e di una sensualità quasi dolorose.

8. Lo Sguardo che Uccide – Regia di Terence Fisher (Uscito in UK il 21 Agosto del 1964)

Senza la Hammer, l’horror degli anni ’60 non ha senso, la vita umana in generale, non ha senso. The Gorgon è una produzione Hammer un po’ diversa dalle altre, perché non va a pescare nell’immaginario dei classici Universal, ma direttamente dalla mitologia. Non è neppure famoso come i vari Dracula e Frankenstein, eppure è una delle prove di regia più riuscite di Fisher, può vantare una sceneggiatura solida, scritta dal solito Gilling, e una grandissima e mai troppo apprezzata Barbara Shelley, nel ruolo dell’ultima gorgone, Megaera.
Ma l’elemento di spicco di The Gorgon è l’originalità, il tentativo di creare un mostro cinematografico inedito, senza per forza guardare al cinema del passato. È evidente che il pubblico preferisse, anche allora, mostruosità e prodigi già confezionati e famosi, ma non sottovalutate la potenza della gorgone.

9. Onibaba – Regia di Kaneto Shindo (Uscito in Giappone il 21 Novembre del 1964)

Qui la faccenda si fa un po’ controversa, perché la critica è divisa se definire Onibaba un dramma d’ambientazione storica o un horror. Dato che da queste parti siamo sempre stati di manica larga con le categorie (detto in altri termini, ma pure ‘sti cazzi), lo inseriamo nella decina della settimana perché, oltre a essere entrambe le cose, è semplicemente troppo bello per lasciarlo fuori in base a squallide questioni di etichette.
E comunque, se proprio vogliamo polemizzare, guardatevi bene le sequenze d’apertura e di chiusura e poi ditemi se non vi scorrono brividi lungo la schiena.

10. Kwaidan – Regia di Masaki Kobayashi (Uscito in Giappone il 29 Dicembre del 1964)

E qui, al contrario, non ci sono dubbi di sorta, perché ce lo dice il titolo stesso che siamo in pieno territorio horror: storia di fantasmi, senza ambiguità di sorta; un film antologico che ha vinto il Gran Premio della Giuria a Cannes e l’Oscar come miglior film straniero, ed è tratto da Kwaidan: Stories and Studies fo Strange Things, una raccolta di racconti di folklore giapponese a firma di Lafcadio Hearn.
Cinque storie, senza alcun collegamento tra loro, cinque leggende messe in scena in maniera maestosa. Non ho molte parole da spendere su Kwaidan, perché è un qualcosa che, davvero, dovete vedere con i vostri occhi e rimanere sbigottiti.
E l’anno si chiude come meglio non avrebbe potuto.

8 commenti

  1. valeria · ·

    “5 corpi senza testa” e “danza macabra” sono due film di cui si parla sempre troppo poco, secondo me, quindi sono ancora più contenta di vederli in questa lista *____* devo recuperare “onibaba” e “kwaidan”, sembrano davvero ottimi 😀

    1. calvin · ·

      Mi permetto, umilmente, di consigliarti tutto Kanedo Shindo che è uno dei più grandi registi della storia.

      A partire dall’altro horror Kuroneko, passando quantomeno per L’uomo, Edo Porn ed il meraviglioso l’Isola Nuda che non ha nulla del film horror, mi scuso il suori tema, ma è uno dei film più belli della storia del cinema senza se ne ma.

  2. Blissard · ·

    Che annata!
    Mai sentito questo Lady in a Cage, grande curiosità.

  3. Calvin · ·

    Letti così, in fila, forse la migliore decina di tutte quelle scritte per ora, ovviamente a gusto mio.
    Ci sono almeno 5 film che io amo enormemente.

  4. Kwaidan sembra essere una chicca perduta proprio da non perdere, spero di trovarlo, come anche il resto. grazie per gli spunti, tutti molto interessanti!

  5. Amo molto “La Maschera della Morte Rossa”: così sontuoso ed economico insieme. E quel finale, con le Maschere che se ne vanno via, dopo aver fatto il loro lavoro…

  6. Giuseppe · ·

    Annata davvero ricca (ah, La Maschera della Morte Rossa: spero sempre che gli dedicherai un post tutto suo 😉 ), ulteriormente impreziosita da un’ottima rappresentanza giapponese con gli eccellenti Kwaidan e Onibaba (dramma storico con elementi horror, thriller o comunque lo si voglia definire, il suo posto in lista se lo merita tutto, tenendo anche conto del fatto che la maschera avrebbe ispirato nientemeno che William Friedkin per il “subliminale” demone biancastro de “L’esorcista”)…

  7. Di “6 donne” vorrei citare una cosa che (forse essendo matto, e in questo caso non datemi retta) trovo bellissima, e cioè la polvere che si alza dal negozio dell’antiquario durante la famosa scena. Sicuramente finta, fatta con la farina o con chissà cosa, ma sintomatica di un far cinema “dal basso”. Basso però non inteso come degradazione, follia, o disgusto, bensì un basso molto umano, molto provinciale, molto quotidiano come era il cinema di Mario Bava dietro la patina di estrema eleganza voluta dai tempi in cui è vissuto. Oggi chi penserebbe di metter la polvere in un negozio? Tutto, anche l’abietto, deve apparire bellissimo oppure totalmente degradato, orribile, inaccettabile. L’antro della peggior strega è un “salone di bruttezza” oppure un profluvio di merda e budella e vomito.
    Bava invece – perlomeno nella mia interpretazione- faceva film “alti” partendo dal “basso”. Lui i negozi polverosi degli antiquari li aveva vissuti davvero – per non parlar del resto, di tutta quella che era le realtà – e dunque sapeva riprodurla in secondo piano, sotto le convenzioni del cinema, dietro gli esempi dei grandi maestri, così come un Caravaggio dipingeva un Pellegrino dai piedi sporchi in adorazione davanti alla Madonna (cosa inconcepibile per la sua epoca!).
    Ecco: credo che sia questa una delle attribuzioni che segnalano i grandi maestri di tutte le epoche, perchè per essere Maestro la vita la devi conoscere, devi averla vissuta sulla tua pelle. Se non lo hai fatto ti limiti a riprodurre una copia sbiadita presa da altri film che ti sono piaciuti. La copia di una copia di una copia di una copia, dunque senza peso, senza valore come può essere un quadro falso, neppure dipinto tanto bene.
    .
    A tutto questo discorso aggiungerei il talento di Bava nel rendere Arte ciò che era Mestiere oppure molto spesso Necessità. Come Leone che non avendo gli indiani a disposizione riuscì a creare un nuovo linguaggio del Western, Bava faceva di necessità virtù, andava di carrellate e zoom per risparmiare tempo e pellicola, eppure riusciva a rendere il tutto non-percepibile e raffinato. Appunto: creava un linguaggio dal nulla. Mentre quei registi fiacchi di cui parlavo prima, avendo a disposizione oggi i più incredibili effetti speciali e strumenti di ripresa, optano per l’idea più semplice e banale, non si sforzano di creare niente. Paradossalmente, ora che hanno tutto, si fermano al primo concetto a disposizione.
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    La cosa bella di “6 donne” è anche il fatto che è davvero un punto di passaggio. Da un lato ci sono gli ambienti eleganti, lo stile, i begli attori, le sigarette e le cristallerie, le case ricche ed eleganti, i camerieri in marsina e le auto di lusso, i begli abiti e le acconciature perfette (come i dipinti sacri degli antichi maestri), e dall’altro abbiamo un assassino davvero moderno, terreno, concreto, sadico, figlio di un presente che doveva ancora venire, affascinante e sconvolgente (come i piedi sporchi del Caravaggio di prima).
    Quindi sì, vederselo è davvero necessario, se si vuol comprendere un modo di fare cinema, un intero mondo, che ha posto le basi per quello che noi ora siamo.

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