HHH: Dr Jekyll and Sister Hyde

 Regia – Roy Ward Baker (1971)

Chiudiamo questa maratona dedicata alla Hammer con un film di cui ho sempre voluto parlare, perché si tratta di una delle operazioni più audaci ed eversive della storia dello studio inglese. Ci sarebbe parecchio da dire sul rapporto tra horror e tematiche omosessuali, perché è un argomento poco affrontato e, credo, volutamente sottaciuto. Eppure, siano queste tematiche esplicite o implicite, esiste una nutrita filmografia a riguardo. Dr Jekyll and Sister Hyde, uscito da noi con l’improbabile titolo di Barbara il mostro di Londra, non lo si può a ragion veduta definire esplicito, però è anche difficile ignorarne le implicazioni o lasciare che restino sullo sfondo, velate dalla morale punitiva (obbligatoria per l’epoca) e dalla riabilitazione in extremis di una sessualità non “deviata” del suo protagonista.
Non era neanche la prima volta che la Hammer si occupava di un soggetto simile (non il Dottor Jekyll, l’omosessualità): sempre Baker aveva diretto, l’anno prima, Vampire Lovers, ovvero la versione Hammer di Carmilla, con Ingrid Pitt che interpreta una vampira con neanche troppo sottintese tendenze omosessuali.
Quindi no, Dr Jeyll and Sister Hyde non è una novità da quel punto di vista. Lo è per il modo in cui il discorso viene affrontato e messo in scena e anche per come suggerisce in vari momenti che il suo personaggio principale sia un gay represso, in grado di esternare le sue pulsioni solo nel momento in cui cambia sesso e si trasforma in una donna.

L’idea alla base del film è semplicemente geniale: il Dottor Jekyll intende mettere a punto un siero di eterna giovinezza usando gli ormoni femminili. Quando prova il siero su di sé, prende le sembianze di una bellissima donna (Martine Beswick), dalla personalità molto più forte della sua e priva dei freni inibitori cui invece il buon dottore soggiace.
Per funzionare, il siero necessita di ormoni freschi e Jekyll si avvale della collaborazione di Burke & Hare (i due celeberrimi ladri di cadaveri), ma quando Burke viene linciato e Hare accecato, a Jekyll tocca fare da solo, commettendo una serie di delitti poi attribuiti a Jack lo Squartatore. Nel frattempo,  Sister Hyde comincia a diventare preponderante e non c’è più neanche bisogno di assumere il siero per trasformarsi in lei.
A parte il suo essere, contemporaneamente, un libero adattamento del romanzo di Stevenson, un film su Jack the Ripper e uno su Burke & Hare, Dr Jekyll and Sister Hyde ha  dalla sua questa intuizione pazzesca del cambio di sesso, che rappresenta una scissione ancora più profonda e straniante rispetto allo sdoppiamento in due personalità distinte, una buona e l’altra malvagia, alla base del libro.

La “Signora Hyde” non è il lato cattivo di Jekyll: è lui a uccidere per primo, non lei, e anzi, lui non si fa scrupoli a utilizzare la sua controparte femminile per commettere gli omicidi quando viene a sapere che la polizia sta cercando un uomo, e nessuno sospetterebbe mai di una creatura fragile come una donna. Inoltre, Hyde ha dei motivi reali per continuare la serie di delitti; la sua sopravvivenza è, almeno fino a un certo punto del film, è legata alla realizzazione del siero. Possiamo dire che Hyde uccide per restare in vita, Jekyll per nessun motivo se non continuare a sperimentare il preparato.
Ora, la domanda più importante e, credo, il nucleo concettuale del film è: perché Jekyll si ostina a voler bere quel dannato siero, pur arrivando a disprezzare profondamente Hyde?

Per spiegarlo, forse bisogna partire dai vicini di casa del Dottore: una coppia di fratelli, di cui lui è subito attratto da Hyde e lei ha una cotta non ricambiata per Jekyll.
Ci sono vari dialoghi, nel corso del film, che suggeriscono un certo disinteresse di Jekyll nei confronti delle donne, e il suo comportamento con la giovane Susan non fa che avvalorare l’ipotesi.
Di tutt’altra pasta è fatta invece Hyde, un essere dalla carica erotica spiccatissima e dalla sessualità libera e disinibita. Lei non ha alcun problema a ricambiare le attenzioni del vicino di casa e c’è una scena in particolare in cui Jekyll, tornato nei suoi panni, sembra condividere con Hyde l’attrazione per il sesso maschile. Non una cosa che si vedesse tutti i giorni, all’epoca; e va bene che qui viene usata come il momento in cui Jekyll capisce quanto la sua vita sia in pericolo e quanto sia necessario liberarsi di Hyde. Sappiamo che non esisteva, nei primi anni ’70, la possibilità di mostrare certi elementi sotto una luce positiva; eppure è un momento significativo, sottolineato da Baker, e in grado di dire tanto di più a proposito di repressione e latenza, di parecchi film a tematica gay.

E allora forse non è tanto il Jekyll scienziato pazzo, ciò di cui racconta questo film, quanto piuttosto il Jekyll imprigionato in una forma e in contesto che non gli appartengono e che vede come unica via di fuga possibile la trasformazione in una creatura di un altro sesso. Più che di omosessualità in senso stretto, ci inoltriamo nei territori del transessualismo e in maniera neppure troppo metaforica, per di più: Jekyll vive in un corpo non suo e si libera e si esprime quando diventa Hyde. Considerazione già presente, priva com’è ovvio, dell’elemento sessuale, nel romanzo, a dire la verità, ma con un altro significato, quello di una società opprimente e di un’ipocrisia propria del personaggio, che gli consentiva di essere se stesso solo indossando i riprovevoli panni di Hyde.
Fatta salva l’ipocrisia del personaggio, qui la questione è ancora più lacerante, per Jekyll: alla fine, anche lui continua a prendere il siero per sopravvivere.

Credo che uno spettatore contemporaneo non possa fare a meno di fare il tifo per la Signora Hyde, perché Jekyll la smetta di fingere un interessamento inesistente nei confronti di quella noia mortale della sua vicina di casa e si decida a uscire allo scoperto, ad abbracciare il suo essere la signora Hyde.
Purtroppo, siamo in un horror dell’inizio degli anni ’70, in un momento complicato per la Hammer che, proprio inserendo contenuti scabrosi nei suoi film, sperava di spuntarla su un mercato che la stava lasciando indietro. Ma era pur sempre la casa del gotico inglese e, per quanto le efferatezze mostrate nel film superino forse quelle presenti in ogni altro prodotto Hammer precedente, per quanto nudità e ammiccamenti atti a titillare il pubblico (l’omicidio con primo piano sul seno della prostituta, per esempio) si sprechino, c’era comunque un limite di mentalità che non poteva essere superato.
E così il mostro, l’ibrido, metà uomo e metà donna, la perversione della scienza, deve soccombere e la norma essere ristabilita dopo la sua fine.
Forse è per questo che, molto spesso, i finali dei film Hammer appaiono tronchi, non all’altezza di ciò che li precede:  è la mostruosità, intesa in ogni accezione possibile, a reggere le fila del tutto. Che si tratti di vampiri, creature tornate dalla tomba, scienziati col complesso di Dio o transessuali ante litteram (per il cinema), sono sempre loro i protagonisti e gli eroi dei film Hammer, che la mostruosità ha celebrato per decenni, prima di scomparire, sostituita da orrori più estremi.

 

 

2 commenti

  1. Cavolo, interessante! Devo recuperarlo assolutamente

  2. Giuseppe · ·

    Rivisitazione originale e coraggiosa del dualismo Jekyll/Hyde, pur nei limiti di un finale forzatamente “consolatorio” … sarebbe interessante vedere l’attuale Hammer provare a proporne una nuova versione.

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