Dead Shack

 Regia – Peter Ricq (2017)

Attratta dalla locandina, che io trovo magnifica, ho passato un’ora e venti molto piacevole in compagnia di questo zombie movie canadese, dalle caratteristiche tuttavia molto peculiari rispetto alla consueta struttura del film sui morti viventi. Non ci sono un’epidemia o il collasso della società; niente orde di diversamente vivi in giro a ciondolare come dei perdigiorno per le città svuotate da presenza umana; niente sparuto gruppo di sopravvissuti che resiste sempre più stremato.
Dead Shack è infatti un “horror coi ragazzini”, filone molto in voga negli anni ’80 e tornato di recente in auge grazie a operazioni come Stranger Things. Ma, anche qui, questo minuscolo film si distingue per un approccio contemporaneo e non nostalgico (nonostante locandina e colonna sonora),  nonché per una simpatica attitudine splatter. Ha i suoi difetti, per carità, e non sono neanche pochi, ma è uno di quei film fatti col cuore a cui non si può non guardare con una certa benevolenza, forse maggiore di quanta in realtà ne meriterebbe.

Jason, un quattordicenne timido e un po’ imbranato, parte con la famiglia del suo migliore amico Colin per una settimana in una baita nei boschi. Insieme a loro ci sono Summer, sorella maggiore di Colin e per cui Jason ha una tragica cotta, Roger, il padre dei due ragazzi e la sua compagna Lisa.
Durante una passeggiata, Colin, Jason e Summer scoprono che una loro vicina di casa ha l’hobby dell’omicidio. Ma è anche peggio di così, perché la donna (Lauren Holly) dà in pasto le sue vittime a degli zombi che tiene nascosti in cantina. Chi siano questi zombi e perché si trovino lì, è facilmente intuibile, e tuttavia non viene servito come un colpo di scena, ma soltanto come un modo per creare delle dinamiche interessanti tra i personaggi e dar loro delle motivazioni.
Una volta scoperto l’antro della strega, i ragazzini devono cavarsela per conto loro; le figure adulte, in questo film, sono infatti del tutto inutili: brillano per assenza o per essere dei simpatici e irresponsabili bambinoni troppo cresciuti. Quando non sono delle assassine psicopatiche, ovviamente.

È uno scenario che già conosciamo: preadolescenti da soli contro i mostri, per evidenti mancanze di quelli che dovrebbero essere i loro punti di riferimento. Poco importa che queste mancanze siano consapevoli o inconsapevoli. Di solito, nei film per ragazzi d’avventura si tende a non dare colpe troppo precise. Per esempio, non è “colpa” dei genitori dei Goonies se tocca a loro salvare la baracca. Sono solo troppo stanchi e troppo presi dai loro problemi. Nel caso del cinema horror, si è un po’ meno ecumenici e capita di trovarsi di fronte a degli adulti riprovevoli, come accade nei film di Wes Craven e nei libri di King, costellati di padri terribili e madri oppressive. Però è sempre interessante notare, negli horror con protagonisti molto giovani, che figura facciano i genitori.

In Dead Shack, i padre e la madre di Jason non si vedono neanche una volta. Non lo chiamano per sapere come sta e, in un dialogo, lui confessa agli amici che neppure sanno dove si trovi; la madre di Colin e Summer ha lasciato il marito da tempo e lui è uno che ci tiene a essere un amico per i suoi figli, un tipo simpatico e alla mano che però si fa trovare ubriaco e svenuto di fronte al pericolo, lasciando a tre ragazzini dai 14 ai 16 anni la responsabilità di salvare la loro e la sua vita. Non è un personaggio negativo, è che proprio non ce la può fare e Summer, soprattutto, se ne rende conto e guarda a lui con un misto di affetto e rassegnazione.
Alla fine, la parola che viene in mente è abbandono. Ma attenzione, perché c’è anche il sospetto che questi tre se la cavino molto meglio senza la zavorra rappresentata dagli adulti, che sarebbero loro solo d’impaccio quando non proprio di ostacolo.

C’è un neanche troppo velato attacco all’istituzione familiare e a quello che certe volte ci spingiamo a fare in suo nome. L’idea, molto presente nella cinematografia analoga degli anni ’80, di una sorta di riconciliazione col mondo degli adulti alla fine del film, è qui del tutto lasciata da parte. Si fa tutto da soli, perché si è più svegli, più organizzati, più pronti, in un certo senso, più allenati, anche se così piccoli. E la conclusione è di un pessimismo abbastanza profondo, per quanto il film abbia dei toni leggeri, da horror-comedy con abbondanza di teste spappolate, intestini sgranocchiati e colpi d’ascia dritti in faccia.
Questi ragazzini non si pongono neanche il problema di cosa abbiano di fronte: non vi aspettate di assistere alla solita scena in cui nessuno ha idea di come si uccida uno zombie. Loro lo sanno che bisogna mirare alla testa. Non c’è disorientamento, non c’è ingenuità nel rapportarsi al mostro. Con tutti i film, le serie tv e gli altri media sugli zombi che circolano, è logico avere cognizione di causa e sapere come affrontare la minaccia. In pratica, non si può neanche parlare di coming of age, perché l’age è già arrivata, anche se non anagraficamente.

Purtroppo Dead Shack è un film povero, dalla fotografia a malapena passabile e diretto e montato un po’ a casaccio. È un esordio a basso budget e quindi gli si può perdonare un po’ tutto, ma va comunque detto che, guardandolo, vi scontrerete con dei limiti estetici molto evidenti, a volte invalicabili.
Ottimo, al contrario, il reparto make-up ed effetti speciali. Evidentemente hanno speso tutto in quel settore, perché le ferite e le mutilazioni sono bellissime da vedere e gli zombi, per quanto siano numericamente pochissimi e di vedano anche di rado, funzionano alla grande.
Qualche problemino c’è anche nella sceneggiatura, in particolare in un passaggio del tutto incomprensibile e immotivato che dà vita però a una delle scene migliori del film e quindi, dai, accontentiamoci che a fare troppo i pignoli poi va a finire che il lavoro appassionato di tanta gente passi in secondo piano per cercare il pelo nell’uovo.
Dura poco, è prodotto da Shudder (e a proposito, se mi fate il favore di approdare in Italia, è la volta che disdico l’abbonamento a Netflix) e non se ve l’ho detto ma avete visto che locandina magnifica che ha?
Una valida alternativa per chi non ne può più di apocalissi ma non riesce a fare a meno di caracollanti non morti cannibali, con il bonus di tre giovani protagonisti davvero bravi.

2 commenti

  1. The Butcher · ·

    La locandina è effettivamente figa e il film è molto interessante. Questa storia della tematica dell’abbandono mi ha un po’ ricordato It Follows (anche se lì la storia era completamente diversa).

  2. Ma questo film è già uscito? non ne ho sentito parlare e al cine non risulta (neanche in rete a dire il vero)

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