HHH: Distruggete Frankenstein!

 Regia – Terence Fisher (1969)

Ognuno ha il suo Hammer del cuore e il mio è questo. Ho sempre pensato che la saga di Frankenstein fosse la cosa più innovativa realizzata dalla storica produzione inglese e che il personaggio del barone fosse uno dei villain più riusciti della storia del cinema. In Distruggete Frankenstein! la fredda e metodica crudeltà di Victor raggiunge il suo apice e, anche se ci sarebbero stati altri due film a lui dedicati, un simile parossismo di atrocità e cattiverie assortite non si sarebbe più ripetuto.
Frankenstein Must Bee Destroyed arriva in un momento storico particolare. Ne abbiamo parlato qui, analizzando l’ottimo documentario dedicato alla fase discendente della parabola Hammer: la distribuzione americana dei film Hammer era passata alla Warner Bros e l’horror stava subendo una serie di cambiamenti epocali, rendendo obsolete le storie gotiche che, nel corso di un decennio, avevano decretato il successo dello studio, nonché la sua egemonia sul mercato horror internazionale.
Si cerca di correre ai ripari e, allo stesso tempo, di non smarrire la propria identità. Un’operazione tutt’altro che facile, anche perché il genere si stava dirigendo da tutt’altra parte e il celeberrimo stile Hammer non poteva reggere il passo di gente come Romero.
Ma nel 1969, il declino non era ancora incombente. Si limitava a rappresentare una minaccia distante e si era convinti che bastasse aumentare il tasso di efferatezze per tenere testa al vento del cambiamento, a breve un vero e proprio uragano, destinato a spazzare via castelli diroccati, carrozze e costumi vittoriani e a sostituirli con motoseghe e adolescenti possedute.

Frankenstein Must Be Destroyed ha una durata inusuale per un film Hammer, che di solito non superava i 90 minuti. Qui siamo oltre l’ora e quaranta e il motivo è dovuto alla richiesta, da parte della Warner, di inserire una linea comica non voluta da Fisher e assente in sceneggiatura, per alleggerire la storia di per sé molto cupa. Le direttive della Warner sono, tuttavia, schizofreniche: costringono Fisher e Cushing a girare una sequenza, non voluta da nessuno dei due, in cui Frankenstein aggredisce e stupra il personaggio interpretato da Veronica Carlson. La scena, presente oggi nella versione che si trova in blu-ray, venne poi tagliata prima che il film arrivasse in sala. Purtroppo, invece, la linea comica venne mantenuta. Ciò dimostra la confusione che regnava anche alla Warner in un periodo così delicato: aumentare la dose di violenza nel film inserendo un’aggressione sessuale del tutto gratuita e incongrua con il carattere di Victor e, allo stesso tempo, stemperare quella stessa violenza con un ispettore di polizia pasticcione e dipendente dal tabacco da fiuto che non ne imbrocca una neanche per sbaglio.
Quindi non si può dire che Distruggere Frankenstein! sia un film perfetto e impeccabile. Le magagne ci sono, e sono tutte in questo andamento incostante, che alterna momenti di una pesantezza tombale, in cui sembra di non riuscire a respirare, tanto gravosa è l’atmosfera, ad altri francamente fuori luogo, che distolgono l’attenzione del pubblico dal centro del film, ovvero la totale perdita di un qualunque barlume di umanità da parte del barone, di cui pagano le conseguenze delle persone innocenti.

Frankenstein deve abbandonare di corsa il suo laboratorio segreto e finisce per prendere una stanza in affitto in una casa gestita dalla bella Anna (Veronica Carlson); Anna è fidanzata con un dottore che lavora in un manicomio, Karl (Simon Ward). Per pagare le costose cure mediche della madre di lei, Karl sottrae droghe dalla farmacia dell’istituto e le rivende. Frankenstein lo viene a sapere e ricatta i due giovani, obbligandoli ad aiutarlo a realizzare un ennesimo trapianto di cervello, questa volta di un suo collega, impegnato come lui in esperimenti non ortodossi e rinchiuso nello stesso manicomio in cui Karl lavora.
Che andrà tutto storto lo sapete già da soli. Ma è il modo in cui Fisher manda metodicamente tutto a puttane a essere magistrale.
Si assiste all’umiliazione e corruzione progressiva dei due fidanzati, costretti dal dottore ad andare contro ogni loro Frankestein umilia e corrompe i due fidanzati, esercitando su di loro un dominio psicologico assoluto. È dura assistere alla distruzione sistematica di due esseri umani che non hanno fatto niente di male, se non essere così sfortunati da incrociare il loro cammino con il barone.

Ma, ed è questo l’elemento più sorprendente, noi spettatori siamo con Frankenstein tutto il tempo. In un certo senso, siamo noi a infliggere tutto quel dolore, e non possiamo sfuggire al magnetismo infuso da Cushing nel suo personaggio, non possiamo fare a meno di sorridere al suo sarcasmo, di ammirare la sua intelligenza, di essere, anche noi, soggiogati dal carisma immenso di un attore e del ruolo che lo ha reso un’icona indimenticabile. Nell’ambiguità del suo protagonista risiede la forza del film. Non perché il barone sia ambiguo: è malvagio, indifferente alla sofferenza altrui, concentrato su se stesso e sui suoi obiettivi, privo di bussola morale; l’ambiguità, in questo caso, è tutta nostra, che sappiamo quanto Frankenstein sia spregevole (il primo sociopatico puro della storia del cinema horror) eppure siamo lì a seguire le sue gesta con avidità, a gioire di uno suo trionfo e a disperarci per le sue innumerevoli sconfitte.
Che sono davvero innumerevoli, e nonostante questo, lui non ha alcuna intenzione di arrendersi o di ammettere i propri errori. Un’ostinazione patologica nel persistere a sbagliare e nel non prendersi alcuna responsabilità della scia di morti che si lascia dietro. Il perfetto esempio non dello scienziato pazzo, ma dell’assassino seriale; o ancora meglio, dell’uomo che trae la sua linfa vitale dal potere, con cui sostituisce ogni altra forma di sentimento o di soddisfazione, anche quella di carattere sessuale. Per questo motivo, la scena dello stupro è del tutto incoerente.

Non per tornare sempre a James Whale, ma lui ci era arrivato prima di tutti al concetto di Frankenstein come metafora della riproduzione asessuale che fa a meno dell’elemento femminile. Rendere la creazione della vita una cosa da uomini, da consumarsi in un polveroso laboratorio, impiastricciandosi col sangue ed estraendo cervelli. Il disprezzo con cui il barone tratta Anna è indicativo:
“Lasciala andare, non ti serve” dice Karl a Frankenstein.
“Mi serve per preparare il caffè” gli risponde il dottore.
I dialoghi del film sono tra i migliori mai scritti per una produzione Hammer, sono taglienti, incisivi, anche meno verbosi del solito. La sceneggiatura di Bert Bratt va dritta al punto, cosa che di rado succede nelle pellicole Hammer, ed è un crescendo di orrori che esplode nella parte finale, con la nascita della creatura di turno.

In questo caso, si tratta di collega di Victor, di un uomo che ha un passato simile al suo, che ha condotto le sue stesse ricerche e, a causa di esse, è impazzito. Se Frankenstein è un perfetto amorale, il dottor Brandt è un essere spezzato dalla sua stessa tracotanza. Forse è una delle più patetiche creature del dottore, di sicuro quella con la storia personale più interessante.
Credo che Distruggete Frankenstein funzioni, ancora oggi, a un livello così profondo perché mette in scena l’effetto che un individuo privo di ogni sentimento ha su delle persone normali. Frankenstein è il centro attorno al quale ruota un microcosmo di affetti, preoccupazioni, angosce e minuzie varie da comuni mortali, a cui lui è tuttavia immune. Quasi senza rendersene conto, anzi, rendendosene perfettamente conto e infischiandosene, il barone demolisce le fragili fondamenta su cui le vite altrui fanno affidamento e lascia terra bruciata al suo passaggio, riuscendo sempre a tirare fuori il peggio da chiunque lo incontri sul proprio cammino.
Con Distruggete Frankenstein il percorso è definitivamente compiuto: il mostro è Frankenstein e Frankenstein è il mostro. Per quanto si sforzi, il barone non potrà mai creare qualcosa di più corrotto e oscuro di se stesso.

7 commenti

  1. Blissard · ·

    Bellissima recensione come sempre, mi hai messo molta voglia di rivederlo.
    Quindi vado a prendere il dvd originale che ho in casa e cosa leggo? “Versione Integrale – Durata del film 96′ “… Magie delle case di distribuzione nostrane… Pur avendo speso soldi per il film, quindi, mi troverò costretto a recuperarlo in altro modo, per quanto paradossale questo possa apparire.
    Sono vecchio e mi lamento come i vecchi, lo so…

    1. Grazie!
      La versione blu ray del film è comprensiva delle scene tagliate. Ma tu hai il dvd italiano?

      1. Blissard · ·

        Della Sinister

  2. Giuseppe · ·

    Ecco, l’hai detto, noi davvero siamo con Frankenstein per tutto il tempo. Ed è anche questo a fare paura: nonostante sappiamo benissimo chi sia e cosa sia capace di fare (non manca mai di ricordarcelo), non riusciamo a staccarci da lui nemmeno per un momento e diamo per inevitabile che debba per forza essere il mattatore assoluto, che si meriti di esserlo pur nella sua totale negatività (pura ragione priva di ogni fronzolo etico, affettivo e morale, potrei dire, che lo rende in qualche modo simile al Paul Massie/Edward Hyde de Il Mostro di Londra, altra piccola perla Hammeriana del 1960)… insomma, riesce a corromperci pure come spettatori 😉
    P.S. Ma il dvd Sinister (che purtroppo non ho per controllare direttamente) non potrebbe contenerle comunque, le scene tagliate? I 96″ presumo si riferiscano alla durata dell’edizione PAL, e senza il relativo speed-up sarebbero stati 100″ circa, appunto. Sufficienti a renderlo compatibile con la la lunghezza della versione integrale, credo…

    1. Blissard · ·

      Sì, hai sicuramente ragione, sono stato inutilmente polemico…

      1. Giuseppe · ·

        E io ci ho messo un “la” di troppo (“la la lunghezza”) nell’ultima riga … comunque, con le edizioni nostrane è sempre meglio essere prudenti 😉

  3. Blissard · ·

    L’ho rivisto oggi e concordo su tutto, anche se non ho colto questa tendenza ad alleggerire tramite il ricorso alla comicità; le uniche scene leggere sono quelle che vedono protagonista l’odioso ispettore Fritsch, ma hanno un che di grottesco che secondo me rende ancora più lancinanti le efferatezze che Fisher ci riserva nella pellicola.
    Ho notato che Cushing in questo film ha una “corporeità” che nel resto della saga non possiede: qui sembra proprio costringere con la pura forza la gente a fare quello che vuole, lo si vede spingere, avvinghiare, mollare sganassoni, persino stuprare e uccidere. E’ un po’ come se avesse interiorizzato la violenza fisica caratteristica della sua “creatura”.

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